Al porto di Rotterdam ogni anno vengono dragati dai quattro ai sette milioni di metri cubi di fondale per mantenere navigabili i canali di accesso a uno scalo che inizia sulla costa e si estende nell’entroterra. Discorso simile per quello di Amburgo che si trova alla foce dell’Elba, cento chilometri nell’entroterra. Costo di questi interventi: tra i quaranta e i settanta milioni (circa dieci euro a metro cubo). A Napoli, secondo recenti calcoli di Assoagenti, l’associazione degli agenti marittimi partenopei, per dragare metà del minimo che fa Rotterdam ogni anno – due milioni di metri cubi – ci vogliono tra i seicento e i settecento milioni di euro, circa duecentocinquanta euro a metro cubo. Cifre molto distanti da quelle dell’Autorità portuale che li quantifica in circa quaranta milioni. Perché questa differenza tra calcoli degli operatori e quelli dell’ente portuale? Ma soprattutto perché c’è un’enorme differenza tra i costi di dragaggio di un porto italiano e uno nordeuropeo? «Perché qui le norme sui dragaggi sono al di là dei principi scientifici. È accaduto che un principio di cautela si sia tradotto nel tempo in un vincolo che ha fatto prosperare nella legalità le organizzazioni criminali», spiega il sostituto procuratore della Repubblica di Udine Viviana Del Tedesco, che da anni segue le vicissitudini dei fondali dei porti adriatici.
Il dragaggio e il fattore Sin
I dragaggi sono una forma di igiene personale dei porti: il passaggio delle navi crea dune subacquee che accumulandosi rendono sempre più complicato il transito. Il fondale richiede una manutenzione ordinaria, necessaria per mantenere varchi di accesso e banchine a un pescaggio accettabile. Il traffico marittimo mondiale, in cui quasi ogni porto commerciale è inserito, evolve verso le economie di scala di navi sempre più grandi, ragion per cui il dragaggio è vitale per mantenere un porto accessibile ma anche competitivo, capace di intercettare le rotte più profittevoli, quelle intercontinentali. In Italia il sistema dei dragaggi è paralizzato perché quasi tutti i porti – incluso quello di Napoli – risiedono in un Sito di interesse nazionale (Sin), l’istituto che determina aree contaminate da sostanze inquinanti che richiedono la bonifica del suolo. Il problema è che su questi centocinquantamila ettari complessivi di territorio nazionale è praticamente impossibile realizzare qualsiasi opera, perché di fatto la bonifica raramente ha luogo, bloccandosi alla fase di analisi preliminare dei sedimenti. «Il Sin – spiega Del Tedesco – ha avuto l’effetto di eliminare l’opera per mantenere solo i preliminari: analisi, analisi e ancora analisi. Questa è speculazione criminale. Un Sin in Friuli Venezia-Giulia è costato cento milioni di soli carotaggi, in alcuni casi ripetuti fino a trentacinque volte. Se guardiamo la geografia dei Sin notiamo che sono strutturati sulla base delle realtà economiche locali: più ricca è la regione maggiori sono le possibilità di trovarvi un Sin. Un business di parole-chiave quali “caratterizzazione” e “tabelle”, che sostituiscono termini quali “inquinanti” e “contaminanti”». Ma se questi ultimi sono termini prodromici alle opere, perché si riferiscono direttamente ai materiali da analizzare, la “caratterizzazione” dei sedimenti sulla base di “tabelle” ministeriali slega l’analisi dall’opera da realizzare, servendo soltanto a tenere in piedi un sistema di analisi fine a se stesso. «Il business – chiarisce Del Tedesco – è che c’è sempre modo di rifare le analisi. È un principio cautelativo nato in buona fede, che avrebbe dovuto avere una progressione normativa. Invece c’è stata un’evoluzione puramente burocratica e le organizzazioni criminali hanno potuto prosperare nella legalità».
