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23 Ottobre 2018

I LUOGHI DELLA MUSICA – Dissonanzen in metropolitana

Antonio Mastrogiacomo
(disegno di chiara tirro)
(disegno di chiara tirro)

Stavolta siamo più fortunati, non bisogna scendere agli inferi per prendere parte all’azione che Dissonanzen anima nella metropolitana di Napoli: basta scendere una manciata di scalini, giungere nell’atrio della stazione Università e aspettare che tutto abbia inizio. Sabato 20 ottobre, sono le 18 e 15 quando da piazza Bovio percorriamo la rampa della metro per raggiungere la sala concerto dell’atrio, non potendo non notare la cattiva manutenzione del plesso, dalle opere di arte contemporanea fino alla struttura.

Dissonanzen è rappresentata da Tommaso Rossi, al flauto traverso, che insieme alla danzatrice Alessandra Petitti mette in scena Ti trovo cambiato, Ovidio in metropolitana. Si tratta di una performance dedicata alle metamorfosi, nel bimillenario della morte del poeta di Sulmona relegato a Tomi, sulle note di Six Metamorphoses after Ovid op. 49 di Benjamin Britten. Questa performance segue la precedente svoltasi lungo la Galleria del Mare di Robert Wilson, presso la stazione di Toledo, completando il ciclo delle sei composizioni.

L’attesa è spezzata da chiacchiere varie con gli intervenuti di turno, un piccolo stuolo di amici che non si è lasciato scappare l’occasione di pensare lo spazio di passaggio della metro come sala di concerto, particolarmente adatta alla musica contemporanea, laddove il rebemolle di Bordone emesso dalle scale mobili, le interferenze delle voci registrate Anm e la segmentazione ritmica disposta dagli elevatori in continuo movimento verticale, anima la scena acustica. Come suggeritomi, sarebbe veramente importante pensare a questi luoghi in quanto sale da concerto, semmai a chiusura della giornata lavorativa, ospitando un numero imprecisato di persone nel cuore della vita quotidiana riflettendo sullo statuto del suono a partire dalla sua organizzazione. Purtroppo, Napoli non è per niente europea e l’unica cosa che possiamo apprendere dalla direzione Anm è che una serie numericamente considerevole di biglietti è stata rubata, dunque facciamo attenzione, senza dimenticare di cambiare quei biglietti per la corsa singola giallo ocra con quelli blu.

La performance inizia puntuale, alle 19. Tommaso Rossi e Alessandra Petitti principiano da un cenno del volto prima di performare insieme, mentre il pubblico resta frontale, in piedi, non lontano dai tornelli. L’indice degli ascolti è suggerito da una segmentazione in tre brani al flauto, solo interpretati dal corpo della ballerina che, in pieno spirito di adesione al contesto, si muove prendendosi tutto lo spazio di cui ha bisogno, con gesti che inneggiano alla trasformazione del corpo, pur partendo da un ben precisato corpus di gestualità coreutiche. Le sue scarpe ben presto saranno preda della polvere che si annida lungo tutta la superficie del pavimento, mentre si nota qualche disappunto tra il pubblico quando conta il numero di neon disattivi tra il soffitto e l’installazione pop-fluo dello stesso Rashid. Per quanto riguarda invece lo “spettatore acquisito”, ovvero il viaggiatore all’oscuro della incombente performance, la reazione oscilla  tra il ragazzo interessato che si ferma non appena scorge l’imprevisto, i turisti che si interrogano per poi abbandonarsi alle scale mobili, e i fruitori dell’ascensore che appena arrivati al piano sospettano che gli applausi siano per loro, come in una candid camera.

L’esperimento dura meno di dieci minuti, il tempo giusto per interrogare gli intervenuti sul tipo di fruizione proposta, sulla possibilità di fare musica anche dove sembra non poter essere possibile la contemplazione, vero motivo di fondo della musica che viene pensata colta. (antonio mastrogiacomo)

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