Sarà presentata giovedì 19 dicembre (ore 19,00) a Napoli, alla ZTA di via Gianbattista Basile, la rivista autoprodotta Epidemia. Dei primi due numeri, l’ultimo dei quali è uscito lo scorso ottobre, discuteranno i redattori e membri dell’omonimo collettivo. Seguirà una lettura performativa a cura di Isabella Mongelli.
Riproponiamo a seguire un articolo estratto dalla rivista.
* * *
Se dovessi trovare un’immagine per descrivere il parco delle mura greche di Taranto penserei senza dubbio a una pianta, il cocomero asinino (Ecballium elaterium), che cresce spontanea su terreni incolti e poco fertili. Prima di diventare parco archeologico, il paesaggio si riduceva a una grande distesa di cumuli di terra argillosa mista a pietre e materiali inerti derivanti dalla demolizione di vecchie abitazioni sostituite da nuovi edifici, per lo più torri di diciotto piani costruite in cooperative. Su queste collinette artificiali cresceva della vegetazione spontanea ma, fra le tante piante presenti, il cocomero asinino era quella che richiamava maggiormente l’attenzione per via delle capsule che, una volta arrivate a maturazione, appena toccate scoppiavano disseminando i semi a distanza. Far scoppiare questi frutti era uno dei divertimenti dei ragazzi che, sul finire degli anni Ottanta, iniziavano a esplorare un territorio che, al netto delle nuove abitazioni, aveva una dimensione ancora agricola e risultava totalmente da urbanizzare.
Ci troviamo a ridosso della concattedrale, opera dell’architetto Gio Ponti completata nel 1970 e fulcro di un nuovo piano di sviluppo della città che, in base alle previsioni del piano regolatore, doveva crescere fino ad accogliere trecentomila abitanti. Erano gli anni dello sviluppo economico di una città fortemente trainata dall’industria siderurgica, dall’arsenale e dalla marina militare e che attraeva per lavoro persone da tutto il sud Italia. Il centro della città si spostava velocemente in periferia e la costruzione degli edifici di ventuno piani della Bestat, progettati dall’architetto Piccinnato e completati nel 1977, rappresenta il punto più alto, anche fisicamente, del sogno di progresso e sviluppo che Taranto non ha mai realizzato in pieno. Gli interessi politici, amministrativi e anche religiosi si spostavano sempre più dalla città vecchia e dal borgo verso una nuova Taranto che continuava a crescere, soprattutto in altezza, in un anomalo paesaggio urbanistico fatto di gruppi di edifici a torri nel vuoto di una campagna agricola che perdeva poco alla volta i suoi simboli.
Da adolescenti passavamo le nostre giornate fra terreni incolti, cantieri in attività e costruzioni rurali abbandonate. Camminando inconsapevolmente sulla storia, trovavamo reperti archeologici e scendevamo in tunnel o bunker della seconda guerra mondiale. Facevamo così la nostra prima esperienza diretta con un territorio che ci metteva davanti continue scoperte e sorprese come la presenza di alcuni animali e piante. Fra queste appunto il cocomero asinino o sputa veleno, che continua a crescere fra le pietre e gli scarti, in un ambiente selvatico, grazie al suo particolare sistema riproduttivo, un sofisticato meccanismo di aumento della pressione idraulica all’interno della capsula che determina il distacco e la dispersione dei semi a una notevole distanza, garantendo così la continuità della specie. Pianta perenne e resiliente, esteticamente ostica, che vive libera dove nessuno crede si possa farlo, il cocomero asinino, ecballium dal greco “lanciare fuori”, rappresenta metaforicamente la storia del parco che parla di adattamento, autosufficienza, resistenza e resilienza.
Quando il quartiere iniziò a popolarsi, le giovani coppie s’impegnarono per costruire spazi di socialità nei pressi delle case. Le colline di argilla furono in parte spianate per dar spazio a piazzette, campi di calcio e spazi verdi, dove furono piantati numerosi pini, in collaborazione con il corpo forestale dello stato. Da quel momento uno spazio periferico della città, grazie all’atteggiamento propositivo dei suoi residenti, inizia a diventare parco. Il vincolo di zona archeologica, legato alla presenza di resti di mura greche, ha sottratto un’area di alcuni ettari all’espansione edilizia, facendone un enorme potenziale a disposizione dei cittadini e uno dei più grandi spazi liberi e aperti presenti in città.