Legge 84/94: l’articolo 5
La base normativa per i dragaggi è l’articolo 5 della legge 84/94. Contiene una formula su cui gli ingegneri delle autorità portuali si dannano: “K minore o uguale a 1,0 x 10 alla meno 9 per m/s”. Tradotto, è il grado di permeabilità richiesto alle casse di colmata su cui generalmente si riversano i sedimenti escavati. «Significa che il fondale di una cassa di colmata deve avere il grado di impermeabilità dell’argilla, una condizione praticamente impossibile da trovare nei porti», spiega il presidente Assoagenti Andrea Mastellone. Non è un caso se la formula scompare nella bozza di riforma della 84/94 che il ministero dei Trasporti sta preparando, sostituita da “standard tecnici internazionali adottati negli stati membri dell’Unione europea”. Perlomeno, a detta degli operatori, la bozza di modifica dell’articolo 5 elimina un assurdo criterio di analisi fatto apposta per strutturare un sistema infinito di carotaggi. «Il “coefficiente K” considera i rifiuti come speciali o pericolosi rendendo impossibile qualunque cassa di colmata», sintetizza il presidente dell’Autorità portuale di Marina di Carrara Francesco Messineo.
Ma forse la semplice eliminazione del “coefficiente K” non basta. «Il problema dell’articolo 5 – spiega Del Tedesco – è che concepisce il porto come uno specchio di mare, quando invece è un sito industriale. La logica di manutenzione ordinaria del dragaggio dovrebbe essere quella di investire in tecnologia per prevenire l’inquinamento. In Olanda i dragaggi sostengono l’economia reale, non la burocrazia». La paralisi dei dragaggi in Italia è quindi una paralisi volta a mantenere un business strutturato: «Si fa tutto all’oscuro e in piena legalità. I decreti ministeriali fanno e disfanno le leggi senza che i cittadini lo sappiano», afferma Del Tedesco.
L’approccio tabellare
Nel 2004 il Consiglio superiore dei lavori pubblici aveva criticato l’approccio “tabellare” nelle analisi preliminari per il dragaggio del porto di Napoli. Un approccio burocratico che sostituisce il principio scientifico con un mostro speculativo: è sufficiente che un campione superi il limite della tabella per bloccare i lavori, a prescindere se la sostanza sia effettivamente pericolosa per la salute o quantomeno possa entrare a contatto con le persone.
A causa dell’approccio tabellare sono tante le aziende di dragaggio che si vedono bloccare l’attività dall’autorità giudiziaria. È successo recentemente a Pescara, dove la società a cui l’Autorità portuale ha affidato i lavori di escavo dei fondali si è vista sequestrare i mezzi per traffico illecito di sostanze inquinanti. «Poco tempo fa in Friuli un’azienda da centocinquanta dipendenti è stata sequestrata perché non poteva trasportare materiali inquinati in un sito autorizzato», racconta Del Tedesco.
Il caso del porto di Marina di Carrara è esemplare: è un sito Sin di 3,560 ettari, di cui 1,895 a mare. La gente che frequenta i lidi di queste coste non ha problemi di salute legati all’inquinamento del mare eppure tra il 2002 e il 2013 sono stati spesi otto milioni e seicentomila euro per dragare centoventimila metri cubi di materiale a un prezzo medio di settantadue euro a metro cubo. Le analisi del 2006 calcolavano duecento euro a metro cubo per diecimila metri cubi totali. Nel 2011 erano cinquantottomila metri cubi a venticinque euro, mentre gli ultimi calcoli di quest’anno sono scesi a soli sette euro a metro cubo per un totale di un milione e mezzo di metri cubi di sedimenti. La modalità dei lavori di escavo è risultata paradossale: «la draga – spiega Messineo – depositava a terra i materiali da analizzare per essere infine riportati in mare a qualche centinaio di metri di distanza». Un circolo di burocrazia virtuosa.
Nel 2012 sono stati approvati finanziamenti da un milione e mezzo di euro per il ripascimento del porto di Marina di Carrara, con il ministero dell’Ambiente che affidava le competenze dei lavori alla regione Toscana per un sito di bonifica Sin. «Qui – conclude Messineo – risiede il nocciolo del problema: si fa confusione tra dragaggio e bonifica, tra manutenzione ordinaria e intervento straordinario di emergenza». È l’emergenza che piace alla speculazione burocratica, il criterio straordinario della speculazione commissariale, quello che ha portato in Italia all’esautorazione della governance per sedici autorità portuali su ventiquattro. Quella di Napoli compirà a breve mille giorni di commissariamento. (paolo bosso)