Il film di Bruno Oliviero (Napoli, 1972) dal titolo Napoli Piazza Municipio ha vinto lo scorso novembre la sezione documentari del festival del cinema di Torino. In questi mesi girerà per festival e rassegne e dovrebbe essere proiettato in sala anche a Napoli. Nonostante sia stato girato in questi anni, il film sorvola sui fatti di attualità che assediano e mortificano la città ed è piuttosto un mosaico di microscopici eventi e situazioni, tenuti insieme dall’unità del luogo e dello sguardo. «Volevo filmare la vita quotidiana che diventa storia – spiega il regista –. Una sorta di archivio contemporaneo; delle immagini che tra vent’anni saranno considerate immagini di archivio». Il film racconta un luogo determinato, ma evoca anche altri luoghi, altre piazze; eppure, come dice il regista, «non poteva essere girato se non a Napoli». È un film in cui la forma, le immagini e la loro composizione, sembrano prendere il sopravvento sulle cose mostrate. «Ci sono film che esistono solo per la grazia di filmare», è una frase del regista olandese Joahn Van der Keuken, che Oliviero aveva in mente di usare come epigrafe al suo film.
Bruno Oliviero ha firmato i documentari La guerra di Antonietta con Alessandro Abate (2002), su una leader del movimento delle case occupate di Ponticelli, alla periferia est di Napoli, e Odessa (2006), con Leonardo Di Costanzo, sulla nave ucraina abbandonata nel porto di Napoli con tutto il suo equipaggio. «Questo film per me chiude una trilogia – dice Oliviero –. Nel periodo in cui giravamo il film su Antonietta c’erano spesso proteste in piazza Municipio. Nell’archivio televisivo sulle occupazioni di case, mi colpì un telegiornale degli anni Novanta con i manifestanti che alzavano uno striscione e occupavano il consiglio comunale. L’Odessa invece era attraccata al molo di San Vincenzo, che è un prolungamento del molo Beverello, quindi per andare sulla nave passavamo sempre da piazza Municipio. In fondo io abitavo lì vicino, a Santa Maria La Nova; ci andavo spesso di notte, c’erano i bar, i baracchini, la gente per strada. Ci andavo anche di mattina presto, a fare colazione al bar del porto. Insomma, si comincia raccontando le cose che ti sono vicine, che ti piacciono… Ma dopo Odessa e Antonietta, che sono due film sui personaggi, avevo voglia di fare un film più astratto, non volevo di nuovo attaccarmi a una persona, anche affettivamente, come ti capita a volte quando fai un documentario. Volevo fare un film su un’idea, su come la storia entra nella vita quotidiana, o meglio, su come il vivere quotidiano produce la storia. In quella piazza c’erano tutti gli elementi utili: gli scavi della metropolitana, con la storia che letteralmente riemerge in superficie; il palazzo del potere, il mare, il movimento, i migranti e i turisti, tutti elementi semplici che ho filmato e composto in questo film».
Le riprese sono cominciate nel 2004. L’occasione è stata la proposta di una pubblicità per il lancio di Mtv sul satellite, accettata da Oliviero a patto che i negativi non utilizzati nello spot sarebbero rimasti a sua disposizione. «Ho filmato la sequenza del bar vicino al porto – racconta –, conoscevo bene quel posto. È la prima cosa che ho filmato, poi sono passato agli scavi… In realtà, se metti insieme tutti i giorni di riprese non saranno più di una dozzina, quindici al massimo. Ho speso più tempo a organizzare, a fare le connessioni tra le cose, e poi ho passato un anno al montaggio. Era l’unico modo per fare questo film: lentamente, lasciando maturare le idee… Non avevo un’agenda, non mi interessava filmare appuntamenti importanti, tutto quello che ho incontrato sono eventi casuali. Un giorno, per esempio, sono uscito con l’idea di filmare i giardini davanti al Municipio. Di solito ci sono sempre gazebo con persone che protestano, e quel giorno c’erano dei lavoratori assunti da un organismo pubblico e poi lasciati in cassa integrazione. Sono andato a vedere che cosa succedeva lì e sono stato attratto da un gruppo di donne in una baracca, una specie di basso napoletano sotto gli alberi, e ho cominciato a filmare loro».
