Quando si parla di carcere gli animi non sono mai distesi. Il desiderio di sicurezza, tema centrale della prossima campagna elettorale, è stato uno dei principali motivi di azione dell’attuale governo, con gli interventi del ministro Orlando sul codice e il processo penale, e quelli del Viminale con il provvedimento sulla cosiddetta “sicurezza delle città”. Il quadro sarà completato dalla riforma dell’ordinamento penitenziario, anzi fa riflettere il silenzio che avvolge il provvedimento, lasciando intendere la precisione tattica con cui il ministero “maneggia” l’affare giustizia.
L’impostazione repressiva delle ultime manovre legislative non si giustifica però con i dati. Le relazioni presentate dal ministero degli interni negli ultimi due anni testimoniano come l’Italia sia tra le nazioni più sicure d’Europa, perché diminuisce complessivamente il tasso di incidenza dei reati: le rapine (-10,62%), i furti (-6,97%), l’usura (-7,41%), lo sfruttamento della prostituzione/pornografia minorile (-3,03%). Del resto, lo stesso ministro Minniti ha spiegato nella relazione di presentazione al parlamento del decreto sulla sicurezza urbana, che la posizione del governo in materia è politica: “La nuova società, tendenzialmente multietnica, richiede una serie di misure di rassicurazione delle comunità […], finalizzate a rafforzare la percezione che le istituzioni concorrano unitariamente alla gestione delle problematiche, nel superiore interesse della coesione sociale”. Ciò che interessa, in sostanza, è calmare gli spasmi dello stomaco e i battiti del cuore: le strategie classiche di tutela del diritto penale non trovano spazio nel dibattito, risultando mediaticamente poco attraenti e offrendo la sponda a disposizioni repressive spesso ibride, come il cosiddetto “Daspo urbano”, o alle “creative” misure preventive personali (obbligo di dimora, sorveglianza speciale, foglio di via) fondate sulla presunta pericolosità del soggetto e non sulla commissione di un reato.
Parallelamente al consolidamento di questo scenario, nel paese si costruiscono nuove prigioni. Allo stato attuale la Campania ne ha ben quindici per adulti, con un numero di detenuti di 7.278, più di mille reclusi rispetto a quanto previsto dagli organici. Dopo la Lombardia è la regione con la popolazione detenuta più numerosa, la prima se confrontiamo le reclusioni con il numero di residenti. I dati sono in netta crescita, sebbene la riforma Orlando debba ancora produrre i suoi effetti. L’aumento delle pene minime e massime per i reati contro il patrimonio, come il furto in abitazione e con strappo, infatti, non solo manterrà nelle carceri per un tempo maggiore oltre la metà dei detenuti, ma l’innalzamento dei limiti sanzionatori determinerà un ricorso ancora più massiccio alla custodia cautelare. Le linee di tendenza di questo quadro drammatico sono riscontrabili analizzando ciò che accade a Poggioreale, dove a fronte di una capienza tollerata di 1.644 detenuti, sono imprigionate oltre 2.000 persone.
L’Italia, che ha subito diverse condanne dalla Corte di Strasburgo per il sovraffollamento e per il trattamento brutale dei detenuti, comincia a confrontarsi con questi dati. La soluzione identificata, naturalmente, non è il ricorso alle misure alternative, alla diminuzione delle pene, alla depenalizzazione dei reati minori; anzi, amnistie e indulti sono anni luce lontani dall’agenda politica del paese degli sceriffi e controllori. Il ministero della giustizia ha deciso piuttosto di chiudere un appalto, con la collaborazione del ministero delle infrastrutture, per la creazione di un nuovo istituto penitenziario a Nola, nella località di Boscofangone (Masseria Cianciulli). Un mega-carcere che ospiterà 1.200 detenuti, dunque tra i più popolosi in Italia, e che considerando gli attuali indici di sovraffollamento potrà arrivare a sforare la soglia dei 2.000.
La struttura insisterà su diciotto ettari di terreno, e secondo quanto esposto dal Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) nella relazione illustrativa firmata dall’architetto Ettore Barletta, il costo stimato dell’opera ammonterà a centoventi milioni di euro. Il valore dell’investimento è però destinato a crescere, dal momento che prima della costruzione quel terreno dovrà essere bonificato, come in più occasioni ha ribadito l’architetto Corrado Marcetti (Fondazione Michelucci), insistendo su terreni oggetto per anni di interramento di materiale tossico. A questi già rilevanti costi si aggiungeranno quelli per il riassestamento del quadro idrogeologico, necessario dopo l’innalzamento della falda acquifera che ha già causato l’allagamento dei terreni confinanti con il centro commerciale Vulcano Buono.
