Era il passaggio attraverso il lungo corridoio che separava le due aree espositive, la vera esperienza esaltante (vocabolo abusato nelle pubblicità di presentazione della fiera) di Napoli Città Libro, salone dell’editoria partenopeo organizzato dagli editori Guida, Polidoro e Bianco, dal 4 al 7 aprile al Castel Sant’Elmo. Attraversare quello stargate di oltre cento metri – talmente lungo da costringere gli organizzatori ad attaccare sulle pareti dei fogli di carta con delle frecce e su scritto a penna: “La fiera continua da quella parte” – è stata per tutti una piccola esperienza mistica, e non solo per l’escursione termica di dieci gradi che separava l’area riscaldata del castello da quella umida e inospitale. Al di là del corridoio, infatti, si potevano incontrare interessanti specie di editori, librai, addetti ai lavori che cercavano di industriarsi alla buona accendendo stufe, lampade a caldo, fuochi improvvisati per scongiurare il pericolo di estinzione e soprattutto per salvare i propri libri (qualcuno non ce l’ha fatta: solidarietà!), inzuppatisi nella notte tra giovedì e venerdì a causa dell’umidità. Il tutto dopo aver speso, soltanto per lo stand, cifre fino ai mille e duecento euro cadauno.
Tuttavia, essendo stata la logistica improvvisata l’unico punto dolente, anche un critico così pedante come il sottoscritto ha potuto rilassarsi e godersi la fiera. Anche perché le presenze, così come sbandierato da telegiornali e quotidiani locali, sono state parecchie, seppur sbilanciate tra il deserto di giovedì e venerdì e il discreto movimento del fine settimana (erano proprio necessari quattro giorni di Salone?).
Anche perché c’è stato da registrare un passo avanti rispetto all’edizione dello scorso anno, con una location più grande, che ha temprato la popolazione napoletana leggente spingendola ad affrontare ripide scalinate e climi rigidi ormai fuori stagione, e sale all’interno delle quali gli stessi visitatori potevano assistere alle presentazioni con tutti i confort, inclusa la possibilità di stendere i piedi o appoggiare il giaccone (quando il riscaldamento concedeva la svestizione) su una delle tante sedie vuote. O come il salto di qualità nella macchina pubblicitaria che, al contrario dello scorso anno, non ha nemmeno sbagliato i nomi degli ospiti sulle locandine.
Anche perché da tempo, dalle nostre parti, si è abbandonato il gusto dell’esotico, e quindi ci si è fatti piuttosto in fretta una ragione dell’assenza degli editori a nord della capitale e in generale della quasi totalità delle grandi case del resto del paese.
Anche perché – bisogna dare al Salone quel che è del Salone – non sono da trascurare i risvolti occupazionali, con i tanti giovani arruolati nello staff che hanno potuto mettere da parte un piccolo capitale, fino a duecento euro lordi per quaranta e più ore di lavoro, forse insufficienti per pagarsi la vacanza, ma non un weekend con il fidanzato o la fidanzata (magari non fuori regione, che poi i costi salgono, tanto in Campania ci sono un sacco di bei posti).
Anche, e soprattutto perché, un programma così denso e culturalmente ricco come è stato quello del Salone, valeva bene una messa (domenicale saltata), così come qualche pizzico sulla pancia che i visitatori (spesso costretti a gironzolare a lungo prima di trovare ciò che cercavano, compresi i ricercatissimi cestini della carta) e i librai (chi esiliato in Siberia, chi isolato per assenza di linea telefonica e internet, chi calpestato all’uscita dalle sale dal pubblico che aveva assistito agli incontri) hanno dovuto darsi.
Napoli Città Libro è stata infatti una fiera che non si è fatta mancare niente. La stretta di mano tra de Magistris e De Luca (rivendicata dal sindaco con la consueta classe: «Sono un signore!»), che è piaciuta molto ai giornali cittadini, i quali hanno potuto riempire fino a tremila battute con questo nulla; l’ennesima presentazione del Napoli Teatro Festival a cura dell’accoppiata Barbano&Cappuccio; un piccolo stuolo di nomi noti, da Perrella (mattatore: presente ad almeno cinque tra dibattiti e presentazioni) a Durante, da Piccolo a De Cataldo, si dovesse rischiare di attirare qualche visitatore da altre città d’Italia!; il sogno – che poteva sembrare plausibile dopo aver visto un La Capria molto provato trascinarsi per i corridoi del castello – di imbattersi nell’autore de I Trionfi, salvo poi scoprire che il Petrarca che presentava L’Avvoltoio era Giuseppe e non Francesco.
E poi Angelo Forgione sui pomodori di Napoli, il romanzo degli youtuber di Casa Surace, Gigi&Ross di Made in Sud, Pippo Baudo, Arbore, Salemme, Don Luigi Merola, Antonio Loffredo, “Il terzo settore nella deontologia dell’informazione”, “Le iniziative europee a sostegno del libro tra presente e futuro. Incentivi e opportunità per gli editori”, Rita Dalla Chiesa, “E-sport e Universiadi”, Alex Zanotelli, Peppe Iodice, Alfonso Ruffo, Umberto Ranieri, Luciano Schifone, addirittura Vincenzo Scotti. Niente Maurizio De Giovanni, tra lo stupore e le domande dei suoi lettori. Il giallista campione di vendite, dopo essere stato la punta di diamante del Salone lo scorso anno, quest’edizione ha trovato addirittura il coraggio per stroncarla, seppure guardandosi bene dal fare nomi e riferimenti diretti, con uno spuntato editoriale sul Corriere del Mezzogiorno.
L’amore dura tre anni era il titolo di un libro leggero ma gradevole di Frédéric Beigbeder. Da considerare per una presentazione alla fiera del prossimo anno, sperando possa essere l’ultima. (riccardo rosa)