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napoli
10 Aprile 2018

Rinnovare il paesaggio. Gli oliveti del Casale di Posillipo

Antonio Di Gennaro antonio di gennaro, casale, horatiopost, napoli, oliveti, posillipo
(archivio disegni napolimonitor)
(archivio disegni napolimonitor)

da: Horatio Post

Mariachiara De Luca mi fa strada tra gli ulivi, sotto il Casale medievale di Posillipo, le scarpe si inzuppano nel prato freddo di rugiada, è un tappeto di fiori gialli di acetosella. Capri ci è davanti, tra schegge infinite di luce. Traversando il borgo, fuori un uscio a pianterreno, ci sono le reti di Totonno ad asciugare, tra il mare e la campagna che ti avvolgono, proprio non capisci se è un villaggio agricolo, o di pescatori. La chiesa è del Duecento, la leggenda dice fu costruita coi soldi di tre greci, se li erano guadagnati facendo i saltimbanchi in città, e la dedicarono a Santo Strato, arrivato assieme a loro da lontano. Tutt’intorno al Casale la campagna c’è ancora.

A Posillipo il verde è tanto, ed è verde agricolo più che di giardini. Mariachiara, il suo, se l’è dovuto riconquistare, dopo che gli equilibri e le regole che per dieci secoli avevano retto la campagna, erano saltati d’improvviso, una ventina di anni fa, con la riforma dei patti agrari, e la decadenza dei contratti storici di colonìa, basati sulla divisione dei prodotti tra il coltivatore e la proprietà. «Vincenzo era il nostro colono da sempre», racconta Mariachiara. «La sua famiglia era con i De Luca da generazioni. Alla scadenza della colonìa gli è rimasta la casa, ha continuato a curare la terra, fin quasi ai novant’anni, fino a che le forze lo hanno sostenuto. Dopo, inesorabile è iniziato il declino. L’oliveto dove ci troviamo, proprio sotto Santo Strato, prima era un frutteto, in pochi anni s’è trasformato in una boscaglia inaccessibile. Non potevo pensarci, ci stavo male. Facevo la commercialista, e mi sembrava assieme ai luoghi di perdere la memoria di una vita, di me bambina, le giornate infinite che seguivo Vincenzo nei lavori, a raccogliere il fascio di fiori per la casa».

Mariachiara non ci sta. Lascia il lavoro, dice alla famiglia che si dedicherà al recupero della campagna, e non rimane certo a guardare, perché è lei alla fine a salire sul trattore. «La mattina che abbiamo iniziato a ripulire, togliere i rovi, disboscare, i vicini hanno chiamato la polizia municipale, pensavano fosse l’inizio di un abuso. Sotto i rovi abbiamo trovato i telai di una quindicina di motorini, addirittura era sorta una specie di casupola».

Quindi, con Fabrizio Cembalo, l’agronomo che l’assiste nell’impresa, e il cugino Alberto, la decisione più impegnativa, il disegno della nuova azienda, la scelta delle colture da reimpiantare. Gli antichi albicocchi non è il caso, c’è l’Aromia bungii, un coleottero venuto da poco dal Giappone, che li sta attaccando tutti, la grossa larva scava l’interno del tronco e porta a consunzione la pianta. Per la vite – Posillipo è stata per secoli terra di vino – occorre troppa manodopera, e una tecnica agricola difficile da attuare nel mezzo della città. La scelta cade sull’olivo, da tre millenni l’albero mediterraneo per eccellenza, ma che nel paesaggio rurale del promontorio rappresenta una novità.

«È una decisione molto interessante», mi dice Raffaele Sacchi, docente della Federico II, tra i più grandi esperti internazionali d’olio extravergine. «L’olivo è un albero adatto alle nostre città, è possibile coltivarlo con metodi biologici, le querce e le siepi di Posillipo sono l’habitat ideale per gli insetti utili, nemici della mosca che rovina le olive. Il terroir di Posillipo, la combinazione unica di suolo e clima, è senza dubbio la premessa per un olio di elevata qualità, e la coltivazione dell’olivo è comunque in espansione in tutta l’area metropolitana, quindi non solo la Penisola – luogo elettivo di produzione – ma il Vesuvio, i Campi Flegrei, e persino l’isola azzurra, dove Gianfranco D’Amato è riuscito a lanciare la produzione del suo “Oro di Capri”.

