Non basta saper suonare per essere musicista: c’è qualcosa di irriducibile in questa definizione che sfugge alla sola tecnica (un termine come un altro per riferire dell’arte) per aprirsi alla vita. Così, giovedì 6 dicembre il concerto di Paul Gulda ha marcato una memorabile differenza con tutti gli altri incredibili esecutori giunti a Napoli nel cartellone disegnato dall’Associazione Alessandro Scarlatti.
Una giornata verosimilmente lunga, quella del pianista e compositore viennese, iniziata pochi minuti dopo le 11 presso il teatro Sannazzaro di via Chiaia. “Parliamo di musica” è infatti la proposta didattica mattutina rivolta a scuole di ogni ordine e grado per avvicinarsi alla musica in maniera diversa che non il solo ascolto; si potrebbe parlare di ascolto guidato ma è anche di più: un ascolto partecipato che nasce dalla condivisione del concerto come storia della forma musicale, al netto delle tecniche compositive. Gulda ha rivoltato come un calzino questo momento altre volte piuttosto ingessato proponendosi in un dialogo aperto con gli studenti, parlando di Bach e Mozart senza monumentalizzarli, lasciando intravedere la presenza della loro musica a interrogare ancora il presente della musica. Fino all’esecuzione di un suo lied di recente composizione da lui stesso intonato.
La sera ben altro pubblico avrebbe atteso la sua performance. Prima dell’inizio del concerto è stato il presidente della Scarlatti, Oreste De Divitiis, a ricordare l’occasione del concerto: un ricordo di Urbano Cardarelli, professore di Urbanistica presso la Federico II, scomparso il 15 agosto 1998, ha accompagnato l’ingresso sul palco di Paul Gulda. Cardarelli, per anni protagonista dell’Associazione al punto da diventarne per un breve periodo presidente, “non c’era K che non conoscesse” – in riferimento al catalogo Köchel, elenco di tutte le composizioni musicali di Mozart pubblicate per la prima volta nel 1862 –. Ogni 27 gennaio, Cardarelli festeggiava il compleanno del musicista austriaco con una intera giornata di concerti presso la sua casa in via Tasso, facendo alternare diversi giovani interpreti in questa lunga maratona. Tra essi, un giovane Paul Gulda chiamato nel 2018 a incrociare il destino della Scarlatti nell’anno del suo centenario.
Gulda porta a Napoli la tradizione della grande scuola pianistica e interpretativa viennese, con un sontuoso programma che intreccia il primo libro del clavicembalo ben temperato di Bach e due lavori mozartiani, il rondò K. 485 e la sonata in Sibemolle maggiore k. 333. All’ingresso un a5 vademecum sul galateo della sala da concerto giustamente distribuito non scoraggia un oltremodo scostumato e canuto pubblico, laddove colpi di tosse e commenti quasi mai sottovoce accompagnano la scelta di Gulda di inframezzare ogni tonalità proposta tra preludio e fuga con alcuni passi scelti dall’Ecclesiaste, dalla saggezza buddista per finire con la prefazione del Tractatus di Wittgenstein. Così il pubblico si è sentito in dovere di commentare le didascalie recitate scelte per enfatizzare l’astoricità della musica presentata per l’occasione dissacrandone l’aura quasi sacrale. E Gulda non si è tirato indietro quando, incalzato dalle richieste, ha sentenziato al “di chi è questa citazione?” con un lapidario: “De Crescenzo”. Ci sarebbe da fermarsi non poco sui suoi gesti, sul modo di raccogliere gli applausi, su quelle braccia conserte, sulle modalità di attacco ma lo spazio della cronaca termina irrimediabilmente dove inizia quello della critica.
Nella seconda parte del concerto un leggero cambio d’abito sugella il momento mozartiano, un gilet dorato su una camicia bianca. Leggera, l’interpretazione più propriamente concertistica guadagna l’attenzione di un pubblico non abituato agli stravolgimenti del programma. Così, apprezzano un po’ meglio il Gulda concertista, laddove tecnica e interpretazione ricostruiscono uno strappo temporale tra la scrittura e l’esecuzione. Tanti gli applausi prima di un congedo delizioso: Les Barricades Mysterieuses di Couperin, brano della stessa tonalità della sonata k. 333, a riscrivere il tempo in una non meglio identificata circolarità e un lied performato vocalmente della sua compagna Agnes, in autentico dialetto viennese, assolutamente autentico.
Solitamente l’incontro con un artista quale Gulda viene salutato bonariamente dai più come l’intervento di un personaggio: nasconde quella timida inadeguatezza a confrontarsi con una personalità. (antonio mastrogiacomo)
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