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11 Settembre 2018

LE PAROLE DELLA MUSICA / Elio Martusciello racconta l’orchestra elettroacustica

(disegno di chiara tirro)
(disegno di chiara tirro)

La fine dell’estate segna la ripresa di tutte quelle attività la cui ragion d’esser riposa nella continuità. Anche l’orchestra elettroacustica è chiamata nuovamente all’azione: la sua ultima apparizione risale al 27 giugno, in occasione della chiacchierata reunion degli Zu  presso lo Scugnizzo Liberato. Stavolta, un concerto a Corato riporta sul podio della conduzione Elio Martusciello, il suo ideatore. Si tratta di un’occasione utile per tirare le somme di questa esperienza, a quattro anni dal suo primo vagito.

Questa orchestra nasce a partire dalle esperienze di “composizione istantanea” che ho fatto negli anni in varie parti del mondo, con diverse orchestre. Dopo la partecipazione nell’orchestra condotta da Butch Morris nel 2006, mi sono proposto io stesso in diversi contesti per condurre a modo mio organici che si formassero appositamente per quelle occasioni. Nel tempo mi sono reso conto delle incredibili qualità e potenzialità che queste tecniche mettevano a disposizione della musica e della relazione umana. Si comprendevano tanti aspetti della grammatica musicale, della sua logica più profonda, di certe possibilità strumentali; si prendeva coscienza della possibilità di contribuire collettivamente alla creazione di un discorso musicale. Quando nel 2013 sono rientrato a Napoli, mia città natale, per ricoprire la cattedra di Musica Elettronica del Conservatorio San Pietro a Majella, ho trovato un ambiente favorevole per quel tipo di esperienza.

Come due che si aspettano senza ancora saperlo, è il contesto musicale partenopeo a offrire a Martusciello la realizzazione della sua proposta.

I miei studenti si sono immediatamente interessati e attivati in una straordinaria opera di divulgazione e coinvolgimento, affinché si potesse organizzare una vera e propria orchestra incentrata su questa specifica pratica. In breve tempo sono stati coinvolti musicisti attivi in altri corsi del conservatorio, successivamente musicisti della città, della regione, poi di altre regioni e infine qualche musicista straniero. Ora contiamo un bacino di un paio di centinaia di musicisti da cui estrarre democraticamente il numero di musicisti che ci serve per ogni evento.

Il nomadismo della pratica improvvisativa ha reso possibile tutto questo: forma estemporanea di comunicazione sonora, ha rappresentato il seme dell’incontro la cui germinazione ha prodotto risultati decisivi.

La prassi improvvisativa consente di acquisire una profonda consapevolezza circa la responsabilità individuale nella costruzione di un discorso musicale collettivo. Richiede coraggio, senso del sacrificio, ascolto, immaginazione, apertura ed elasticità mentale. Devo dire che tutto ciò si è innestato perfettamente in un territorio, quello campano, innervato ora come non mai di una incredibile e variegata sensibilità musicale. Esperienze musicali lontane nel tempo, connesse alle pratiche improvvisative, hanno disseminato concime che solo da pochi anni sembra produrre i suoi frutti. Ad annaffiare questo terreno oggi c’è anche la nostra orchestra. […] L’orchestra sempre più sta prendendo coscienza del fatto che come la sua musica è il risultato di un lavoro collettivo, così la sua organizzazione e vita musicale dipendono da tutti. (antonio mastrogiacomo)

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