Era il crepuscolo a Nagyszékely e stavamo accanto al campo delle zucche. Al limitare del bosco comparivano le ombre veloci dei cervi in cerca di cibo, per questo il vicino aveva circondato il campo con un filo elettrico. Il sole scendeva lento alla nostra destra e leggevamo l’Enciclopedia australe di Jean Celan finché la luce naturale soffusa lo permetteva.
“Voce: Zangani, protezione e cura degli. Dall’Enciclopedia australe di Jean Celan.
“La protezione e la cura degli zangani rappresenta un capitolo di spesa importante nel bilancio annuale della Banca del Bene. Nel Quarto Albo Quinquennale, Edizioni Etiche della Banca del Bene, il presidente della commissione di Aiuto alle Popolazioni Indigenti scrive: ‘Gli zangani sono poveri sin dai tempi antichi, vivono in condizioni di scarsa igiene e faticano ad accettare i nostri costumi stanziali. Per tali ragioni devono essere aiutati. Senza i nostri fondi umanitari, gli zangani non sarebbero in grado di vivere in modo civile, o sarebbero costretti a reiterare spiacevoli crimini’.
“Ogni anno la Banca del Bene dona capitali ai funzionari dei Corpi di Aiuto agli Zangani. È compito dei Corpi amministrare i fondi e fornire servizi di base agli zangani. Tra i servizi s’annoverano: il lancio di pane settimanale, i pacchi di cioccolata prima delle feste e corsi di educazione civica e buone maniere ogni terzo sabato del mese. Nel Quarto Albo Quinquennale il presidente conclude: ‘Il circolo virtuoso degli aiuti agli zangani si chiude con la creazione di centinaia di posti di lavoro per i funzionari dei Corpi di Aiuto. Grazie alle donazioni della Banca del Bene gli zangani sopravvivono senza commettere illeciti e al contempo il tasso di occupazione degli operatori in Aiuti Sociali si mantiene stabile’.
“Nella biblioteca nazionale si trovano poche opere sugli zangani. Sembra siano popolazioni giunte dal mare e vivono da secoli nei campi incolti poco fuori dalla città. La monografia più letta sugli zangani fu redatta dal Dipartimento di Antropologia Umanitaria, Edizioni Libertà e Partecipazione: Sul presunto adattamento degli zangani ai codici etici comunitari, 506 pagine con illustrazioni colorate su usi e costumi zangani”.
Abbiamo ritrovato un riferimento al tasso di occupazione nella città australe anche negli appunti di Jean Celan. “Febbraio 1989. L’economia australe presenta indici negativi, in particolare la disoccupazione e l’impoverimento sembrano in aumento. La città, da decenni, ha un debito con la Banca del Bene, dunque ogni cittadino è indebitato con la Banca. Per diminuire il debito, si deve creare ricchezza grazie alla produzione industriale e l’estrazione di materie prime fuori città. I giornali chiamano questa congiuntura economica il ‘Grande Necessario’. Il Grande Necessario non è un male, ma una neutra inevitabilità” (Jean Celan, Note sul campo, foglio d9).
Abbiamo compreso dalle descrizioni di Celan che la teologia del bene va intesa come forza frenante, un modo per compensare gli esiti infausti del Grande Necessario. “Il Grande Necessario sussiste al di là del bene e del male: non si può cambiare, dunque non si può discutere. La vita esiste, nonostante la necessità che opprime, grazie all’inesausta opera di bene” (JC, Note…, d10).
Spesso, oltre il campo di zucche, gli abitanti di Nagyszékely montavano un piccolo palco in legno nella radura d’erba e organizzavano concerti serali con gruppi amatoriali di rock ungherese. Karl cucinava il gulash nel pentolone collettivo e ci raccontava di Jean Celan, che era vegetariano e amava pasteggiare sfregando il pane in un intingolo di paprika e olio d’oliva. Raramente parlava della sua Enciclopedia, diceva Karl, e se lo faceva si soffermava sulla religione australe, o religione del bene. «Secondo Jean era un articolato complesso di riti laici», suggeriva con voce claudicante. «Non c’erano divinità, ma solo azioni pratiche per rendere accettabile l’esistenza».
“Aprile 1989. Ho osservato alcuni riti religiosi. I riti servono ad affermare l’importanza delle opere di bene per mitigare le conseguenze del Grande Necessario. Ogni solstizio di primavera si tiene il rito della Fuga di Ogni Dubbio. Sembra di assistere a una nostra rappresentazione teatrale, ma non vi è separazione tra attori e pubblico. Al centro vedo un funzionario della Banca del Bene in vesti sacerdotali e la cittadinanza intorno porta maschere di legno dove sono dipinti occhi spalancati. Il funzionario pone interrogativi al popolo e tutti intorno rispondono per allontanare i dubbi. Trascrivo:
‘Possiamo pensare che il Grande Necessario sia un male?’.
‘Il Grande Necessario non è un male. Esso è neutro, inevitabile, sebbene ostile’.
‘Come fronteggiare il Grande Necessario?’.
‘Con le opere di bene! Con le opere di bene!’.
‘E perché nonostante le opere di bene abbiamo ancora povertà, fame e disoccupazione?’.
‘Perché mancano i soldi per realizzare tutto il bene che vogliamo’.
‘Siete sicuri di quel che dite?’.
‘Più che operare per il bene, che possiamo fare?’.
‘E se gli anormali, gli squilibrati, maleducati per strada vi contestano, cosa potete rispondere?’.
‘Ma noi facciamo il bene!, rispondiamo’. Così per dieci volte ripetono: ‘Ma noi facciamo il bene!’, scuotendo le maschere con gli occhi sgranati. E il rito della Fuga di Ogni Dubbio si conclude”. (JC, Note…, d12).
Abbiamo notato che Jean Celan, nei suoi commenti, non impiega mai aggettivi, a meno che non siano strettamente necessari. (relazione a cura dell’Assembramento di Ricerca Etnografica).
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