C’era una volta il Wimbledon Football Club, una delle tantissime squadre di Londra. I suoi giocatori vestivano la maglia gialloblu. Fu fondata nel 1889, e da allora militò quasi sempre in prima divisione, ottenendo un clamoroso successo in FA Cup nel 1988 contro il Liverpool. Dopo un periodo di declino, a seguito della retrocessione, nel 2002 fallì. I nuovi dirigenti pensarono di assicurarsi maggiori vantaggi nel trasferire la sede a Milton Keynes, a cento chilometri da Londra. I tifosi del Wimbledon si organizzarono e fondarono quindi una loro squadra, che ripartì dal baratro dell’ultima categoria dei dilettanti di quartiere. Per i primi anni in campo scendevano alcuni di loro, tifosi e sostenitori che finanziavano il progetto e il sabato indossavano la maglia del cuore. Nel giro di nove anni, dopo cinque promozioni, adesso il Wimbledon è tornato tra i professionisti, nella nostra C2. Il Milton Keynes gioca, senza tifosi e con le maglie bianconere, una categoria più su.
In Campania, tra serie A e Promozione, esistono più di cinquecento squadre. Alcune di queste hanno storie brevi, nascono e nel giro di due anni falliscono. Altre sono sempre in bilico, con i presidenti costretti a spostare la sede per accasarsi dove ci sono più possibilità di guadagno. Come la Virtus Neapolis Frattese, che ora è la squadra di Frattamaggiore e gioca in serie C2. Fino allo scorso giugno si chiamava Neapolis Mugnano e lì giocava le sue partite, riscuotendo anche discreti successi. Nel 2008 la Neapolis Mugnano non esisteva ancora: nacque infatti dalle ceneri della gloriosa Sangiuseppese, la squadra in cui giocava lo zio di mia madre, nome in codice Vecienz o’camion, stopper dai modi burberi. A San Giuseppe Vesuviano adesso nessuno sa spiegarsi in che modo la squadra, nel giro di appena tre anni, sia arrivata a Frattamaggiore. Quelli di Frattamaggiore, intanto, temono che le partite in casa fra tre anni si giocheranno a Teano. Il problema della sopravvivenza delle società non è di poco conto se si pensa che talvolta si tratta di squadre con lunghe storie alle spalle, in cittadine molto popolate e dunque con un discreto numero di tifosi. Che dall’oggi al domani restano senza squadra.
Cinquecento squadre, ovvero più di diecimila calciatori. Per non parlare poi delle categorie ancora più in basso, delle scuole calcio, le giovanili, i tornei intersociali. Resta comunque pratica diffusa associare una partita di basso rango a calciatori poco dotati tecnicamente. Negli inferi del pallone ciò che regna è sicuramente il caos tattico, e non sempre questo è un male. Sui campi dalla serie D in giù si possono ammirare giocate di fino e rinvii alla viva il parroco. È sempre stato così il calcio, ci sono interpreti con i piedi buoni e altri con i piedi storti, questi ultimi in netta maggioranza, anche in serie A. Nel calcio la differenza fra dilettante e professionista, molto spesso, la fanno unicamente l’ingaggio percepito e gli anni di indottrinamento tattico.
Stipendi milionari che comunque non determinano condizioni di vita agiata se i calciatori di serie A indicono uno sciopero e fanno saltare la prima di campionato. Cavani ha preparato la maglietta con Il quarto stato di Pel lizza da Volpedo, la sfoggerà al prossimo gol, invece Gattuso sta organizzando picchetti a Milanello. Mentre l’associazione calciatori di serie A dialogava con i vertici della Lega Calcio, i dilettanti erano già in campo. Ragazzi che giocano al calcio ma fanno anche un altro mestiere. C’è chi gioca per pura passione, chi spera ancora nel professionismo, chi è disilluso. Nella prima categoria si annovera Vanni Careri, questa è anche la sua storia.
«Non c’è chiarezza d’intenti per battere questo calcio piazzato. Lo fa Careri ed è rete!». Angri-Ebolitana, interregionale, stagione 97/98. Vanni ha venti anni, l’allenatore della sua squadra, l’Angri, proprio non riesce a vederlo titolare. Contro l’Ebolitana, la rivale di sempre, l’Angri si gioca la salvezza. Vanni entra nel secondo tempo, sulle spalle ha il numero 15, la sua squadra è sotto di due gol. Pochi minuti e l’Angri ottiene un calcio di punizione dal limite dell’area, lato destro. Vanni sistema il pallone sulla linea, con le mani tenta di ammorbidire il terreno polveroso mentre il portiere dell’Ebolitana sistema la barriera. Sulla palla si portano due mancini, uno di loro ha proprio l’aria di essere il veterano: numero 6 sulle spalle, gambe magre, calvizie. Vanni è destro e, per la posizione di palla e barriera, quel tiro non gli apparterrebbe. Lui, comunque, degli altri due non si è accorto, guarda solo un punto, fisso, oltre la barriera, oltre il portiere. Stacca per un attimo gli occhi dal punto, si volta verso destra, alza una mano e comanda all’altro di star fermo. Due passi e il calcio, la palla che si alza, gli uomini in barriera che non saltano, un po’ per indolenza, un po’ perché la vedono fuori portata, la palla che infine piomba nella rete e il portiere che è ancora lì, dove si era piazzato all’inizio.
Quella partita dimenticata però non è l’inizio di una carriera alla Rocky. L’Angri la perderà 2 a 1, e il gol di Vanni non servirà a nulla. A fine partita l’invasione di campo, i tifosi che non accettano di essere retrocessi proprio contro l’Ebolitana. Rincorrono i calciatori e si scontrano con la tifoseria ospite, ma Vanni non scappa. A lui si avvicina un tifoso, gli consegna la borsa e dice: «Vai Careri, tu sei stato l’unico professionista in questa squadra». Da allora Vanni di squadre ne ha viste, oggi ha trentaquattro anni e considera chiusa la sua carriera. Ha giocato nell’Internapoli, a Bacoli, a Portici. A Montesarchio ancora oggi, nei pressi del campo, c’è una sua foto, una sorta di poster. Sotto c’è scritto “il fenomeno”. Vanni è sempre stato questo, per compagni di squadra e (alcuni) allenatori, un fenomeno. Spesso si chiedevano come mai il ragazzo non fosse arrivato ancora a giocare in serie A.
Qualche volta gli è capitato di essere scavalcato da ragazzi che avevano cognomi famosi e piedi sgraziati. Ora non ci pensa più, fa altre cose che lo rendono felice, ma resta sempre un fenomeno. Da qualche anno la storia si ripete: a settembre è senza squadra, non cerca e non è cercato. Poi arriva gennaio, ad Anacapri, Mondragone o altrove sono in difficoltà e lo chiamano: «Vanni vieni, ci dobbiamo salvare». Lui accetta sempre di buon grado, giocare per lui resta soprattutto un piacere. Ci sono alcuni video su internet in cui palleggia per dieci minuti con una pallina da tennis, magari con la tibia, oppure da seduto, piedi, ginocchia e testa. Una volta Maradona disse a Valdano: «Se mi trovo a una festa in casa del presidente della Repubblica, con lo smoking addosso, e mi lanciano un pallone sporco di fango, io lo stoppo di petto e lo restituisco come Dio comanda». E Dio comanda di restituirlo con i piedi. Vanni la pensa più o meno allo stesso modo. (davide schiavon)