Sarà presentato venerdì 13 aprile, alle ore 17,30, alla libreria LaterzAgorà (Teatro Bellini / via Conte di Ruvo, 14) il libro di Marta Fana: Non è lavoro, è sfruttamento. Ne discuteranno con l’autrice Antonio Di Luca (operaio Fiat Pomigliano, delegato Fiom), Paolo Frascani (storico), Enrico Pugliese (sociologo).
Disintegrazione della grande impresa verticalmente integrata, frammentazione e dispersione geografica delle attività produttive, subappalto organizzato e organizzazione reticolare della produzione, precarizzazione del lavoro, frammentazione della classe lavoratrice e delle sue forme associative. La ristrutturazione del capitalismo ha progressivamente allargato lo spazio di dominio delle imprese e assecondato la smania del capitale nel ricercare soluzioni spaziali e temporali profittevoli. Nella maggioranza dei paesi industriali avanzati, negli ultimi trent’anni, questa ristrutturazione economico-produttiva è andata di pari passo con lo smantellamento del complesso dei diritti dei lavoratori. Il lavoro ha subito profonde trasformazioni e i suoi rapporti di forza con il capitale sono stati ridisegnati dal continuo spostamento dell’asse delle tutele dai lavoratori alle imprese. I risultati sono sotto gli occhi di chiunque abbia voglia di vedere: sfruttamento, impoverimento, informalità, ritorno del cottimo.
A consegnarci un ritratto della nuova classe operaia italiana senza fabbrica è Marta Fana nel volume Non è lavoro, è sfruttamento edito da Laterza. L’autrice analizza il duro attacco sferrato dal capitalismo alla classe lavoratrice italiana. Il campo di battaglia in cui si cala per raccontare scontri e feriti è un mercato del lavoro che a colpi di leggi e provvedimenti, dal pacchetto Treu al Jobs Act, è stato progressivamente deregolamentato, flessibilizzato e reso funzionale agli interessi economici delle imprese. La ridefinizione del complesso dei vincoli relativi ad assunzioni e licenziamenti e la liberalizzazione dei contratti a termine sono stati gli obiettivi principali di politica del lavoro perseguiti negli ultimi trent’anni da governi di diverso colore politico alla scopo di frammentare, disciplinare e impoverire la classe lavoratrice.
Il volume contribuisce al dibattito sulle trasformazioni del lavoro contemporaneo tracciando profili e caratteristiche dei membri di una nuova formazione proletaria. Questi nuovi proletari d’Italia, quando non arruolati nell’esercito dei disoccupati, o costretti a emigrare e lavorare come lavapiatti e camerieri nei ristoranti di mezza Europa, vengono assunti dalle agenzie di somministrazione e affittati per poche ore dai colossi della grande distribuzione organizzata; lavorano a voucher come saldatori, a nero nei bar e nelle pizzerie, a rimborso spese nelle biblioteche comunali e a gratis nei fast-food dell’alternanza scuola-lavoro. Negli ospedali, nelle università, negli uffici pubblici e nelle scuole, i loro contratti e le loro retribuzioni sono legate alle offerte al ribasso delle cooperative a cui il settore pubblico appalta sempre più servizi e sfruttamento. Nell’edilizia lavorano come cottimisti a partita iva e sono pagati a “metro quadrato lavorato” dalle imprese che ottengono gli appalti. Nei call center, invece, la loro paga a cottimo viene calcolata da un contatore che misura solo ed esclusivamente il tempo effettivo di conversazione avuto con il cliente, il cosiddetto talking, tenendo fuori il tempo dello squillo e quello impiegato per contattarlo. Nei grandi cantieri, dove le lunghe catene di subappalti gestite da ex aziende a partecipazione statale hanno come anello terminale piccolissime imprese, la loro paga oraria si trasforma in “globale” e contiene al suo interno ferie, tredicesima, malattia, permessi. Nelle città i nuovi proletari girano su bici e motorini per tre euro a consegna e, quando non lo fanno in nero, lo fanno come lavoratori autonomi, senza comunque nessun diritto. Nei magazzini, sotto ricatto e con paghe da fame, sistemano e distribuiscono le merci prodotte da altri sfruttati nelle reti di subfornitura internazionale capeggiate dai grandi gruppi multinazionali.
Se ricatto, sfruttamento, subalternità, precarietà, assenza di tutele, povertà, sono gli elementi che accomunano le nuove figure del lavoro contemporaneo, mai come ora emerge la necessità di un contrattacco organizzato da parte di tutte quelle forze politiche e sociali per le quali il lavoro rappresenta ancora uno strumento di emancipazione e non una mera variabile economica del costo d’impresa. (giuseppe d’onofrio)