Ho conosciuto S. qualche settimana fa. Capelli biondi stretti nel tuppo, pantaloncino, maglietta cangiante. Viso pallido ed espressione stanca. Ha la mia età ma sembriamo appartenere a due generazioni diverse. S. fa le pulizie nelle case, ma all’occorrenza è sarta e su richiesta estetista. Con i compensi che le danno le “signore”, S. fa la spesa, compra le sigarette (per lui) e paga la benzina per quella che era stata la sua automobile e che ora utilizzano entrambi, nel senso che lui la accompagna al lavoro e poi la tiene per sé. Quando S. mi vede abbronzata, si rammarica del fatto che, lavorando tutti i giorni, non riesca a portare i suoi due figli al mare. «Io dico che è bello il matrimonio, ma non così però!», si lascia scappare, percependo con rassegnazione l’ingiustizia di essere sposata con un uomo che la depreda emotivamente prima che economicamente. Un giorno la mia amica Valentina, che nel suo paese, alla periferia nord di Napoli, aveva istituito uno sportello di ascolto antiviolenza, le ha chiesto: «Dimmi la verità, ti picchia?». «No, mai!», ha risposto prontamente S. «Qualche calcio ci può scappare, ma non mi ha mai messo una mano addosso».
Se quando penso ai racconti di S. mi viene in mente un vecchio pezzo di Maria Nazionale, Mi farai morire, oggi la canzone che le “tendenze” di Youtube mi propongono ossessivamente è L’uomo moderno, di Nancy Coppola e Stefania Lay. Da quando ho deciso di assecondare l’algoritmo, il sorriso di Nancy si è progressivamente imposto sullo schermo del mio cellulare, mentre più in basso, nella foto di copertina del singolo, adorante al suo cospetto e quasi in posizione ancillare, compare anche l’altra protagonista del video, Stefania Lay. Le due donne sono brune e formose, capelli lunghi, trucco smoky eyes. L’uomo moderno è una delle hit dell’estate afosa dei vicoli, un duetto tra le icone della musica pop napoletana contemporanea, uscito a fine luglio e che in un mese ha raggiunto quasi un milione di visualizzazioni.
Lo standard estetico del video è di respiro internazionale: carpentieri muscolosi che sembrano venuti fuori dal film Magic Mike, coreografie californiane e ritmo reggaeton che scandisce le movenze dei lombi. Il video racconta di una telefonata tra due amiche che, mentre si preparano a un’uscita serale, si confrontano sulle rispettive dis-avventure amorose. Ad accomunarle e contrariarle, un tema rappresentato come una vera e propria piaga sociale: la figura del maschio che ostenta virilità ma che si rivela poi non all’altezza dell’auto-rappresentazione social che egli stesso ha costruito. Macchina affittata, orologio pezzottato, vestiti paralleli, quotidianità patinate sfoggiate solo attraverso le storie di Instagram, la parità di genere utilizzata come scusa per non offrire al bar: è questo “l’uomo moderno” descritto dal duo, nient’altro che un pavone taccagno.
L’alleanza tra le due cantanti, alla ricerca del principe azzurro dal portafoglio pieno e che paghi il conto senza fare troppe storie, rimanda però solo una pallida sfumatura di para-femminismo. Il percorso verso l’emancipazione si esaurisce nella ricerca autonoma del partner, che deve corrispondere a precisi requisiti in termini di capitali, e nella libertà di uscire di casa per procacciarselo.
In un libro di qualche anno fa, la sociologa Eva Illouz spiegava che l’ideale dell’amore romantico – sviluppatosi a partire dalla Riforma Protestante, ovvero con l’affermazione di un Sé emotivo-riflessivo – ha segnato l’inizio di una serie di tensioni tra il sistema patriarcale e le aspettative sentimentali contenute nell’ideale del matrimonio paritario. L’amore romantico si configura quindi come ipotesi di riscatto, di superamento dei limiti imposti dall’esterno. Da questo punto di vista, la declinazione al femminile della musica cosiddetta neomelodica si è da sempre contraddistinta per una certa denuncia sociale e per una specificità di genere all’interno di un sistema culturale dominato da enormi pregiudizi culturali e tabù classisti: la descrizione del quotidiano racconta spesso di donne calpestate emotivamente e fisicamente, che cercano affrancamento nel vero amore. Regina di quello che lei stessa ha definito “femminismo popolare”, Maria Nazionale duellava addirittura con(tro) sé stessa per provare a impedire al suo uomo e al suo sentimento di accenderla e spegnerla come una sigaretta o usarla con la stessa facilità di un capo di abbigliamento, trattandosi di uno che “vene fa ‘ammore e se ne va”.
