La settimana dopo la prima nell’anno del centenario alla Scarlatti, la risposta del pubblico di sempre è meno affettuosa, bilanciata però dalla presenza di un nutrito gruppo di occasionali attirati dal nome dell’interprete, che abbassa anche la media anagrafica dei presenti. Il teatro è pieno nella giusta misura, laddove un pubblico in ascolto è qualitativamente più ricettivo di un pubblico esclusivamente presente. Giovedì 25 ottobre il secondo concerto della stagione è affidato alla composizione istantanea per le abili mani di Roscoe Mitchell, Gianni Trovalusci e Michele Rabbia. Il titolo prevede l’incontro con suoni straordinari, da registrare come fuori dall’ordinario se inteso come consuetudine all’ascolto: in scena non avrebbe trovato posto la ripetizione di un repertorio ma la messa in atto di un’esperienza irrepetibile – se non nella fono-fissazione. Sette giorni misurano la distanza tra la musica di Johan Sebastian Bach e le sue overture per orchestra con strumenti storici e questi tre musicisti così vicini a noi nel tempo e nello spazio. E la Scarlatti fa anche questo, si prende il rischio di svecchiare il repertorio facendo leva sulla disposizione del suo pubblico all’ascolto, lontana dall’urgenza reiterativa che si impone in gran parte delle mode programmate ad arte da chi studia l’offerta in base alla risposta.
Una premessa a cura del direttore artistico Tommaso Rossi e del flautista Trovalusci garantisce un accordo divulgativo alle note di sala di Mario Gamba, qualora non fosse ancora chiara la differenza tra improvvisazione e composizione istantanea. Non dobbiamo raccontare la lunga faccenda dell’improvvisazione nelle cose della musica, sebbene sia opportuno rammentare come la stessa improvvisazione abbia sempre trovato luogo nella composizione. Mica pensiamo che gente come Bach facesse musica solo grazie alla scrittura! L’improvvisazione garantisce quel grado di libertà e creatività che si addice alla serietà del gioco musicale e sarebbe ingenuo considerare questa pratica come una conquista recente. D’altronde, i napoletani dovrebbero ben conoscere l’arte dei partimenti, sapere quanto questa pratica musicale nascesse dalla creatività dell’interprete. E poi c’era anche chi come Cage non guardava di buon occhio l’improvvisazione, vedendola come qualcosa di quasi forzato, di costretto in alcuni limiti. Allora composizione istantanea sembra davvero rispondere all’urgenza di questa musica che si compie nell’esecuzione a partire dall’ascolto, laddove la memoria è contagiata dal dimenticare.
Non avevo mai ascoltato Mitchell dal vivo, mi hanno raccontato si sia esibito a Pomigliano, che abbia un buon rapporto con questi luoghi. Apre il concerto con il sax sopranino, con delle note decisamente punteggiate cui fanno eco nel tempo il flauto, poi le percussioni. In principio il lavoro dei tre vive di una certa tendenza alla risposta, un interplay da ricercare all’ascolto, qualora se ne abbia voglia. Il lavoro del sassofonista è incentrato su frequenze decisamente altre che quelle controllabili dalla diteggiatura, eppure opportunamente controllate in quanto scelta performativa. Alcuni del pubblico non sembrano gradire, tipo la signora nel palchetto che lamenta acufene. Trovalusci fa uno splendido lavoro con i suoi flauti, finalmente assaporo le sonorità del flauto basso, recependo il dettato compositivo che questo strumento così antico eppure moderno conserva nell’esecuzione dei maestri. Elegante come pochi musicisti, decisamente minimo nei gesti eppure sostanzialmente presente nell’elaborazione dei modelli musicali lanciati da Mitchell, Trovalusci fa un grandissimo lavoro. Al tempo stesso Rabbia interviene in sostegno ai disegni ritmici maneggiati dal sassofonista, con spiccata capacità di integrare un’elettronica misurata nel gioco compositivo. Il trio funziona soprattutto quando al centro del palco Roscoe si esibisce al sax alto: un momento quasi meditativo, di suoni più orizzontali che quelli vorticosamente agitati sulla tastiera dello strumento, riempie la sala.
Ecco, qualche momento funziona più di altri, è legittimo considerare che la composizione istantanea stessa produce rischi da correre. Non che l’esecuzione di un repertorio già conosciuto sia neutra, resta da lavorare sull’attenzione del pubblico in maniera altra che non la consuetudine, laddove la distrazione può anche funzionare da collante temporale. Così, ci sono momenti davvero da incorniciare come l’ultimo segmento temporale, davvero godibile per sonorità, gusto compositivo e interplay a partire da un certo orientamento del dispositivo elettronico su cui il sassofono, e poi il flauto hanno saputo insistere con una certa intelligenza prima di abbandonarsi a un finale decisamente naturale, assolutamente non coatto, nel suo porsi.
Ci sono stati applausi, iniziati un po’ per caso, perché non sai mai quando finisce questa musica, però hanno colto nel segno della fine della composizione, quindi tutto può dirsi misurato. Applausi che chiudono un’ora quasi di concerto dal free jazz all’instant composition laddove l’incontro con questi suoni straordinari arriva in una città che da tempo pratica questa idea, forse non proprio nei teatri. (antonio mastrogiacomo)
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