La sanità italiana d’estate fa sempre notizia, quella del Sud in particolare. Il primo settembre Pierpaolo Sileri, presidente della Commissione igiene e sanità del Senato è intervenuto al Tg5 avanzando alcune proposte per “migliorare il sistema sanitario”: aumentare i posti nelle scuole di specializzazione, magari con l’aiuto di contratti messi a disposizione dalle regioni stesse; stabilizzare i precari e fermare la “fuga dei cervelli” incentivando i giovani medici a rimanere in Italia. Il tutto mentre rimbalza in rete la notizia del concorso andato deserto al Pronto Soccorso di Parma. L’intervista di Sileri è in linea con quanto dichiarato dalla ministra Grillo a fine luglio, che nell’annunciare l’avvio degli Stati Generali per il benessere equo e sostenibile illustrava le priorità del governo disegnando un quadro di politiche sanitarie che definire ambizioso è poco. Un elenco di intenzioni che al momento sono prive di indicazioni sulle coperture per la loro realizzazione. Ma a parte questi spunti isolati, la sanità pubblica compare sui media soltanto per agitare lo spettro della Malasanità.
Ha fatto scalpore a luglio la festa che avrebbe interferito con il funzionamento di un reparto dell’Ospedale del Mare a Napoli. Uso il condizionale perché, nonostante le sentenze dei media, i fatti sono oggetto di inchiesta, che non è una formalità prima di una sicura condanna ma un processo più articolato che prevede il diritto alla difesa. A ogni modo, un elemento su cui riflettere è questo accendersi dell’attenzione pubblica su singoli eventi – per quanto incresciosi – piuttosto che su grandi temi da affrontare in maniera razionale. Viene da pensare che questa modalità di approccio a un tema di così grande rilevanza serva proprio a far sì che tutto resti drammaticamente uguale a sé stesso.
Servono a questo scopo “scandali” come l’ormai famoso party, sul quale si è mosso addirittura il ministro, o eventi come la vicenda (sempre estiva) delle formiche all’Ospedale San Paolo, denunciata un anno fa dal consigliere regionale Borrelli, paladino degli indignati che, a bordo del suo scooter, fa da catalizzatore di denunce e segnalazioni di disservizi e malaffare. Sulle formiche al San Paolo la ministra Lorenzin dichiarò ai giornali di essersi impegnata a “debellare questo fenomeno che dura da anni”. Non si è mai capito se si riferisse nello specifico alle formiche o, in senso più ampio, all’insieme del mondo degli insetti arrivati a minare le fondamenta del sistema sanitario regionale campano.
Sulla stessa linea ha viaggiato, di recente, la notizia dei cartoni che sarebbero stati utilizzati in Pronto Soccorso a Reggio Calabria per immobilizzare gli ammalati. Vicenda anche questa tutta da comprendere, con i medici del nosocomio calabrese che rivelano che, in realtà, i suddetti cartoni sarebbero “presidi” di fortuna con cui i pazienti arrivano in Pronto Soccorso. Il tutto in un contesto di carenze e difficoltà strutturali tali che se anche i cartoni fossero utilizzati in P.S. andrebbe fatta un’analisi dei problemi organizzativi e gestionali a monte del problema piuttosto che prendersela con il personale. L’interesse dei media però non è quello di analizzare i processi allo scopo di progettare soluzioni ma unicamente di alimentare un caos che funga da cassa di risonanza alle dichiarazioni del politico di turno.
Parlare di Malasanità fa pensare a una “cattiva gestione” che pregiudicherebbe il funzionamento di un sistema fondamentalmente efficiente. Una Mala-sanità, quindi, contrapposta a una Buona-sanità in una dicotomia che niente lascia capire delle reali problematiche in questione. Formiche, cartoni, primari goderecci, medici e infermieri infedeli e professionisti della timbratura multipla: un artificio per dire che nulla deve mutare in profondità e che basta moralizzare la società e attuare provvedimenti repressivi per far sì che le cose, finalmente, funzionino. L’evento critico e la sua complessità vengono semplificati e ridotti a “colpa”, ricevendo in risposta un provvedimento punitivo che produce rassicurazione. Un’ottica tutta interna al pensiero reazionario che vede nella soluzione repressiva l’unica risposta a problemi di grande complessità, come nel caso del provvedimento sui vaccini dell’ex ministra Lorenzin che di fronte a un evidente problema di relazione tra cittadini e sistema sanitario, oltre che di profonda crisi della credibilità della classe medica, decide di trasformare un atto di sanità pubblica in un TSO, un trattamento sanitario obbligatorio.
