Non sono tantissime, per una buona parte della popolazione di Barra, le cose più importanti della festa dei gigli. Adulti, anziani, ragazzi, arrivati a settembre nessuno aspetta altro che la sfilata abbia inizio, che la prima alzata dia il via a una lunga giornata che è troppo importante per non essere celebrata.
La presenza di tantissimi giovani sotto i vent’anni, anzi la loro partecipazione attiva alla festa, è la cosa che più colpisce all’arrivo al corso Sirena. Ragazzi, tanti, la maggior parte dei quali esibisce acconciature curatissime: le creste, il classico “doppio taglio”, la sfumatura, la “stiratura” per chi li porta più lunghi: attraverso un’accorta operazione a base di lacca e gelatina ognuno ha modellato la propria testa a suo piacimento per il giorno più importante. Se fino alla sera prima erano state la scarpa all’ultimo grido, o la camicia tiratissima, il motorino e la macchina tirata a lucido (per chi ce li ha), le parole d’ordine, questa non è una sfilata di moda, né una domenica qualunque: è il 25 di settembre, e non c’è spazio per altro. Si indossa orgogliosi una semplice maglietta di cotone, con i colori e i simboli della paranza, anche se non se ne fa parte. Anche se si è semplici tifosi. Tutti uguali, e per una volta senza problemi nell’esserlo.
Appena scesi dalla macchina, due ragazzi parlottano tra loro, sfottendosi un po’, e facendosi gli “auguri” prima dell’inizio: «Guagliò, – dice uno tutto bardato rosso-blu, inequivocabilmente supporter dell’ Insuperabile – s’appripara ‘na jurnata amara p’a Mondiale!». Mondiale e Insuperabile sono le due paranze più grandi, come si capisce girovagando all’interno dei comitati, stanze decorate a festa e piene di trofei, quadri, foto d’epoca e targhe, attraverso le quali si potrebbe ricostruire l’intera storia dell’antica festa. All’esterno anziani signori seduti a chiacchierare, che ormai non riescono più a essere utili per il trasporto del giglio, fungono anch’essi da simboli, come se rivendicassero il proprio contributo passato a quella storia pluridecorata. Mondiale e Insuperabile è il grande duello, lo si capisce subito, anche se nessuna delle altre paranze, in realtà, ci sta a fare la parte del comprimario, e la sfida è lanciata. Tutti contro tutti, fino all’ultima spalletta.
La festa va avanti fino a notte fonda, quasi alle prime luci dell’alba, quando verrà decretata la paranza vincente. A spuntarla è l’Insuperabile, nonostante il giglio della Mondiale sia forse ancora più bello, dedicato interamente alla squadra del Napoli, con decorazioni raffiguranti giocatori, tifosi in festa, e un ciuccio fiero e impettito. Sul giglio della Formidabile, intanto, un anziano signore in camicia rosa e coppola bianca gesticola con negli occhi qualcosa di simile a ciò che dev’essere la felicità: «Quello è ‘o masto ‘e festa. È uno dei pochi rimasti della vecchia generazione, forse l’unico», mi racconta Rosario, che poco prima mi aveva parlato anche del brindisi della sera prima e della sveglia all’alba. Durante la festa si mette in evidenza anche la paranza Barrese-Amici miei, i cui musicisti sono per la maggior parte ragazzi molto giovani, quasi tutti sotto i venti, tutti bravissimi. Guardandoli suonare è venuto da chiedersi se da domani poseranno i loro tamburi e le loro tastiere fino alla prossima girata, oppure qualcuno di loro ha interesse e voglia di continuare a suonare anche durante il resto dell’anno.
Il panino porchetta, friarielli e provola fornisce le energie adeguate per proseguire seguendo musiche che vanno dalle antiche canzoni napoletane a quelle contemporanee, passando per sorprendenti citazioni dai Blues Brothers, Abba, Pink Floyd. Un giovanotto dai tratti est-europei cammina ballando e tracannando birre, tanto da venir guardato male da tutti, fuorché dall’omino che glie le vende, le birre, a ritmo frenetico, e a due euro e cinquanta a lattina. Siamo in una strada stretta che poi sfocerà a largo Catena, roccaforte della paranza Casavatorese, e ogni girata (il movimento con cui il giglio viene fatto ruotare su se stesso, per mostrare la facciata principale anche a chi ne è alle spalle) è uno spettacolo. Tutto uno sfiorare, per questioni di millimetri, palazzi, balconate, terrazzi e insegne. A ogni posata un applauso.
Arrivati in piazza, verso l’una, dopo aver incontrato quasi tutte le paranze, raggiungiamo la macchina fischiettando le musiche più orecchiabili ascoltate, cercando di ricordarne le parole. Lungo la strada, piena ancora di folla, è ancora per qualche ora tempo di festoni, bancarelle, luci, panini e fritturine. I pochi tra giornali e siti internet che hanno parlato della festa questa mattina, lo hanno fatto per raccontare i poco piacevoli applausi riservati nel pre-festa, in qualche vicolo, ai signorotti locali in camicie Harmont & Blaine e giacche eleganti, di cui qualcuno (questo non l’hanno detto però) era candidato alle scorse elezioni. Noi abbiamo preferito i balli latino-americani, gli artigiani che vendevano i modellini dei gigli in miniatura, i palchi dove le bambine si scatenavano sopra la musica lanciata dai cd con i migliori pezzi della festa. Colori e rumori di quella realtà, quel camminare sul filo, quel caos gioioso che nonostante tutto rimane la nostra città. Alla faccia di chi non lo capisce. (riccardo rosa)