da Repubblica Napoli 20 maggio 2014
Lunedì scorso gli assessori comunali alle politiche sociali e all’urbanistica hanno presentato, in una seduta di consiglio dell’8° Municipalità a Scampia, la delibera del 14 marzo scorso con la quale si prospetta la realizzazione di un “villaggio rom” in località Cupa Perillo a Scampia. Tre giorni dopo il consiglio comunale ha approvato il progetto preliminare, che costituisce anche variante al piano regolatore. Questa risoluzione segue di pochi mesi il rogo del campo rom di Poggioreale, durante il quale le istituzioni hanno manifestato l’abituale impotenza di fronte al pogrom scatenato ai danni dei rom, un episodio rubricato nella categoria “guerre tra poveri” e presto dimenticato. La nuova delibera rappresenta quindi un segnale, un tentativo di riscuotersi, ma ancora incompleto e ben lontano da quanto prescrivono sul tema le autorità internazionali.
La decisione di costruire un nuovo insediamento per i rom a Scampia è dovuta alla disponibilità di sette milioni di fondi europei da spendere entro il 2015. Il nuovo provvedimento annulla quello del 2009 della giunta Iervolino, che con quei soldi si preparava a costruire un vero e proprio campo rom, uno di quelli “all’antica” potremmo dire, come il ghetto inaugurato nel 2000 alle spalle del carcere di Secondigliano. Alcune associazioni però bloccarono il progetto e ottennero l’istituzione di un laboratorio, coordinato dal dipartimento di urbanistica della Federico II, in cui dare voce ai soggetti interessati e cercare insieme delle soluzioni partecipate. La nuova delibera cita le indicazioni scaturite da quel laboratorio, ma resta ancora al di qua della soglia oltre la quale potrebbe delinearsi una cittadinanza piena ed effettiva per i rom. Si parla, infatti, ancora una volta di insediamenti temporanei, di “strutture abitative provvisorie”, di percorsi di “accompagnamento verso la fissa dimora”. Le abitazioni da costruire vengono definite “attrezzature di natura socio-assistenziale”. Per realizzarle verranno impiegati materiali di bio-edilizia, pannelli fotovoltaici sulle coperture, un sistema centralizzato di riscaldamento e sonde geotermiche per la produzione di acqua calda. Tra gli obiettivi ci sono la comodità, la qualità edilizia, l’autosufficienza energetica dell’insediamento, il contenimento dei costi di manutenzione, la celerità di esecuzione, l’ambizione di creare una parte di città “socialmente accogliente”, eliminando il “rischio dell’effetto dormitorio” attraverso l’allestimento di spazi comuni aperti al quartiere. Eppure, nonostante le scelte tecnologiche e le numerose buone intenzioni di cui è infarcito il preliminare, i problemi che rendono la questione rom un focolaio di tensioni permanente e un rompicapo per chi governa, restano sostanzialmente insoluti.
Nelle sue premesse la delibera esplicita l’esigenza di decongestionare le zone con maggiore presenza di rom disseminandoli, in maniera “concordata e condivisa”, su altri territori della città. Ma l’atto della giunta non agisce in questo senso. Nell’area nord tra Secondigliano e Scampia vivono circa millecinquecento rom, ottocento dei quali nei campi spontanei di Cupa Perillo da più di trent’anni. Il nuovo “villaggio” prevede settanta alloggi per quattrocento persone, in un’area poco distante dagli attuali insediamenti. Una parte dei rom si sposterà di qualche centinaio di metri nel nuovo villaggio, gli altri probabilmente rimarranno dove sono. Allo stesso tempo cominciano a farsi insistenti le pressioni per aprire lo svincolo dell’asse mediano, proprio quello sotto il quale sono insediati una parte dei rom di Cupa Perillo.
Insomma, la casa per i rom resta un tabù per chi governa la città. E non si fatica a comprendere che sia così, dal momento che gli stessi governanti non riescono ad assegnare alloggi di edilizia pubblica da molti anni, con le graduatorie per gli aventi diritto che arrivano ormai a quasi ventimila persone. Inesorabilmente, i fili sparsi delle decine di questioni sociali, urbanistiche, infrastrutturali, lasciate a decantare per intere legislature, finiscono per convergere e aggrovigliarsi in un unico, inestricabile corto circuito. Allo stesso modo, una soluzione abitativa temporanea per i rom, che non preveda anche una strategia sui diritti di cittadinanza, sulla scuola, sul lavoro, non può condurre lontano. Gli assessori si affrettano ad assicurare che vi saranno “percorsi successivi di inclusione”, si apriranno tavoli, si cercheranno nuovi fondi. Intanto, quel che sappiamo con certezza è che l’ultima volta che il comune di Napoli ha allestito strutture temporanee per i rom è stato nel caso della ex scuola Deledda di Soccavo, dove centoventi rom rumeni sono accampati in aule scolastiche ormai da nove anni. (luca rossomando)