Tre quadri, che a occhio e croce – almeno a un occhio profano e poco competente – varranno un bel po’ di soldi: due sono ritratti, mentre uno raffigura un grande salone pieno di uomini, probabilmente militari, circondati da drappi e tendaggi color rosso porpora; un tappeto dello stesso rosso è per metà sul pavimento, mentre il resto della stoffa scivola penzoloni nel vuoto, dove il pavimento invece non c’è più; anche uno dei due mobili di legno è in bilico, e il bianco di quello che ha tutta l’aria di essere uno stendipanni carico di biancheria intima, risalta sullo sfondo della parete verde pistacchio.
È questo lo scenario che accoglie chi passa per la Riviera di Chiaia da questa mattina, quando la facciata del civico n.72 è crollata, a causa di una infiltrazione d’acqua provocata con ogni probabilità dall’adiacente cantiere della metropolitana. L’arredamento è quello del salotto della casa all’ultimo piano del palazzo, lasciata precipitosamente quando un tecnico della società che gestisce i lavori della Linea 6 ha avvisato gli inquilini che bisognava abbandonare l’edificio immediatamente. È proprio all’estremità del cantiere che i molti curiosi e i tantissimi giornalisti vengono fatti sistemare, tenuti a distanza da un nastro biancorosso a circa duecento metri dal luogo del crollo, mentre alcuni agenti di polizia disciplinano il traffico dei Bobcat adibiti agli scavi. Al contrario di quanto detto in un primo momento, infatti, il crollo sembrerebbe non aver provocato danni a persone, fatta eccezione per l’autista di un autobus di passaggio, fortunatamente vuoto, rimasto lievemente ferito. Così, già dopo meno di due ore dal momento del fatto, i vigili del fuoco hanno potuto procedere utilizzando mezzi di scavo più efficaci ma anche più invasivi.
Quando le forze dell’ordine comunicano che «al 99% non si segnalano vittime» l’atmosfera si fa leggermente meno tesa, anche se l’adrenalina successiva allo scampato pericolo rafforza progressivamente la rabbia degli abitanti e dei commercianti del posto, che reclamano un responsabile. Molti tra loro se la prendono con il sindaco e con la Ztl, che avrebbe congestionato il traffico cittadino proprio sulla Riviera, e avrebbe compromesso la stabilità della strada. Qualcun altro con il cantiere della metropolitana, che appare, anche dalle dichiarazioni rilasciate dal dottor Annunziata – dirigente del commissariato San Ferdinando e unico autorizzato a parlare con i giornalisti – il principale responsabile del fatto: «Probabilmente è successo a causa di un allagamento all’interno del cantiere della metropolitana, ma non ci sentiamo di escludere niente, saranno i periti a pronunciarsi su questo». In un secondo momento l’allagamento diventerà una “falla”, ma tutto sommato la sostanza non cambia.
Gli abitanti dei palazzi circostanti – cento sfollati circa, a scopo precauzionale, se si considerano il palazzo crollato e i due immediatamente al suo fianco – raccontano di alcune analisi già effettuate dai tecnici della ditta che si occupa dei lavori della metropolitana, il cui cantiere si estende fino alla superficie più bassa dell’edificio crollato, tutte analisi che avrebbero dato esiti negativi. Altri tecnici, però, a cominciare dal geologo Riccardo Caniparoli, avevano in più occasioni sollevato il problema delle infiltrazioni provocate dai lavori, che avrebbero da tempo intaccato le falde acquifere, a causa della perforazione di una delle strutture che garantiscono la protezione dei palazzi dall’acqua.
È un palazzo antico, il palazzo Guevara di Bovino, la cui costruzione risale al 1800, come si può notare dai soffitti molto alti dei tre piani (nei due palazzi adiacenti, nella stessa altezza, di piani ne sono stati costruiti cinque) che da oggi affacciano sulla strada senza aver più bisogno delle lunghe balconate. Così, mentre qualcuno riflette sui risvolti sociologici offerti dalla chance voyeuristica di «poter guardare nelle case della gente», la “mitologia del crollo” si arricchisce di aneddoti della prima e dell’ultima ora: dalla storia di Carla Travierso, la signora trentasettenne che scappa in accappatoio per le scale, trovandosi sotto la doccia al momento del fatto, a quella dell’ufficiale della marina che tutti chiamano “il comandante”, quasi novantenne, tratto in salvo dai carabinieri; dai primi soccorritori che chiedono secchi al vicinato per raccogliere i detriti, fino all’autobus spinto dai passanti verso via Piedigrotta per liberare la strada; dalla piscina costruita in maniera avventata sul terrazzo dell’edificio, additata in un primo momento come responsabile del crollo, al pavimento del Dog out, pub della Riviera, civico 81, cui il comune aveva intimato dei lavori a causa di una pesante infiltrazione sotterranea.
Intorno alle due – quando ormai i cellulari dei passanti hanno smesso di raccogliere testimonianze da pubblicare su Youtube – il dottor Annunziata comunica lo stop temporaneo dei lavori del cantiere della metropolitana, il numero delle persone sgomberate, e l’apertura di una indagine che appurerà le responsabilità. Poco distante, il rumore dei clacson e i raggi di un sole settembrino inondano una via Caracciolo aperta eccezionalmente al transito delle automobili, per limitare il traffico che ha bloccato la città in questa mattinata d’inferno. (riccardo rosa)