La piazza scelta da Oliviero è stata teatro di eventi traumatici nel passato recente, ancora freschi nella memoria di molti, e che altri hanno tutto l’interesse a far dimenticare. Marzo 2001, la grande manifestazione contro il Global Forum, la trappola preparata dalla polizia, i manifestanti che arrivano a piazza Municipio, gli agenti che chiudono gli accessi e trasformano la piazza in un’enorme tonnara… C’era il governo di centrosinistra, Enzo Bianco era ministro dell’interno. Tutto questo nel film di Oliviero non c’è, proprio per il tipo di struttura che ha scelto per il suo film. Ma la tentazione è stata forte. «Nel marzo del 2001 ero in piazza Municipio. Il corteo aveva sfilato dalla stazione attraverso corso Umberto. Era strano, non c’era polizia, la vedevi nei vicoli, stavano tutti lì, seguivano il corteo dalle strade parallele. Quando siamo arrivati in piazza l’hanno chiusa. La gente scappava su via Medina, da lì scendevano gli agenti dalla questura, allora entravi nei vicoli e ti trovavi altri poliziotti di faccia… A un certo punto vidi una ragazza pestata a sangue, la sottrassi agli agenti rischiando di essere pestato a mia volta; invece, in maniera quasi magica, questi smisero di picchiare e non so come riuscii a portarla al di là dello sbarramento. A partire da questo episodio ho girato una sequenza in cui cerco questa ragazza, la trovo, ci parlo, lei non si ricorda di me… è una storia molto intima, che faceva precipitare il film; sembrava quasi che stessi mostrando piazza Municipio solo per arrivare a questo punto. Io invece volevo proprio evitare l’evento… insomma, non ne ho fatto più niente».
Nei film sulle case occupate di Ponticelli e ancor più in quello sull’equipaggio della nave fantasma, lo sforzo era di andare oltre la cronaca, dandole una forma più definita, netta, coerente. Nel documentario su Piazza Municipio la cronaca scompare. I novelli sposi immortalati sul prato ai piedi del Maschio Angioino non costituiscono un evento, salvo che per loro stessi. «Mi piaceva essere lì a cogliere un fatto che per quelle persone è un fatto storico. Mi interessava mostrare le cose insignificanti che facciamo in pubblico, e mentre le facciamo stiamo camminando nella storia. Il modo di rendere esplicito, di nobilitare questo discorso passava attraverso il modo di filmare, lo sforzo di fare del cinema».
Nel film ci sono alcune immagini tratte dagli archivi dell’epoca fascista. Sono filmati che mostrano l’arrivo degli operai tedeschi a Napoli per lavorare nelle fabbriche italiane, ma chi guarda il film questo non lo sa. «E non è importante che lo sappia – dice Oliviero –. È una parata, un non-evento, un atto quotidiano che il fascismo storicizza. Non a caso ho scelto solo archivi di quell’epoca. Questo film è anche una reazione al fascismo delle immagini, agli atti quotidiani inutili che passano in televisione sotto forma di reality, al palinsesto continuo della realtà in cui anche quando passi da un canale all’altro stai guardando sempre lo stesso film».
«In fondo questo documentario potevo farlo solo qua – conclude Oliviero –, non conosco altre città con tanti strati, e così in evidenza, come ce ne sono a Napoli. Parlo di strati geologici ma anche di strati sociali, alto e basso… Tutti i personaggi che ho filmato, i venditori del mercato dei fiori, gli avventori del bar, gli operai degli scavi, tutti hanno una teatralità che non ritrovi in altri posti. Questa teatralità sapevo che l’avrei utilizzata non come residuo della storia che raccontavo ma come centro narrativo di tante piccole storie; non dovevo evitare il folklore ma farne uno strumento di lavoro. Nei dibattiti dopo le proiezioni, c’è sempre qualcuno che dice: che bella rappresentazione di Napoli, e così via. Ma c’è anche qualcuno che si alza e che dice: ma questa non è solo Napoli, a me sembra di vedere il mondo. E questa, tra le reazioni al film, è quella che mi fa più piacere».
(luca rossomando)