da: Repubblica Napoli del 29 novembre
La settimana scorsa, durante il comizio di piazza Matteotti che concludeva la manifestazione nazionale della Fiom, Maurizio Landini ha rivendicato la lunga battaglia per i diritti condotta all’interno dello stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco, dall’opposizione al referendum del 2010 fino al successo rappresentato dalla recente sentenza di reintegro in fabbrica per diciannove iscritti al suo sindacato. Dopo le dispute giudiziarie, le tensioni, i toni aspri degli ultimi anni, su Pomigliano la volontà del segretario dei metalmeccanici Cgil sembra quella di favorire un graduale ritorno alla normalità, sia attraverso la ritrovata presenza in fabbrica – di fatto negata per anni a tutti gli iscritti Fiom e facilitata negli ultimi tempi dall’attivazione dei contratti di solidarietà, con una più ampia rotazione tra i lavoratori –, sia attraverso il progressivo ristabilirsi dell’agibilità e della dialettica sindacale. A testimoniarlo ci sono atti concreti, primo tra tutti il testo dell’accordo siglato il 30 maggio scorso tra Fiat e Fiom, in cui l’azienda accetta il reintegro dei diciannove, mentre la Fiom “dà atto che si intende venuto meno e comunque superato ogni profilo di discriminazione o di comportamento pregiudizievole” e dichiara di non avere più nulla a pretendere, obbligandosi “a non proporre o coltivare (…) alcuna ulteriore domanda o azione” nei confronti dell’azienda, “dei suoi amministratori, dirigenti e preposti, in qualsiasi sede”.
Un armistizio vero e proprio, ma anche un atto di ottimismo da parte di Landini, vista la lotta senza quartiere, e senza scrupoli, condotta dalla Fiat in questi anni nei confronti del suo sindacato. Lo stesso Landini, all’inizio di giugno, ha inviato il verbale della conciliazione con Fiat al procuratore di Nola Mancuso e al suo sostituto, la pm Curatolo, che proprio su sollecitazione della Fiom stava indagando sulle vicende di Pomigliano. La procura di Nola – pur rilevando un insieme di condotte discriminatorie facenti parte “di un unico disegno criminoso” – ha dovuto tenere conto del mutato atteggiamento della Fiom e ha dato parere favorevole per tramutare in una semplice contravvenzione la pena per la condotta antisindacale di Marchionne e del direttore dello stabilimento Garofalo. Nella lettera ai magistrati, che accompagnava il testo dell’accordo con Fiat, Landini scriveva: “Se questa situazione si manterrà stabile, (sono da ritenere) superate le ragioni di conflitto nella fabbrica di Pomigliano”.
A qualche mese di distanza, la situazione in fabbrica sembra in effetti stabile, ma si tratta ancora di quel regime di “stabilità” instaurato da Fiat negli ultimi anni attraverso l’intensificazione dei ritmi di lavoro e l’esasperazione del controllo. I segnali che filtrano dall’interno sono ben lontani dalla normalità. Il ritorno in fabbrica dei reintegrati in molti casi non è stato facile, circondato dalla diffidenza dei superiori e dal timore dei colleghi di scambiare anche solo qualche innocua parola sotto lo sguardo attento dei capi; più frequenti ancora le testimonianze dei lavoratori che riguardano le limitazioni dell’attività sindacale, le provocazioni, le minacce, le umiliazioni pubbliche, le contestazioni formali con motivazioni pretestuose, che rischiano di portare fino al licenziamento. Un indizio tangibile del fatto che il clima resta pesante è l’affluenza nelle assemblee retribuite del 14 novembre scorso: nemmeno cinquanta presenti all’assemblea del primo turno e appena venti a quella del secondo; con il corollario dei capi che appuntano i nominativi dei partecipanti; le telefonate di dissuasione e la presenza fisica all’uscita del reparto montaggio di dirigenti e vigilantes, per incrociare gli sguardi dei pochi che decidevano di recarsi comunque all’assemblea. Nel reparto confino di Nola, dove l’ambiente di lavoro è costituito da un unico capannone in cui è facile sorvegliare i movimenti di ognuno, il risultato è stato che nel turno pomeridiano, durante l’ora prevista per l’assemblea, nemmeno uno degli addetti ha lasciato la postazione di lavoro.
Gli iscritti al sindacato di Landini, ma non solo loro, hanno pagato un prezzo alto nel tentativo di resistere alla stretta autoritaria dell’azienda di Marchionne, e questo non solo a Pomigliano. Eppure quel che accade nello stabilimento intitolato a G. B. Vico non riguarda solo i pochi tesserati Fiom ormai rimasti, o quelli dello Slai Cobas licenziati o confinati a Nola, ma è piuttosto una sorta di sperimentazione avanzata del tipo di relazioni di lavoro inscritte nel nostro prossimo futuro. A Pomigliano poi, dopo tre anni di Panda e senza una nuova missione produttiva all’orizzonte, a sentirsi in bilico sono tutti i cinquemila addetti, non solo quelli che in un modo o nell’altro stanno provando a resistere contro la corrente. (luca rossomando)