A Nagyszékely le colline erano d’argilla e nella stagione secca i sentieri di campagna diventavano canali di rena fine. Quando s’alzava il vento polveri e cartacce turbinavano in aria, sbuffi di sabbia entravano negli occhi e tormentavano la pelle. «Un giorno Jean Celan mi disse d’immaginare così il vento alla fine delle epoche», raccontava Karl. «Esso s’alzerà a cancellare ogni memoria». Karl aveva in giardino piante di canapa e diceva che i semi erano buoni per fare la tisana. Una mattina, prima di lasciare Nagyszékely, Jean Celan aveva raccolto semi per l’infuso. «La bevanda aiuta a confondere i ricordi». S’era incamminato verso nord e da allora è svanito.
Karl sapeva della crisi di Jean in terra australe. A pranzo, mentre masticavamo rapanelli e pomodori dorati, Karl accennava al «punto di rottura» del gennaio 1990. Era accaduto qualcosa laggiù, un «atto di contestazione» e gli australi, preoccupati e benevolenti, desideravano rieducare il viaggiatore. Così avevano iscritto Jean Celan a un corso di laurea in Studi Sociali e Politici presso l’Accademia dell’Università Etica. «La retta era pagata dalla Banca del Bene», diceva serio Karl mentre toccava a noi, per l’ennesima volta, lavare i piatti.
“Marzo 1990, biblioteca dell’Accademia. In terra australe il percorso di istruzione è una forma di educazione civile. Le scuole e le università sono luoghi di disciplinamento sociale, apprendimento delle buone maniere e introiezione dei principi etici dei governi australi. Per questo le classi dirigenti, laureate in università, rispecchiano al meglio l’etica e i sentimenti comunitari. Per gli australi è importante favorire l’accesso all’istruzione – il ‘diritto allo studio’, dicono – per limitare i comportamenti devianti, non convenzionali o lesivi del tessuto sociale. Nel mondo australe più si studia, più s’impara a pensare bene, in modo civile, conforme e ordinato”. (Jean Celan, Note sul campo, foglio s3). L’ultimo Jean Celan, il Celan tardo, sembra scrivere note oggettive come sempre, e fredde, eppure cariche d’un amaro disincanto.
La chiesa di Nagyszékely è in cima a un’altura e presenta due entrate sovrastate da altrettanti campanili. Secondo Karl un primo edificio era stato eretto, nel Medioevo, dai contadini ungheresi; il secondo, secoli dopo, fu opera dei tedeschi luterani giunti da occidente. Nel tempo le due comunità si sono fuse e la chiesa dai due campanili è l’emblema di questa mescolanza. Accanto alla panchina posta all’ingresso s’alza un memoriale ai caduti del primo conflitto mondiale e sulla lapide leggiamo nomi come “János Hamburger”. «Nel 1945 – bisbigliava Karl – gli eserciti di liberazione hanno accompagnato, fucili in mano, ogni abitante d’origine tedesca ai treni che partivano verso la Germania». Sulla panchina avevamo poggiato il nostro thermos e sorseggiavamo il caldo infuso privo di odore.
Voce: Innovazione sociale. Dall’Enciclopedia australe di Jean Celan. “L’innovazione sociale non è una disciplina accademica specifica, ma una competenza tecnico-pratica che s’insegna in tutte le facoltà, da filosofia a ingegneria. Ogni cittadino laureato in terra australe deve applicare la propria conoscenza alla realtà sociale ed economica, favorendo il miglioramento e lo sviluppo delle tecniche di controllo e redistribuzione delle risorse. L’innovazione sociale è la capacità di inventare e progettare nuove soluzioni tecniche per migliorare la vita dei cittadini, favorire la concordia e incentivare la collaborazione secondo comuni valori etici. I migliori progetti di innovazione sociale sono finanziati dalla Banca del Bene e la loro riuscita si valuta secondo un criterio chiamato ‘impatto sociale’. Poiché i governi, indebitati con la Banca del Bene, non possono fornire i servizi sociali ai cittadini australi, devono essere i progetti di innovazione a sopperire alle mancanze. Ogni progetto, dopo la prima elargizione della Banca del Bene, deve essere economicamente indipendente, così i servizi sociali erogati in terre australi sono tenuti a generare un profitto necessario a finanziare le ulteriori iniziative di bene. Gli australi chiamano questo processo ‘circolo virtuoso tra filantropia, impresa privata e servizi sociali’. In terre australi la gestione di zangani, senza tetto e altri indigenti diventa così un’opportunità per esercitare opere di bene e ricavare profitti”.
Perché Jean Celan doveva essere rieducato in accademia, e cos’era accaduto nel gennaio 1990? Sappiamo che gli australi non censuravano le note e gli appunti di Celan. “Eventuali critiche sconcertano gli australi e li disorientano. Qui criticare il sistema è un atto maldestro come da noi un rutto in una cerimonia di gala. Per questo la critica non è ritenuta pericolosa, ma solo sconveniente. Si prendono cura di me, qui in accademia, con la speranza che io possa migliorare: sono indulgenti. Ieri mi hanno spiegato l’importanza dei convegni accademici e del ‘coffee break’. La pausa caffè è il fondamento della vita universitaria. Quando si beve il caffè bisogna essere fecondi di battute sagaci per stringere relazioni amichevoli con luminari e professori. Queste relazioni sono utili perché ogni professore e luminare siede nelle commissioni di finanziamento dei progetti di ricerca e ama ricordarsi delle battute argute nelle pause caffè dei convegni. Ogni studioso come me sottopone un progetto alle commissioni: se la mia proposta vince, un cospicuo finanziamento viene devoluto all’accademia che m’accoglie. Anche io traggo vantaggio, qualora abbia avuto l’accortezza di delineare, entro il mio progetto, un piccolo posto da ricercatore precario adatto alle mie caratteristiche. Così io stesso sono il mio datore di lavoro. Tutti i finanziamenti sono erogati dalla Banca del Bene” (JC, Note…, foglio s5).
Jean Celan tornò in Europa alla fine del 1990, in occasione di una conferenza di antropologia: era iscritto come relatore accademico australe. Così Jean Celan lasciò per sempre il mondo oltre oceano degli australi, portando con sé la valigia piena di appunti soltanto. A Nagyszékely l’alba è annunciata dal canto lontano di un gallo che risveglia il mondo. Al secondo richiamo abbiamo posato i polpastrelli su un foglio lasciato sotto la fodera tarlata dell’Enciclopedia australe. Era il folle discorso che Jean Celan tenne agli australi in cima a un’altura, nel gennaio della sua crisi. (relazione a cura dell’Assembramento di Ricerca Etnografica)
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