Viale Traiano, notte tra giovedì e venerdì. Sono passate le due da poco più di mezz’ora. Su quello che la gente del quartiere chiama ‘o stradone sfreccia un motorino con tre ragazzi. Dietro di loro una volante dei carabinieri. Il mezzo non ha l’assicurazione e i tre tirano dritto, nonostante l’alt degli agenti. Comincia un inseguimento che dura qualche minuto, a grosse velocità.
Da questo punto in poi le ricostruzioni diventano meno chiare. Siamo all’altezza di via Cinthia. La versione diffusa dai carabinieri spiega che il motorino cerca di tagliare la strada per addentrarsi all’interno del rione, ma sbanda e poi finisce per terra al contatto con il marciapiede che protegge un’aiuola. I testimoni raccontano invece che il motorino è stato speronato dalla volante, sempre nei pressi dell’aiuola. Uno dei tre ragazzi rimane a terra. È Salvatore, detto Avatar, diciotto anni. Gli altri due provano a scappare. Uno ci riesce, l’altro, Davide Bifolco, viene colpito a morte da un proiettile. La ricostruzione dei carabinieri parla di un colpo “partito accidentalmente” dalla pistola di uno dei due agenti. Davide Bifolco non ha ancora diciassette anni. Abita poco lontano da lì.
Errico è uno dei testimoni. Ha assistito a tutta la scena e ha passato le ultime sette-otto ore a raccontare ai cronisti la sua versione dei fatti, che poi è la stessa delle altre quattro o cinque persone presenti al momento dell’omicidio. «Dopo l’impatto uno dei due carabinieri ha puntato la pistola sul ragazzo e ha sparato». Errico di anni ne ha una trentina. La barba incolta, un cappellino e una maglietta su cui è disegnato Mao Tze Dong che fuma la pipa. Ha fatto l’ascensorista e lavorato in un piccolo mobilificio artigianale. «Ma oggi non faccio quasi più niente, la gente i mobili se li compra all’Ikea». Errico conosceva bene Davide, come suo fratello Tommaso e tutta la sua famiglia, da cui abita distante un paio di isolati.
Il comunicato stampa dei carabinieri racconta che dopo lo sparo Davide è stato portato all’ospedale San Paolo su un’ambulanza, mentre Salvatore è stato ammanettato e caricato in una volante diretta verso la caserma più vicina, per accertamenti. La ricostruzione delle forze dell’ordine si ferma qui. Errico non è d’accordo, aggiunge altri dettagli: «Davide era a terra ed era già morto. Al suo fianco c’era Salvatore, che si dimenava e piangeva. L’hanno ammanettato sull’asfalto, a pochi centimetri dal suo amico ammazzato. Nel frattempo l’altro carabiniere, quello che aveva provato a inseguire il terzo ragazzo, ha fatto entrare noi cinque che avevamo assistito alla scena nella sala giochi da cui eravamo usciti. Aveva i capelli brizzolati, tra i quaranta e i cinquant’anni. Ci ha puntato addosso la pistola gridando, ci ha fatto mettere in un angolo, urlandoci di non muoverci e sbattendo l’arma come un pazzo. Nelle condizioni in cui era avrebbe potuto partire un altro colpo e a quest’ora i morti sarebbero stati due, o di più».
Un altro dei testimoni racconta: «Dopo l’arrivo dell’ambulanza i due agenti hanno cercato di sgomberare la scena del delitto senza aspettare l’arrivo dei medici e dei fotografi. Hanno subito spostato il motorino, e mandato via l’ambulanza con Davide, mentre sappiamo tutti che quando c’è un morto non si può levare da terra senza la scientifica». Nel frattempo la gente è scesa in strada. Sono quasi le quattro e ci sono più di cento persone. Altre, tra cui la mamma di Davide, sono all’ospedale San Paolo, dove le diranno, pochi minuti dopo, che il figlio non ce l’ha fatta. Quando i carabinieri provano a spostare la loro vettura e il motorino un gruppo di persone si lancia contro le due volanti, colpendole a calci e pugni. Le proteste della folla vanno avanti per un po’, poi arrivano i rinforzi di carabinieri e polizia e la situazione si calma.
Quando la signora Flora, la madre di Davide, rientra a casa, in tarda mattinata, trova una folla di abitanti del quartiere, giornalisti e curiosi. I testimoni raccontano ciò che hanno visto. Le ore passano, la folla è sempre lì, la gente racconta a ripetizione ciò che ha visto. Nessuno si tira indietro, ma la maggior parte dei testimoni non vuole farsi riprendere. Per convincerli i giornalisti delle televisioni locali provano a indossare una poco credibile maschera di paladini della verità e della città: «Siamo napoletani come voi. È una testimonianza che ci serve per fare chiarezza. Serve a voi e serve anche per avere giustizia. Fatelo per Davide». Saranno i primi, quando poco prima delle dodici arriva un violento acquazzone, ad andare via.
La signora Flora invece non vuole parlare con nessuno. Piange, biascica tra i denti la sua rabbia: «L’hanno ammazzato come un cane. Nemmeno un cane si ammazza così. Mio figlio era un bambino». Davide in effetti aveva quasi diciassette anni, ma ne dimostrava un paio in meno. Gli piaceva giocare a pallone, come tutti i ragazzi del quartiere, e come tanti aveva sperato di diventare un calciatore. Poi ha mollato, dopo qualche delusione. Poco prima delle tredici arriva l’ufficialità dal San Paolo: quando è arrivato all’ospedale Davide era già morto. Flora va via, in tassì. Questa volta si ferma: «Poco prima del fatto mio figlio era salito a casa. Aveva preso un giubbotto e un cappellino perché faceva freddo. “Mammì, mi faccio un altro giro e torno”, mi ha detto. Ce l’ho ancora nelle orecchie la sua voce. Poi l’hanno ammazzato, senza una ragione». Addosso ai due ragazzi – il terzo, quello fuggito, non è stato rintracciato – i carabinieri non hanno trovato nulla, tanto che Salvatore è stato rilasciato in mattinata. Adesso si attendono notizie sull’autopsia, che si svolgerà presumibilmente all’inizio della prossima settimana. Domani pomeriggio alle quattro ci sarà un presidio di protesta alla rotonda di via Cinthia.
Intanto la gente è ancora in strada. La rabbia è la stessa di stanotte, ma c’è anche stanchezza, per i tanti che sottolineano di non aver avuto il coraggio di andare a dormire. Il gruppo più folto si raduna all’associazione Madonna dell’Arco Miracolosa, intitolata ad Aldo Moro e ai morti di via Fani, nei giardinetti di fronte al luogo del fatto. C’è un via vai di motorini, e anche i ragazzini scesi per giocare a pallone vanno avanti e indietro in preda a una eccitazione frenetica. Gli uomini rilasciano interviste, le donne, per la maggior parte, restano un passo indietro con gli occhi lucidi. Nei bar i giornalisti prendono il caffè, sullo stradonetante macchine si fermano a fare benzina, ai semafori i ragazzi africani provano a vendere fazzoletti e a lavare vetri agli automobilisti che fanno partire i tergicristallo declinando l’invito. Apparentemente tutto è come prima. A parte il fatto che Davide è stato ammazzato. (riccardo rosa)