Sul finire degli anni Novanta fu realizzato con un finanziamento europeo il progetto del parco archeologico attrezzato, che dotò l’area di nuove essenze arboree e arbustive, viali, vasche e fontane, illuminazione, arredi, segnaletica e una piccola costruzione di servizio, l’Archeotower. Il parco fu presto abbandonato, spogliato dei suoi arredi e lasciato senza cura e senza un progetto di gestione da parte dell’amministrazione. Alcuni sostengono che la mancata realizzazione di una recinzione, che avrebbe reso più facile la sorveglianza e la manutenzione del parco, lo abbia reso poco appetibile e di scarso interesse. La mancata cura ha relegato il parco a progetto incompiuto e di conseguenza sconosciuto alla città, a eccezione dei residenti del quartiere. Per più di dieci anni il parco è rimasto privo di illuminazione, con una vegetazione spontanea che in alcuni periodi dell’anno rendeva alcune zone poco praticabili e per questo frequentato solo dai residenti più coraggiosi. Nello stesso tempo il parco costituiva naturalmente il luogo ideale per accogliere biodiversità. Così, in silenzio, la natura ha cominciato a riappropriarsi sempre più di questo posto, che è diventato un rifugio per le numerose specie spontanee oggi presenti, rendendo così il terreno e l’ambiente più fertile e vivo.
Dal 2012 la storia di questo parco ha avuto un’accelerazione grazie all’interesse di numerosi gruppi di cittadini, comitati, associazioni, che lo hanno scelto come luogo di incontro e ritrovo ma soprattutto come luogo di attivazione di un processo politico che vuole riappropriarsi degli spazi e della storia della città. Il 2012 rappresenta un anno importante per la città di Taranto in quanto momento di presa di coscienza collettiva di una situazione ambientale, sociale, economica e culturale insostenibile. Dal luglio di quell’anno, dopo l’annuncio della magistratura di fermare gli impianti dell’Ilva, i cittadini di Taranto sono scesi ripetutamente in strada per rivendicare un netto cambio di rotta nell’amministrazione di una città che stancamente si porta addosso un modello industriale ritenuto da molti desueto. Gruppi di ragazzi giovanissimi, già attivi nell’ambito ambientale, associazioni e comitati storici, operai e cittadini si sono ritrovati in assemblee pubbliche organizzate in vari quartieri della città. Il parco archeologico grazie all’ampia disponibilità di spazio, alla sua accessibilità e alla posizione strategica in città era il luogo pubblico ideale non solo per incontri o assemblee, ma anche per ospitare un grande concerto, organizzato per la prima volta il primo maggio del 2013, una piattaforma aperta e indipendente che voleva denunciare la situazione di Taranto e confrontarsi a livello nazionale sui temi del lavoro e dell’ambiente. Grazie a questo evento il parco è stato finalmente ri-conosciuto da tutta la città e continua ancora oggi a essere il luogo dove ogni anno viene organizzato il concerto del Comitato liberi e pensanti, che è un emblema di un diverso protagonismo da parte dei cittadini di Taranto.
Lo spazio dell’Archeotower ripulito dai segni dell’abbandono e rimesso in funzione da un collettivo di ragazzi è stato all’inizio (2012/2013) un luogo di riferimento per un’esperienza di carattere politico, per poi diventare negli ultimi anni simbolo di un’esperienza pratica di sensibilizzazione ambientale realizzata in collaborazione con il CoRiTa (Comitato rimboschimento Taranto). La messa a dimora di numerose piante, la loro cura e la costante semina stanno cambiando lentamente l’immagine dello spazio. Il concetto di semina insieme a quello di vivaio possono, non solo a livello metaforico, indicarci una delle strade da seguire per costruire una visione, lenta e consapevole, della città di Taranto slegata da modelli non sostenibili in termini ambientali, sociali e culturali. Nei sette anni trascorsi dal sequestro degli impianti Ilva da parte della magistratura, ben poco di strutturale è cambiato in città e il fermento politico che si è vissuto in alcuni momenti sembra oggi soffocato dalla contrapposizione fra la politica delle istituzioni, che affronta le questioni come emergenze e problemi da risolvere limitando i danni, e i cittadini, che sognano un cambiamento radicale che possa avvenire in tempi stretti.
Un cambiamento di un territorio con problemi come quello tarantino ha bisogno però di un periodo che va dai dieci ai vent’anni e non tutti hanno la capacità di capirlo o la volontà di aspettare. In questo senso ci si potrebbe ispirare invece al lavoro del giardiniere, che opera in silenzio ogni giorno, che guarda all’oggi ma soprattutto al domani, che cura il dettaglio senza perdere come riferimento l’ambiente intorno, ma soprattutto coltiva costantemente l’esercizio della pazienza. Essere giardiniere oggi a Taranto significa essere giardinieri planetari, per prendere a riferimento il pensiero del filosofo paesaggista Gilles Clément¹, che guarda al mondo come un unico giardino dove ciascuno di noi, con i suoi comportamenti individuali, con i suoi singoli gesti, anche i più semplici, fa il suo mestiere di cittadino e giardiniere. (michele loiacono)
________________________
¹ Gilles Clément è uno scrittore, entomologo, giardiniere, paesaggista e ingegnere agronomo francese. Paesaggista tra i più noti in Europa, è il teorizzatore del concetto di terzo paesaggio, giardino in movimento e giardino planetario.