Piacenza, sabato 17 settembre, ore 13. Siamo arrivati con il treno da Milano, in largo anticipo rispetto all’orario stabilito per la partenza del corteo. La piazza adiacente alla stazione è quasi vuota, nel parco di fronte alcuni immigrati siedono sulle panchine a mangiare. La giornata è afosa. Il sole è ricoperto da nuvole che minacciano pioggia. Dopo l’invito del comune ai commercianti, tutti i negozi hanno abbassato le serrande e chi non l’ha fatto si affretta a chiudere il prima possibile. Non un autobus circola per le strade, i cassonetti della spazzatura sono stati rimossi dalla società che gestisce lo smaltimento dei rifiuti “per evitare che vengano usati come armi improprie”. In una piazza del centro c’è chi smonta in fretta e furia un palco per concerti. Un eccessivo dispiegamento di polizia e carabinieri in assetto antisommossa resta in attesa, a simboleggiare la diffidenza di questa cittadina della bassa padana all’indomani della morte di Abd Elsalam Eldanf, un facchino egiziano di cinquantatré anni, avvenuta la sera del 14 settembre all’esterno del magazzino Gls di Montale.
Sono da poco passate le due quando il corteo inizia a prendere forma all’esterno della stazione. Per gli organizzatori siamo settemila, per la questura più di mille. Gli spezzoni sono molti ma la presenza maggiore dei sindacati di base si percepisce dalla quantità di bandiere. Assenti i sindacati confederali. Da lontano, a un certo punto, si vede arrivare un folto gruppo di manifestanti con i fumogeni accesi che urlano: «Siamo tutti Abd Elsalam». Sfilano lungo il fianco del corteo e si piazzano in fondo a tutto. Ci sono anche i pompieri, con le loro uniformi catarifrangenti, che si mescolano alle bandiere dell’Egitto, dell’Unione sindacale di base e dei Cobas. C’è una ragazza che lavora per il negozio H&M in centro, mandata in avanscoperta per sondare il terreno e per capire se devono restare chiusi o meno. Alla fine si accoda insieme agli altri. Poi ci sono quelli intravisti il giorno prima al corteo di Milano, altri venuti qui per solidarietà, per unirsi al cordoglio dei familiari e dei conoscenti. Su uno striscione c’è scritto qualcosa in arabo, su un altro si legge che le nostre vite valgono più dei loro profitti, su un altro ancora appare il volto disegnato di Abd Elsalam, “che vive nella lotta per i diritti di tutti”. Una sua foto invece lo ritrae davanti a uno sfondo bianco, ha gli occhi aperti ma stanchi, è calvo, non è triste ma neanche sorridente.
In piazza un nutrito gruppo di militanti provenienti da Bologna, Milano, Padova, Torino e da altre città del nord. Sono arrivati alla spicciolata in treno e in pullman, aderendo alla manifestazione organizzata dal sindacato al quale Abd Elsalam apparteneva. Tra di loro molti facchini impegnati in lotte che hanno smosso qualcosa negli anni passati, dopo tante mobilitazioni e scioperi nei magazzini del Veneto, della Lombardia, dell’Emilia Romagna. Pachistani, egiziani, africani, una forza lavoro migrante impiegata da committenti multinazionali invisibili, che esternalizzano la fornitura di manodopera producendo catene frammentate del lavoro, in un settore come quello della logistica conto terzi, prossimo al raggiungimento di un fatturato di ottanta miliardi, secondo gli esperti. Un settore in cui bisogna ridurre al minimo i costi di transazione e garantire il regolare, continuo flusso della merce pur di generare alto valore aggiunto. Lungo la catena della fornitura il magazzinaggio e la funzione distributiva rappresentano così una componente chiave, oliata a ogni passaggio da un’intermediazione che ha origine da lontano e arriva fino all’interno di un magazzino della periferia di questa città, la quale oggi assiste chiudendosi in casa a un corteo formato in parte da quelli che movimentano questo flusso, gente che ha portato i figli e le mogli al seguito. C’è anche la famiglia di Abd Elsalam, protetta da un cordone dell’Unione sindacale di base. Alla testa il camioncino stavolta non spara musica a tutto volume, si avvicendano al microfono uomini che si rivolgono ai manifestanti in lingua araba, voci che iniziano a parlare con calma per poi infervorarsi a poco a poco, fino a innalzarsi in un grido che esprime tutta la rabbia portata dentro da ognuno.