L’approccio repressivo è stato la soluzione di momenti critici che un sistema sanitario dovrebbe affrontare invece tenendo conto della complessità dei problemi, originati da processi di lungo periodo come il progressivo de-finanziamento della sanità, che in nome della sostenibilità ha determinato riduzione del personale sanitario, scarsità di risorse per rendere adeguate ai tempi le strutture sanitarie e, soprattutto, il rinvio sine die della riorganizzazione della medicina del territorio, la Grande Assente. È chiaro, però, che un’analisi approfondita di questi processi chiama in causa direttamente chi tiene le redini del sistema, la politica e anche le figure manageriali preposte alla gestione della macchina sanitaria. Adeguamento delle strutture e del personale, progettazione e attuazione di una rete efficiente per le urgenze e le emergenze, avvio della riforma della medicina del territorio sono questioni che investono direttamente la classe politica, di certo non il personale in difficoltà nei presidi di frontiera e nemmeno quello col vizio della timbratura multipla.
A dicembre la riforma 833 del 1978, con la quale nasceva il Servizio Sanitario Nazionale, compirà quarant’anni. Un compleanno passato sotto silenzio per una riforma che conteneva aspetti innovativi e si proponeva di intervenire alla radice, ristabilendo un equilibrio tra domanda di salute e offerta di servizi che si era frantumato con il dissennato meccanismo delle mutue. Sull’inefficacia di quel tentativo si attuarono, in seguito, tre capitoli di una controriforma che dal 1992 al Duemila ha registrato un sostanziale fallimento, sulla base del quale si è progressivamente abbandonata l’idea di ulteriori riforme affidando la sanità pubblica alla favola nera della sostenibilità, ovvero de-finanziare il sistema fino a ridurlo in agonia.
La sfida, oggi, è invece quella di riaffermare con forza proprio la necessità di un sistema sanitario pubblico e universale avendo la lungimiranza di affrontare la sua “anti-economicità” riformando la struttura stessa della spesa; modificando, cioè, i modelli di tutela allo scopo di abbassare i costi strutturali. Lamentarsi dell’insostenibilità del sistema senza individuare e riformare le cause dei suoi costi vuol dire non potere o, peggio, non volere riformarlo. La sanità pubblica, cioè, si salva se si riesce a farla costare di meno ancor prima che se si finanzia di più.
Bisogna ribaltare l’idea che la sanità sia irriformabile e che sia finito il tempo in cui può essere dato “tutto a tutti”, la prospettiva venefica verso cui ha virato da anni in maniera pericolosa una parte consistente del dibattito in Italia. In occasione del quarantennale della riforma del ’78 sarebbe opportuno cominciare a rileggere la storia della sanità a partire dagli errori terribili che sono stati commessi, dei quali sicuramente è responsabile la politica ma rispetto ai quali non può dirsi innocente la classe medica, che ha subito per convenienza o incapacità, e i cittadini, che mai sono riusciti a prendere la parola in maniera organica considerando che sono essi stessi il “proprietario sociale” del sistema sanitario. Un ruolo che devono pretendere, a gran voce, e che va strutturato in maniera razionale attraverso organismi di governo della sanità radicati nella società e fondati sull’alleanza tra cittadini e operatori. Solo a partire da questo processo di base, e dalle istanze individuate dai soggetti centrali del sistema sanitario, i cittadini e i lavoratori (nella doppia veste di cittadini e operatori) è possibile immaginare l’avvio di un percorso che di tutto ha bisogno, tranne che degli scoop mediatici su questo o quel disservizio, unicamente utili alla campagna del politico di turno. Serve invece un percorso radicale di riforma che porti il sistema sanitario pubblico fuori dalle secche in cui è arenato da troppo tempo. Sperando che il ritardo accumulato non sia troppo. (antonio bove)