Nel giorno dello sciopero generale contro la ‘manovra anticrisi’ del governo, i pensieri dei manifestanti a Napoli sono tutti rivolti a Pomigliano; ne parlano anche gli operai di altre aziende campane, raccontando le loro storie
Venerdì venticinque giugno. E’ il giorno dello sciopero generale contro la manovra del governo, anche se a Napoli il corteo della mattina diventa quasi una marcia di solidarietà per i lavoratori della Fiat di Pomigliano, pochi giorni dopo il referendum di martedì. La votazione chiedeva ai lavoratori di scegliere tra lavorare con turni di lavoro massacranti e limitazioni allo sciopero, o non lavorare affatto, in quanto in caso di una percentuale rilevante di no, l’amministratore delegato della Fiat minacciava di riportare la produzione della Panda in Polonia. Nonostante questo i lavoratori che hanno scelto per il no, rispetto alle condizioni dettate dalla Fiat (aumento delle ore di straordinario obbligatorio, riduzione delle pause, spostamento della mensa a fine turno, divieto di permessi malattia durante le giornate di sciopero, e di sciopero durante le ore di straordinario) sono stati oltre il 35%, e la giornata di oggi è diventata «un’occasione per chiedere all’azienda di riconsiderare la propria offerta».
Vincenzo è un operaio della Fincantieri di Castellammare. Con i suoi colleghi è in cassa integrazione da un anno, teme che l’accordo proposto dalla Fiat e accettato dai sindacati possa fare scuola, e che la strada venga seguita da altre aziende. Da diversi mesi ai lavoratori vengono prospettate possibilità di un rientro a lavoro almeno parziale, grazie ad alcune commesse – poi mai concretizzatesi – per la costruzione di navi militari. Nonostante questo rappresenterebbe soltanto un palliativo per le industrie stabiesi, abituate alla costruzione di traghetti e navi di grosso calibro, «le offerte reali non arrivano mai, e a lavoro non si torna».
Giuseppe ha cinquantasei anni, e ha lavorato durante gli ultimi sette alla Jacorossi. Ha partecipato con la sua squadra alle bonifiche nel casertano: Villa Literno, Aversa, Castelvolturno e Cancello Arnone. Ora sono tutti in mobilità, sebbene prima delle elezioni gli fossero state promesse sia da destra che da sinistra assunzioni in società regionali come l’Arpac: «Ma Caldoro & company non si sono visti e noi siamo per strada». Giuseppe riesce a prendere con un sorriso le proprie sfortune, e ride sopra al fatto che qualunque cosa provi a fare, finisca male: «Centomila ne ho provate, tutte storte: la settimana scorsa mi sono messo a vendere le bandiere dell’Italia, e ieri quegli scornacchiati si sono fatti eliminare. Se domani mi metto a vendere i calzini, tempo una
settimana, e nasceranno bambini senza piedi! ».
Tina lavora alla Selfin, società che produce software e ha tra i propri clienti la Asl Napoli 1, il Policlinico di Roma e persino la presidenza della Repubblica. Per i 125 lavoratori dello stabilimento di Caserta, però, le cose non vanno affatto bene. Dopo due anni di cassa integrazione, l’azienda infatti è in liquidazione, e dopo una serie di fallimentari passaggi di mano, l’unica proposta ricevuta finora prevede l’assunzione per soli trentacinque operai. «Per gli altri è previsto un percorso a ostacoli tra cassa integrazione straordinaria e mobilità, in attesa di una pensione che però appare piuttosto lontana, dal momento che l’età media è di quarantacinque anni».
I centocinquanta operai dell’ex stabilimento di Miano della birra Peroni sono stati in cassa integrazione per due anni. La Mi.no.ter – che aveva rilevato i terreni della fabbrica – aveva proposto loro un ricollocamento senza condizioni sindacali. Alcuni hanno trovato altro, mentre in venticinque sono rimasti senza stipendio e in mobilità. Per domenica, ci racconta Vincenzo, hanno organizzato un “Ex Peroni fest” in occasione della chiusura del Napoli Teatro Festival, che ha visto andare in scena alcuni spettacoli proprio sui terreni dell’ex stabilimento, permettendo l’inizio dei lavori di smantellamento della fabbrica. La paura è che questi possano continuare e far partire il nuovo ciclo industriale senza che un accordo con i lavoratori sia stato concluso.
Alla Sirti, società che lavora nel campo delle linee telefoniche per conto di Telecom, i cassintegrati sono 600. Mario ci spiega una pratica molto diffusa nell’ambiente: l’azienda (non solo la Sirti, ma tutte quelle che dipendono da Telecom) subappalta i propri lavori ad aziende più piccole, facendo lavorare a nero i propri operai in mobilità o in pensione: «In questo modo c’è guadagno per tutti: per il lavoratore che accetta questo sistema, che aggiunge ad i soldi della cassa uno stipendio versato a nero; per le aziende che spendono di meno sulla forza lavoro; e per la Telecom, che abbassa progressivamente i prezzi sugli appalti. Chi ci perde siamo noi, che rimaniamo in mobilità, e vediamo dare il lavoro che ci spetterebbe a chi non ne ha diritto».
Fabio ha ventidue anni, e da tre lavora alla Dema, industria con sede a Somma Vesuviana, che produce nel campo dell’aeronautica. E’ presente al corteo perché ha paura che la sua e le altre aziende, possano seguire l’esempio della Fiat, e oltre a uno stipendio sicuro, non vuole perdere i propri diritti di lavoratore. Perito meccanico e informatico, così come Antonio, altro enfant prodige dello stabilimento, si dice disposto anche a sacrifici, per lavorare: «Mi trovo bene, il clima in azienda è buono, e dopo due anni di contratto a tempo determinato speravo di essermi sistemato. Ora siamo tornati a lavoro dopo tre mesi di cassa integrazione, ma chissà».
Ciro è l’eroe della giornata. Giovane operaio dello stabilimento della Fiat di Pomigliano, è uno dei più attivi nella protesta. E’ impegnatissimo, rilascia interviste, urla qualcosa al megafono e i compagni lo incitano a continuare. Non ha molto tempo, lo reclamano dall’altro lato di Piazza Matteotti. Ma lo trova per dire che «quest’accordo è una fetenzia. Io lavoro in lastrosaldatura, lontanissimo dai bagni, e i dieci minuti della pausa li impiego solo per andare e tornare. Comprare una bottiglia d’acqua diventa un lusso impossibile, e rimettersi a lavoro per altre quattro ore dopo aver fatto le corse per andare in bagno, proprio non si può. Figurati, dovrei stare otto ore intere senza fumare, e sapessi quanto fumo in un giorno. A proposito, la tieni una sigaretta?». (riccardo rosa)