Il corteo si muove e mentre camminiamo lungo uno stradone i manifestanti non smettono di urlare. «Toccano uno, toccano tutti». «Assassini», scandiscono rivolti alla General Logistics System, acronimo di Gls, una società di trasporti presente in tutta Europa, con sede principale ad Amsterdam, che in Italia ha cento e quarantacinque sedi, dieci centri di smistamento, quasi quattromila mezzi per la distribuzione della merce e oltre centoventimila clienti. Al di là delle versioni discordanti sulle circostanze della morte fornite da procura di Piacenza e sindacato di base, sta di fatto che la sera del 14 settembre a Montale, fuori al magazzino della Gls nella periferia di Piacenza, c’era un gruppo di lavoratori egiziani a cui era scaduto il contratto, che dopo mesi trascorsi ad affrontare una vertenza stavano là, insieme ad altri lavoratori, per far rispettare ciò che era stato sottoscritto in un accordo tempo addietro dall’azienda appaltatrice di manodopera Seam Srl. Tra questi c’era anche Abd Elsalam, dipendente della Seam dal 2003, che il contratto ce l’aveva a tempo indeterminato, e che si trovava là in attesa dell’esito di una riunione tra azienda e sindacato. In tredici, infatti, avevano – hanno – un contratto a tempo determinato, prorogato di volta in volta dalla Seam, appartenente a sua volta al consorzio Natana Doc, che fornisce in appalto i servizi alla Gls. Appalto dal committente Gls al consorzio Natana Doc, e subappalto dal consorzio Natana Doc alla Seam Srl: la catena del lavoro conduce a questo gruppo di lavoratori egiziani fuori al magazzino Gls. Vogliono ottenere la stabilizzazione dopo anni di proroghe e di orari che superano di gran lunga quelli previsti, protestano perché sono stati lasciati a casa senza alcun apparente motivo. Ecco le ragioni della vertenza. Stando alle dichiarazioni dell’Unione sindacale di base, la Seam lo scorso maggio aveva sottoscritto un accordo in cui si prendeva l’impegno di assumerli. Impegno che non è stato rispettato, nonostante le sollecitazioni da parte del sindacato, che quella sera ha deciso di organizzare prima un’assemblea fuori al magazzino con i lavoratori, e poi di indire lo sciopero in seguito all’esito negativo dell’incontro. I vertici dell’azienda hanno rinnegato quanto avevano firmato, fornendo interpretazioni diverse sull’accordo preso, assicurando che quando sarebbero aumentati i carichi i lavoratori sarebbero rientrati. Ma alcuni lavoratori del magazzino riferiscono che nel frattempo ci sono state assunzioni in nero, non regolarizzate, da parte della Seam.
Il corteo vira a sinistra all’altezza di una rotonda ed entra nel centro cittadino quando inizia a piovigginare. Dallo stradone ci s’immette in una via più stretta che porta in quella piazza che ore prima appariva vuota. Si accendono fumogeni che rendono l’aria pesante, un pompiere litiga con un altro manifestante sotto la pioggia. Piccole scaramucce. Tra chi accende fumogeni e chi li spegne, appare evidente l’immagine di un corteo che attraversa una città chiusa a chiave, che guarda intimorita dai balconi ciò che accade sotto, come se in atto ci fosse un’invasione. Il contrasto tra la chiusura della cittadina e l’urlo di rabbia di chi lavora nelle piattaforme logistiche disseminate nel suo hinterland, restituisce bene l’atmosfera che si respira da queste parti. Non avrebbe avuto senso sfilare nel nulla, in quelle strade battute da camionisti che portano nei magazzini carichi di merce. Il corteo doveva sfilare per le vie del centro e far emergere il contrasto che ci appare davanti ora, mentre il serpentone si addentra, accompagnato dalle urla della folla che ripete sempre lo stesso slogan, senza fermarsi mai. «Siamo tutti Abd Elsalam».
Siamo inzuppati d’acqua ormai, quando alla fine non ci accorgiamo neanche di essere tornati al punto di partenza davanti alla stazione. Il cerchio si chiude e non smette di piovere. Oggi, proprio a Piacenza, è prevista la convocazione dei sindacalisti Usb da parte dei dirigenti della Gls provenienti dalla Germania, mentre martedì la stessa Usb ha indetto uno sciopero in tutti i magazzini gestiti dalla multinazionale. Quelli che restano nella piazza della stazione si riparano dal diluvio incessante all’interno di un centro commerciale che, per ironia della sorte, è aperto.
Perché è morto Abd Elsalam, la notte del 14 settembre? È morto per tutelare i diritti dei tredici lavoratori connazionali ai quali scadeva il contratto, per garantire che gli accordi presi dalla controparte venissero rispettati. È morto per difendere i diritti di tutti, com’era scritto su quello striscione in mezzo al corteo; di tutti i lavoratori lungo la catena logistica allora, dai facchini ai corrieri, dai portuali ai camionisti. (andrea bottalico)
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