da: Horatio Post
Martedì abbiamo vissuto una giornata storica, l’11 luglio rimarrà probabilmente negli annali come la data nella quale la Campania ha acquisito consapevolezza di cosa veramente significhi il cambiamento climatico, assieme alla certezza di esservi dentro fino al collo. Dalle campagne di Giugliano dove mi trovavo, a più di trenta chilometri di distanza, la colonna di fumo e cenere che saliva dal vulcano era immensa nel cielo, come una grande eruzione, poi è collassata sulla pianura, la guardavamo in silenzio, convinti di assistere a qualcosa di mai visto prima.
Ho chiamato gli amici in sala radio, erano alle prese con una situazione drammatica, oltre al Vesuvio gli incendi bruciavano tutti insieme in un’ampia fascia tra le province di Napoli, Avellino e Salerno, nella valle dell’Irno, sui Lattari, e giù fino al Vallo di Diano. Se in quello che è successo evidentemente c’è dolo, ci sono i comportamenti criminali – il fronte degli inneschi sul Vesuvio seguiva per chilometri un arco troppo continuo, assolutamente predeterminato e perfetto – nella nuova situazione climatica le conseguenze di questi gesti sono straordinariamente più rilevanti che in passato, ed è un andamento di scala europea, i dati sugli incendi boschivi dicono che tutto il continente è entrato in una fase completamente nuova.
Anche per questo tipo di faccende, come in quelle sociali, la criminalità è brava a cogliere le occasioni, profittando degli squilibri, non a determinarle, e qui non piove sul serio da sei mesi, le temperature elevate non lasciano tregua, negli incolti abbandonati e nei boschi ai bordi della città, privi di manutenzione, si è accumulata una quantità elevatissima di combustile vegetale ad altissima infiammabilità. In queste condizioni lo stesso innesco che gli anni scorsi avrebbe bruciato dieci, oggi brucia cento o mille. In un paesaggio curato e ben gestito, gli stessi abominevoli gesti avrebbero conseguenze limitate, sopportabili.
In una bella intervista a Radio Rai sugli incendi in Portogallo dello scorso giugno Davide Ascoli, ricercatore in scienze forestali della Federico II e grande esperto di incendi boschivi ha detto una cosa sacrosanta: gli incendi si combattono venti anni prima, con una corretta gestione forestale, aiutando i nostri boschi a diventare più resistenti, e soprattutto più resilienti, maggiormente in grado cioè di adattarsi alle nuove condizioni climatiche, e di recuperare dopo il fuoco.
Quando in una campagna inerme per l’incuria e l’arsura si scatenano eventi ad elevatissima energia, come quelli di martedì, anche la tecnologia può poco, poco possono i quindici Canadair dello Stato e i sette elicotteri regionali, considerato che in quella drammatica giornata tutto il meridione bruciava, e la flotta aerea nazionale ha dovuto dividersi tra Campania, Sicilia, Puglia, dovendo per di più operare scelte dolorose di priorità, in base al numero delle vite a rischio. In situazioni simili poi, aerei ed elicotteri possono davvero poco, senza un massiccio lavoro di controfuoco delle squadre a terra, e costano molto, tredicimila euro l’ora per un Canadair, duemila per un elicottero.
Se gli incendi si combattono vent’anni prima, è veramente stupido considerarli ancora un’emergenza, che ci coglie ogni volta impreparati, e induce immancabilmente a scelte dettate dall’emozione, che non sono mai quelle più giuste e appropriate. Se il clima e l’ecosistema stanno cambiando, è necessario cambiare la nostra cultura e i nostri comportamenti. Occorrono politiche nuove, la prevenzione e la cura del territorio devono diventare la nostra occupazione più importante. Come nei fatti sociali, il controllo e la repressione dei comportamenti criminali sono assolutamente necessari, ma non bastano, occorre curare ed educare gli uomini, assieme agli alberi.
La Campania si è dotata da poco, prima e unica al momento tra le regioni italiane, di una legge sul fuoco prescritto. Ci hanno lavorato i tecnici regionali, assistiti da Davide Ascoli e Stefano Mazzoleni della Federico II. A tarda sera raggiungo Stefano al telefono, è in Slovacchia, gli racconto della giornata orribile, mi spiega che è una tecnica preventiva molto efficace, che prevede incendi controllati d’inverno, della lettiera e delle parti infiammabili di sottobosco, per ridurre il combustibile vegetale che può bruciare d’estate, mitigando così la pericolosità e il rischio. Insomma, il fuoco usato tecnologicamente, a fin di bene. Dopo la giornata drammatica di ieri, è venuto il momento di impiegare sul campo diffusamente anche questo tipo di strumenti. L’amnesia territoriale del paese è durata un paio di generazioni, dobbiamo tornare a curare i nostri boschi, c’è un clima diverso, maledettamente difficile, e non abbiamo più tempo. (antonio di gennaro)
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