Sabato primo luglio un gruppo di lavoratori stranieri, sostenuti dalla Rete solidale Ci Siamo, ha occupato uno stabile inutilizzato in via Fortezza 1 con l’idea di stabilirsi a vivere lì dopo che le stesse persone, provenienti dal Mali, dal Gambia, dal Marocco e dal Brasile, erano state sgomberate nel mese di marzo dall’ex stabilimento San Carlo in via Siusi.
L’edificio, situato a pochi passi dallo scalo ferroviario di Greco Pirelli e dalla fermata della metropolitana di Villa San Giovanni, si trova in un’area periferica a nord di Milano in cui oggi sono presenti diversi altri edifici per uffici e depositi in disuso o parzialmente utilizzati, ma che sarà oggetto nel prossimi anni di importanti interventi di trasformazione urbana.
La notizia dell’occupazione è iniziata a circolare alle nove di mattina con un breve testo che invitava a recarsi sul posto per sostenere gli abitanti e un’immagine che ritraeva un gruppo di persone con i volti sorridenti intorno a un grande striscione con su scritto “La casa è vita. Basta Sgomberi. Basta persone senza Casa”.
Davanti all’edificio appena occupato sostavano diverse persone, italiani e stranieri, adulti e bambini che giocavano o parlavano a piccoli gruppi seduti sul marciapiede oppure in piedi davanti all’ampio cancello socchiuso e coperto dallo striscione ritratto nella foto che aveva iniziato a circolare anche sulla stampa locale.
La giornata era soleggiata, l’area calda ma sopportabile, l’ambiente sereno con gli attivisti impegnati a distribuire i volantini nei quali si annunciavano le ragioni della nuova occupazione, e i primi passanti che si fermavano a osservare e chiedere cosa stesse accadendo. Tutto avveniva sotto gli occhi vigili di un gruppetto di agenti della Digos che nel frattempo avevano raggiunto il luogo e da lontano scrutavano gli eventi senza intervenire.
All’interno dello stabile, un edificio di due piani con una piccola corte interna chiusa da un alto muro di confine, diverse persone si aggiravano con curiosità tra corridoi e stanze, constatando il buono stato di manutenzione dell’immobile e l’enorme disponibilità di spazi, che avrebbe forse creato difficoltà nella gestione futura dell’occupazione abitativa. Altre persone, in particolare coloro che si sarebbero trasferiti a vivere nella nuova casa, erano invece intente a pulire il cortile, le scale e i pavimenti.
C’erano dunque due mondi, uno esterno, animato principalmente da italiani che appoggiavano l’occupazione e trascorrevano la loro mattinata in strada. E un altro interno, fatto di giovani lavoratori stranieri, silenziosi e concentrati sui piccoli impegni che si erano dati per rendere abitabile quello stabile. A separare lo spazio esterno da quello interno c’era quello striscione sospeso davanti al cancello semiaperto, e tutti quelli che volevano entrare o uscire dallo stabile dovevano oltrepassarlo alzando leggermente il telo e abbassando il capo come davanti a una quinta teatrale dietro la quale fervono gli ultimi preparativi prima che il palcoscenico si apra agli spettatori.
A ora di pranzo, accanto allo striscione era stato posto un tavolino dove gli attivisti del centro sociale T28, giunti numerosi fin dal mattino, avevano appoggiato delle bevande, del pane e due enormi pentole con la pasta al sugo preparata da loro e che ora distribuivano alle persone presenti. Queste aspettavano in piedi il loro turno e poi, a piccoli gruppi, si sedevano sui marciapiedi per pranzare mentre all’interno continuavano i lavori necessari a sistemare il posto per la prima notte. Intanto, gli agenti delle Digos, che fino a quel momento avevano sostato all’incrocio tra via Fortezza e via Vipacco, si erano allontanati lasciando vuoto quel luogo che molti, con la coda dell’occhio, scrutavano per interpretare i gesti delle guardie e coglierne in anticipo le intenzioni.
Dopo pranzo, con il convincimento generale che l’occupazione fosse ormai sicura, si era tenuta la prima assemblea in un ampio salone al piano interrato illuminato da stretti lucernari e diviso da pilastri solidi e tozzi che ne scandivano la profondità. I primi a intervenire erano stati i futuri abitanti che, con un pizzico di emozione, esortavano tutti all’unità e a combattere ancora perché, dicevano, senza casa non si può lavorare.
Erano poi seguiti interventi più pragmatici sulle cose da fare per sistemare gli spazi, sulla necessità di avere cura della nuova casa e sul far prevalere la responsabilità e il senso di comunità contro l’egoismo e le esigenze del singolo. Finita l’assemblea, gli abitanti avevano continuato a discutere sulla distribuzione delle camere, e a organizzare i primi traslochi di indumenti e materassi che si trovavano in un altro stabile occupato dove erano stati ospitati dopo lo sgombero che avevano subito lo scorso marzo. Era quella una sistemazione provvisoria, in un ampio deposito industriale, con cartoni e teli a chiudere gli spazi, una cucina e un bagno per oltre quaranta persone.