Insomma, secondo Raffaele, l’olivo è albero multifunzionale per eccellenza, produce un alimento nobile, che è alla base della dieta mediterranea, ma oltre a questo protegge il suolo, aiuta la biodiversità, e crea tutto un paesaggio, insomma è un grande alleato per migliorare l’ambiente urbano e tenere vivo il territorio rurale, a cominciare da Posillipo.

Le previsioni di Raffaele Sacchi si stanno avverando, l’olio di Posillipo che Mariachiara ha iniziato a produrre, ha avuto giudizi eccellenti nelle prove di degustazione, insomma, l’inizio è incoraggiante. Certo, le difficoltà non mancano, per molire le olive Mariachiara deve rivolgersi a frantoi lontani, addirittura fuori provincia, lei personalmente segue il carico delle olive sui camion, non le abbandona fino a che il fiotto verde e profumato cola nelle lattine, poi le riporta a casa. Occorrerebbe un frantoio vicino, ma per realizzarne uno serio bisogna mettere insieme almeno 50-60 ettari di oliveto, ed è per questo che Mariachiara sta ora lavorando per creare una rete, mettere insieme i fondi rurali di Posillipo, convincere le famiglie ad assicurare a questi preziosi paesaggi una prospettiva di cura e di gestione certa, e un nuovo futuro. «Da piccola pensavo che la campagna si mantenesse bella da sola, solo dopo ho capito che il paesaggio è un lavoro e una responsabilità».

D’accordo con Mariachiara è Massimo Visone, studioso di storia del paesaggio del Dipartimento di Architettura. «Quello che non riusciamo a capire è che il paesaggio di Posillipo è una macchina sofisticatissima, dove i monumenti non sono solo i borghi, le ville storiche e le chiese, ma ogni terrazzo agricolo, ogni muro di contenimento, ogni percorso storico, ogni fosso di scolo, che sono così da quando li ha dipinti Giovan Battista Lusieri, da quando appaiono meticolosamente cartografati nella mappa del Duca di Noja di fine Settecento, che ora è consultabile on line sul sito della Biblioteca Nazionale, e il Casale e l’arboreto di Mariachiara li riconosci meglio che su Google Earth».

Certo Massimo ha qualche perplessità sull’olivo a Posillipo, in città l’oliveto era una prerogativa dei monaci, come intorno alla Certosa di San Martino, mentre il paesaggio del promontorio è storicamente legato ai frutteti e alle vigne. È anche vero che gli agrumi in Penisola si sono affermati solo nell’Ottocento, e i paesaggi storici vivono anche di fratture che poi diventano tradizione, ma la questione che pone Massimo è stimolante, su quale equilibrio si debba trovare tra innovazione e mantenimento dei caratteri identitari, assicurando comunque ai paesaggi una possibilità di gestione attiva, e un aggancio con nuove economie.

Ora Mariachiara, Alberto e Fabrizio stanno lavorando per un nuovo patto, una nuova agricoltura di qualità a Posillipo, a partire dall’olio extravergine. Certo, perché questo avvenga è necessario che le famiglie e gli abitanti del promontorio si rimettano in gioco, facciano squadra, per garantire la vita di un paesaggio di rilievo mondiale, che altrimenti non ha futuro, mettendo da parte un istinto che pure c’è all’isolamento, la riluttanza a connettersi col resto della città, l’idea che la campagna si mantenga bella da sola, senza investimenti. «All’origine di tutto», conclude Mariachiara, «c’è un dovere nei confronti dei miei figli e dei miei concittadini. Se non mi fossi decisa avrei assistito allo sgretolamento di quanto ho di più caro. Certo, la mia vita è cambiata. Ora la fatica è convincere anche altri, che l’agricoltura e la coltivazione della bellezza sono un lavoro che può dare nuove soddisfazioni, anche economiche, che vale proprio la pena di affrontare». (antonio di gennaro)

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