Scambi sonori è una rassegna di incontri dedicati alla divulgazione della musica elettronica, autogestita dagli studenti del Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli. Chiusi nella torre d’avorio dell’istituzione musicale può capitare manchi il contatto con l’altro cui la musica sembra essere destinata per suo statuto costitutivo. Così, riprendere le fila di questo discorso interrotto dal conservatorio, a partire dal conservatorio, sembra un gesto dettato da una certa urgenza ermeneutica.
La rassegna ha preso il via nell’autunno del 2016 e in pochi mesi è riuscita ad aprire una frattura nei ritmi burocratici di una cultura intesa come accumulazione di crediti – secondo una declinazione non economica del termine. Si tiene il sabato mattina, almeno una volta al mese, dalle 11 alle 13: ingresso libero, per tutti.
Sabato 13 maggio ha ospitato Walter Branchi. Giardiniere e compositore, il suo percorso musicale lo accompagna quale parte di un “intero” la cui complessità rimanda a una corposa produzione tanto teorica quanto compositiva.
Daniela Tortora, attenta ricercatrice e appassionata docente di storia ed estetica della musica, introduce il maestro prima di lasciare spazio a Luigino Pizzaleo, curatore del testo che viene presentato: Il pensiero Musicale sistemico. Scritti 1975-2014, per la collana di studi musicologici I discorsi della musica edita dalla casa editrice Aracne. Pizzaleo chiarisce i limites entro cui si muove il compositore Branchi, non più orientato a una musica tematica quanto alla ricerca di una musica il cui approccio sistemico indaghi i confini dell’accadere, muovendosi nel solco eracliteo di un suono che manifesti la dimensione del fluire. Una musica fatta di spazio tradotto nella misura del tempo. Una musica a-narrativa, che dialoga con quel che accade. Una musica il cui materialismo storico è salvaguardato dall’a-storicità del materiale impiegato.
Branchi era già stato in sala Martucci nel 2011, sempre di maggio. In quell’occasione una pioggia considerevole aveva dialogato con il suo intervento. Questa volta il clima è sereno, si sta freschi in una sala su cui non batte mai il sole. Prende parola e pone con gentilezza delle istanze critiche sulla posizione dell’ascolto, oggi, nella pratica quotidiana: una musica da ascoltare come ripetizione acritica e coatta di schemi e consuetudini del passato. Di converso una musica per ascoltare, in dialogo con l’ecosistema in cui trova spazio mediante la diffusione. Compone per sintesi additiva: somma sinusoidi – comporre il suono, comporlo nel suono. Ha scritto: Tecnologia della musica elettronica; Intervalli e sistemi d’intonazione; Verso l’uno; Canto infinito. Thinking Music Environmentally; 99 anni di rose. Té, Cinesi e Noisette (1825-1924).
Il testo presentato raccoglie tutto questo percorso nelle spire di un racconto in forma di scritti: a-narrativo, eppure biografico. Come la sua musica. Non c’è mai un attacco, non c’è un verso dell’ascolto. Tutto scorre, partecipa, accade. Si dimentica, non si ricorda. Precisa non sia il concerto a ospitare la sua musica, ma un ascolto. Per il tipo di manifestazione occorsa, infatti, la parola “concerto” è inesatta e storicamente fuorviante. Si tratta di ascolto come pura percezione, attraverso l’orecchio, di oscillazioni acustiche. Ora, di terra. Concorde. Sono i titoli delle composizioni diffuse, ognuna preparata da un silenzio. Voci e aeroplani hanno partecipato volutamente all’ascolto come attori del caso a partire dal quale ogni composizione è pensata quale occasione di una circostanza.
Un solo applauso, alla fine di tutto, come ringraziamento. L’unico di tutta la mattinata. Così, i protagonisti – l’uditorio in quanto ricevente, i maestri in quanto mittenti seppure nell’osmosi dei ruoli – si congedano. In breve la sala si svuota e ognuno torna alla vita di sempre. (antonio mastrogiacomo)