Tutti gli altri si erano invece allontanati da via Fortezza con la promessa di ritornare nel tardo pomeriggio oppure l’indomani mattina per la successiva assemblea che avrebbe dato inizio a quella consuetudine, ormai consolidata nelle occupazioni sostenute da Ci Siamo, che prevede un incontro a settimana per discutere insieme tutto ciò che riguarda la vita nell’occupazione e per organizzare le lotte necessarie a rivendicare il diritto a una casa più dignitosa.
Poco prima delle 16 lo scenario cambia improvvisamente. Iniziano a circolare le prime immagini che dall’interno dello stabile occupato inquadrano un drappello di poliziotti in tenuta antisommossa raggruppati sul marciapiede di fronte, insieme ad agenti della Digos con le telecamere in mano, pronti a registrare eventuali disordini. Poi altre, dove in lontananza si vedono numerosi mezzi delle forze dell’ordine in un parcheggio poco distante. E un’altra ancora che inquadra un gruppo di agenti in tenuta antisommossa dietro un albero, disposti in linea e con gli scudi davanti alle gambe.
Poi le prime notizie di chi, vedendo le immagini, era ritornato velocemente sul posto ma aveva dovuto constatare che le strade erano chiuse da un ingente dispiegamento di forze dell’ordine e che non era più possibile avvicinarsi allo stabile per portare solidarietà agli abitanti ancora al suo interno. Infine i primi abitanti, con i volti cupi e afflitti, che si allontanavano da via Fortezza e a piccoli gruppi si dirigevano in via Fracastoro, dove a breve si sarebbe tenuta un’assemblea pubblica per condividere quel tentativo fallito.
In Fracastoro si erano ritrovate molte delle persone mobilitate dalla mattina, tra loro c’erano però soprattutto gli attivisti italiani, mentre si notavano molte assenze tra i lavoratori stranieri protagonisti fino ad allora di quel tentativo di occupazione. Rispetto alla mattina erano cambiati anche i ruoli, l’assemblea era stata introdotta da un attivista della rete Ci Siamo a cui erano seguiti altri interventi di italiani intervallati da alcuni interventi di migranti.
Il militante della rete, che al momento dello sgombero era all’interno dello stabile, raccontava che erano stati colti di sorpresa, che avevano discusso se salire sul tetto in segno di protesta, ma che alla fine avevano desistito perché non avevano acqua per starci a lungo, e di fronte all’offerta di uscire senza essere identificati aveva prevalso questa ipotesi che tutelava maggiormente le persone. Nonostante l’esito, si lodava l’impegno, la presenza, l’unità e l’organizzazione di tutti. Era poi seguito l’intervento di un uomo robusto con un viso barbuto. Lui pure elogiava l’organizzazione, ma incitava a essere più consapevoli e forti. Dopo di lui altri migranti si rammaricavano di non aver avuto la determinazione di salire sul tetto e ripetevano la necessità di organizzarsi meglio.
Il dibattito su quando accaduto era continuato nei giorni seguenti all’interno delle assemblee settimanali delle occupazioni sostenute da Ci Siamo, e con il passare del tempo in molti cresceva la convinzione che l’unica strada da seguire potesse essere quella di rendere la lotta più radicale, mentre altri suggerivano la necessità di costruire una rete di soggetti locali più ampia e capace di avere una maggiore forza nel rivendicare il diritto alla casa. Un percorso che Ci Siamo aveva avviato qualche mese prima con la convocazione di un’assemblea cittadina all’esterno degli ex bagni pubblici comunali di via Esterle, edificio simbolo della lotta alla casa perché il comune di Milano, senza considerare che lo stabile è abitato da oltre cinque anni da una quarantina di lavoratori stranieri e senza prevedere soluzioni alternative, lo ha prima messo a bando per destinarlo a luogo di culto e poi lo ha assegnato in diritto di superficie trentennale alla Casa della Cultura Musulmana di via Padova.
Davanti a quell’edificio pubblico di ispirazione fascista si erano ritrovati in tanti: movimenti di lotta, comitati, associazioni e sindacati, sia per portare solidarietà agli abitanti sotto sgombero, sia per condividere il proprio percorso e cercare di costruire alleanze più ampie.
Dopo il primo incontro, ne erano seguiti altri a cadenza settimanale che avevano portato alla costituzione di una Rete per il diritto all’abitare e alla scrittura di una piattaforma comune in cui si afferma di voler lottare per bloccare sfratti e sgomberi, impedire la vendita delle case popolari e assegnare tutte quelle vuote, fissare un tetto agli affitti e limitare quelli brevi, arrestare e impedire la speculazione immobiliare privata, lottare per fermare la criminalizzazione delle occupazioni, riconoscere la residenza e reintrodurre l’allaccio delle utenze, limitare le discriminazioni sociali e razziali, abolire le norme che penalizzano poveri e stranieri nell’assegnazione delle case popolari, costruire risposte collettive per dare un indirizzo diverso alla realtà che abbiamo davanti.
Una volta definita la piattaforma si era poi deciso di indire una prima manifestazione con lo scopo di dare voce a tutti i soggetti che avevano partecipato al percorso e dare forza a questa nuova alleanza cittadina contro le politiche comunali e la repressione. Ora, dopo lo sgombero di via Fortezza, la necessità di questa manifestazione, che è indetta per oggi sabato 8 luglio alle ore 17 con partenza da via Esterle, è ancora più forte e urgente. (salvatore porcaro)