Sul progetto del supercarcere, il ministero stesso cade in contraddizione. Gli Stati generali dell’esecuzione penale (lavori durati circa un anno, organizzati per iniziativa del Guardasigilli in diciotto tavoli di esperti del settore e con costi quindi a carico della comunità) avevano indicato una strada precisa riguardo le parole-chiave per le ristrutturazioni e le nuove costruzioni penitenziarie. Prima di ogni cosa la capienza dell’istituto, che inizialmente, nel caso di Nola, doveva ospitare 450 detenuti, poi aumentata a 900, per arrivare infine a 1.200. Sebbene i tavoli tecnici avessero espresso tutt’altro parere, proponendo la nascita di strutture di contenimento per un numero minore di detenuti, al fine di favorire le attività delle cosiddette “aree trattamentali” e le misure di reinserimento, da questo punto di vista la posizione del governo è stata irremovibile: una enorme prigione dagli appetibili costi di gestione. La localizzazione geografica del carcere, centrale per la vicinanza delle arterie della A30 Caserta-Salerno e dell’asse mediano (che agevoleranno i trasferimenti e le traduzioni dei detenuti nei tribunali, in particolare in quello di Aversa Napoli-Nord, sempre più importante per la gestione del contenzioso penale campano) rende la struttura estranea ai centri urbani e alle comunità locali. Una scelta che renderà “impermeabile” il supercarcere: i familiari avranno problemi per i colloqui, e l’attività dei detenuti “lavoranti esterni”– oggi sempre minore per la mancanza di fondi pubblici e per il bigottismo dei nostri territori –sarà quasi impossibile. Costruire un istituto penale in un posto del genere significa tenere reclusi i soggetti in una dimensione sospesa, dove non c’è nulla fuori e nulla dentro. Inoltre, all’interno del Tavolo 1 degli Stati generali, si era deciso di non costruire dentro il perimetro degli istituti di pena i locali per il personale non residente della polizia penitenziaria, perché si voleva scongiurare l’eccessiva militarizzazione dello spazio, evitando di creare un accasermamento che avrebbe contribuito a tendere i rapporti nelle carceri. Anche gli immobili destinati alla semilibertà dovevano essere dislocati in un contesto di vita sociale attivo, per permettere il reinserimento dei soggetti, ma entrambe le direttive risultano completamente ignorate dal progetto nolano.
Per quanto riguarda la costruzione degli spazi interni, il progetto è blindato. Se gli Stati generali avevano cercato di valorizzare quanto più possibile la “vigilanza dinamica” – con l’idea di diminuire le zone di esclusiva reclusione, disincentivando l’ozio e la “sorveglianza statica”, creando maggiori spazi per la socialità e le attività lavorative, ricreative e scolastiche – a Nola si costruirà un vero e proprio lager, con alte torri sovrastanti la struttura e lo schema disorientante dei bracci, proprio come la Prison de la Santé di Parigi (1867), Le Nuove di Torino (1870) o il più “recente” carcere di Poggioreale (1901).
L’associazione Antigone e la Fondazione Michelucci il 22 marzo di quest’anno, in occasione di un incontro tenuto all’Università di Roma Tre, hanno criticato fortemente il progetto del Dap. La “progettazione di massima” è però passata come definitiva – la planimetria, il bando, il calcolo compensi, le note di fattibilità, le relazioni di presentazione dell’opera sono pubblicate sul sito del ministero delle infrastrutture –, l’area è stata individuata e pare che proprio in questi giorni siano cominciati gli espropri. La gara per affidare la progettazione esecutiva è stata chiusa e vinta dalla società Mythos Consorzio Stabile, impegnato già in precedenza nella costruzione delle cosiddette Grandi opere, per 3,7 milioni di euro. Non resta che vigilare ora sui delicati sviluppi (affidamento lavori, bonifiche, gestione) di quello che è stato propagandato come “modello illuminato di carcerazione”, ma che a totale dispetto delle indicazioni degli Stati generali, si realizzerà nell’ordinaria ed ennesima istituzione totale. (luigi romano)
*Le fotografie pubblicate in questo articolo fanno parte di un più ampio reportage realizzato dall’autore all’interno della carcere di massima sicurezza di Badu e Carros (Nuoro)
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