Nel 1996, un anno prima dell’uscita a opera di Maria Nazionale di Storie ‘è femmene, contenente Ragione e Sentimento, Stefania Lay cantava Non mi vedrai più nuda. La canzone è la storia di una ragazza che dopo essere sottostata al dominio maschile trova il coraggio di ribellarsi e sognare il riscatto con un amore a venire. Lay per tutto il decennio fornisce diverse immagini interessanti di quella parte di città che sfugge alla narrazione ufficiale, se non quando la si vuole raffigurare per triti stereotipi, costruendo un’efficace denuncia di stampo femminista. Negli stessi anni aveva affidato alla canzone ‘A Libertà il racconto di una maternità precoce, dell’adolescenza negata, del ricorso smodato alla violenza, della disparità di trattamento tra l’uomo che ha sempre il diritto di vedere gli amici mentre la donna deve restare chiusa in casa. Il ritornello “Voglio ‘a libertà!” rappresentava un grido di emancipazione e rivalsa proveniente direttamente dalla città di sotto, quella inascoltata dai più. Alcuni tra i brani più intensi della discografia di Lay si configurano come un vero e proprio affresco verista che raffigura le dinamiche di potere all’interno di alcune coppie tra le sacche della marginalità popolare, dove la possibilità di sfuggire alla volontà del padre prima e del marito poi può avvenire solo attraverso un uomo sinceramente innamorato o – magari! – attraverso percorsi lavorativi e formativi che rendano le donne veramente indipendenti. Nell’ultimo singolo che Stefania Lay propone con Nancy Coppola, invece, lo schema del patriarcato non si infrange e, anzi, si nutre delle stesse tare che vorrebbe denunciare: l’uomo che non offre è un “pacco” e non resta che sperare in un futuro appuntamento (e partito) migliore.
Ma a cosa si deve questa regressione nei contenuti, questo femminismo patinato, svilito, un po’ scroccone e annacquato? Probabilmente le logiche alla base della pubblicazione de L’uomo moderno sono semplicemente quelle del mercato, per cui un motivetto ben costruito vende più di un testo in cui si dà voce alle condizioni di subalternità delle giovani donne. Probabilmente, certe questioni sono considerate meno “urgenti”, anche alla luce delle numerose iniziative “spot” volte alla promozione della parità di genere degli ultimi anni, molto efficaci nel tenere il tema al centro del dibattito, ma non certo, come ci insegna la storia di S., nel prevenire forme di violenza culturale e fisica.
Se la musica napoletana popolare degli ultimi trent’anni ha avuto una caratteristica, questa è stata la capacità di raccontare le storie delle fasce marginali di popolazione, dando loro voce in una delle poche narrazioni verosimili e autoprodotte. Il salto di qualità e l’ascesa a livello nazionale che tanti dei suoi interpreti provano a compiere (la stessa Nancy ha partecipato tre anni fa all’Isola dei famosi) passa per l’uniformazione dei temi delle canzoni a uno standard che scimmiotta la musica nazionale, estromettendo una serie di elementi immediatamente riconducibili alla specificità locale. Una interessante cartina al tornasole, da questo punto di vista, la offrono le compagne di due tra i cantanti più popolari del panorama musicale napoletano, Alessio e Tony Colombo, diventate blogger, influencer, indossatrici, imprenditrici, senza rinunciare a tenere rubriche di cucina o a proporsi come modello alle fan dei rispettivi compagni; fan alle quali dai social mostrano fiere l’epilogo di un amore romantico, tutt’altro che paritario, in cui si dissolve senza colpo ferire qualsiasi rivendicazione femminista. (marilisa moccia)