Sabato 14 maggio, presso il teatro dell’ex Opg di Materdei, è andato in scena l’omaggio a un musicista veneziano che già nella parentela intesse una ragnatela di importanti relazioni che si stendono per tutto l’arco del Novecento: genero di Arnold Schoenberg e suocero di Nanni Moretti, Luigi Nono è stato un compositore italiano davvero attento alle trasformazioni della cosa musicale, tanto nella composizione quanto nella funzione della ars musica. In una produzione in cui è impossibile scindere momento teorico e momento pratico, con una coscienza materialistica dei mezzi tecnologici e del contesto storico che hanno aperto mai conosciuti prima spazi di gioco, Luigi Nono si è posto politicamente nei confronti del suono, combattendo l’estetizzazione che di fatto continua strenua la sua opera di falsificazione. Soprattutto nell’elettronica.
Veniamo al dunque. Ivan mi contatta circa un mese prima. L’intenzione è quella di realizzare un appuntamento in cui l’omaggio a Nono suoni quasi da pretesto; si avverte l’esigenza di portare nel quartiere una riflessione sulla musica elettronica che, pur permeando l’attuale paradigma musicale nel suo ripiegamento commerciale, viene considerata dai più come avanguardia se prende il nome di elettroacustica – nome buono soltanto a confinarla come minoranza, ormai nemmeno sovversiva. Quale occasione migliore di un anniversario come quello dei ventisei anni dalla scomparsa del compositore (per onestà cronologica, 8 maggio)? Così, con una sorta di call interna ai suoi contatti, Ivan mette in campo un quintetto di studenti tra il conservatorio Domenico Cimarosa di Avellino e quello di San Pietro a Majella di Napoli. Il tutto avviene in un luogo non deputato al bene artistico immateriale, in cui la logica della separazione non è in vista se non nell’organizzazione degli spazi così finemente ripensati. Ammetto di averci messo piede per la prima volta; il piacere di una prima volta che, nel caso delle architetture, nasconde un fascino quasi tattile – come se la musica elettronica debba relazionarsi intimamente al non ancora: il non ancora ascoltato in uno spazio non ancora toccato.
Arrivo da Milano con un po’ di ritardo, raggiungendo i miei “colleghi” intenti alla messa a punto della sala, dello spazio che sarà la nostra cassa di risonanza. Il teatro. E penso che a Luigi Nono il luogo non sarebbe dispiaciuto, data la traccia indelebile che ha lasciato col suo teatro musicale – valga la pena prendere atto del materiale montato in Intolleranza 1960. I ragazzi hanno optato per una diffusione quadrifonica, dove gli esecutori (la musica elettronica si esegue al pari delle altre) sono al centro del fuoco e il pubblico non è posto di fronte alla scena, ma nello spazio di proiezione del suono. Quanto sono belle le inferriate della scala da scendere per raggiungere il teatro con le loro notine in ferro battuto… Così arrivo a giochi fatti. Il tempo di verificare il corretto funzionamento del mio dispositivo.
Il tempo di fare la conoscenza dell’altro con cui condivido una scelta (soltanto di studi?) nella pausa di una birra al bar e alle 19,30, con una precisione oraria che poco appartiene ad alcuni luoghi della musica, l’incontro inizia. Il pubblico c’è, a sfatare quel dire comune che vede questa musica senza pubblico, perché problematica. Non stiamo parlando della massa che affollerà il Vesuvio Sound System, ma dello studente universitario o delle due signore del quartiere incuriosite dall’evento, degli occasionali e dei sempre presenti utenti di questa scena sonora. Fatto sta che la situazione è davvero amicale e aperta alla partecipazione di un altro che non viene considerato utente passivo.
Ivan prende il microfono e trova le parole giuste per comunicare le esperienze cui la serata vuole rimandare. Dal premio Stalin di Lev Theremin al triangolo musicale elettroacustico Parigi-Colonia-Milano, dalle premesse sonore wagneriane al paradigma elettroacustico organizzato secondo le specificità della elaborazione dati e della diffusione del suono, arriviamo al ricordare le tappe percorse da Luigi Nono, dal suo esordio a Darmstaadt con Variazioni canoniche sulla serie dell’op. 41 di Arnold Schoenberg nel 1950, fino agli ultimi brani, tra cui centrale può essere Non consumiamo Marx, a palesare i centri neurali della sua poetica. Viene così proposto l’ascolto diLa fabbrica Illuminata, una composizione per voce e nastro magnetico a quattro piste su testi di Giuliano Scabia e un frammento di Due poesie a T. di Cesare Pavese – composta nel 1964 per il concerto inaugurale del premio Italia, e dedicata agli operai della Italsider di Genova-Cornigliano; non fu in quell’occasione eseguita, perché censurata dalla direzione della RAI a causa dei testi fortemente politicizzati e ritenuti offensivi nei confronti del governo. Durante l’ascolto incrocio lo sguardo con una delle due signore: ha le mani sulle orecchie e mi sorride; penso sia un’immagine fortissima, tanto sincera quanto naturale: è una musica cui non puoi non reagire in qualche modo. Non mi sembra poco.
Così dopo l’esecuzione-omaggio, inizia il nostro omaggio nelle esecuzioni. Ognuno porta la sua diversità in campo, tanto negli strumenti adoperati quanto nella tecnologia impiegata. C’è anche un visual che permette all’astante spaesato di orientare lo sguardo su delle immagini in movimento piuttosto che sprofondare nella distrazione. Devo dire che il livello è piuttosto buono, sincero rispetto agli studi e alle ricerche dei partecipanti, in grado di controllare scientemente i propri dispositivi, le proprie esecuzioni. Andrea lavora alla parte visuale mentre al banco suoni ci sono, a iniziare le danze, Marco e Giuseppe, poi Luca, Vincenzo, Antonio, Ivan (che diffonde un suo brano, assecondando la logica del fuori programma) e Salvatore, in un flusso della durata di quasi due ore. Il tutto mentre il Napoli sta guadagnando il suo secondo posto in classifica e un bel po’ di persone, nonostante la pioggia, assiste, mai passivamente, alla proiezione dell’ultimo match della stagione. Mi consegnano il panino con la salsiccia mentre Higuain fa trentasei.
La serata del 14 maggio ha visto riconosciuti gli sforzi di una stagione lunga e densa, e al tempo stesso ha visto la nascita di un insieme di persone che potrebbe iniziare a interfacciarsi usando in modo nomade gli spazi liberati della città, per diffondere non solo musica ma una razionalità sovversiva del suono. Che questo avvenga poi nel segno di quel pazzo di Luigi Nono, partendo dall’ex Opg, non mi sembra casuale. (antonio mastrogiacomo)
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