Lo sgombero dei parcheggiatori di piazza Mercato rivela una delle tante zone grigie dove città legale e illegale comunicano, spesso a ridosso delle istituzioni. I vigili presidiano la piazza senza automobili. La legalità si fa bella ma non propone alternative. O forse sì. Altre assunzioni clientelari?
Sera. Il crepuscolo illumina residui di metallo arrugginito che una volta sono stati una baracca. Gli operai del comune hanno da poco terminato i primi abbattimenti che la squadra dei “barrettari” e quella delle “case nuove”, sono lì a sfidarsi sul lastricato consumato dai copertoni. È il momento del non più e non ancora che attraversa piazza Mercato e i suoi dintorni: nella transizione l’utilizzo dello spazio diventa informale, liquido e sorprendente.
Marzo 2009 è stato il mese della campagna della polizia municipale contro il parcheggio abusivo in città. Le operazioni dei vigili amplificate dalle dichiarazioni del nuovo comandante Luigi Sementa (noto ai più finora per le sua lite violenta con un giornalista del quotidiano “Il Napoli”) hanno riguardato a ventaglio tutta le zone della città. Il discorso di fondo dell’amministrazione comunale (la nuova linea dell’assessore alla legalità Scotti) è quello di restituire le piazze e le strade ai napoletani, vessati dal taglieggio dei parcheggiatori abusivi. In poco più di un mese ci sono state centoventi denunce e decine di migliaia di euro di verbali e contravvenzioni. Le operazioni sono state acclamate da tutti i giornali democratici e benpensanti.
I parcheggiatori abusivi nel loro ambiente sono di due tipologie: i fissi e i volanti. Questi ultimi sono quei figuri che girano intorno a ospedali, teatri, luoghi istituzionali e si improvvisano custodi momentanei dei veicoli; non hanno un posto fisso dove esercitare il proprio mestiere e si adattano alle contingenze del mercato della sosta. I fissi, al contrario, hanno il posto di lavoro: si occupano di spostare le auto, a loro vengono lasciate le chiavi di veicoli costosi, di fatto riscuotono la fiducia dei clienti. I parcheggiatori fissi si ritengono bravi nel loro mestiere, che mestiere è, anche se irregolare; uno dei tanti lavori che costituiscono la seconda economia della città, quel flusso di denaro, per intenderci, che garantisce la relativa pace sociale evitando l’immiserimento senza garanzie di strati popolari in perenne oscillazione tra mondi legali e illegali. Le postazioni fisse talvolta diventano imbarazzanti perché delineano il margine di negoziazione che esiste in città tra l’attività legale e quella illegale, spesso a ridosso di luoghi simbolo delle istituzioni (comune, procura, tribunale etc.).
Esistono altri luoghi gestiti come veri e propri garage a cielo aperto. La diffusione del fenomeno del parcheggio abusivo ha fatto sì che pochi giorni dopo i primi blitz sia emerso dal sottobosco politico il movimento “Cittadino Nuovo” che ha riunito in due assemblee cittadine un buon numero di abusivi lanciando la proposta di legalizzare i parcheggi e di assegnare ai parcheggiatori il titolo di “coordinatori della sosta” da riunire in cooperative da affiancare alla società comunale Napolipark che gestisce il business della sosta in città. Con manifesti di marca destrorsa e in tempo di elezioni (provinciali ed europee) l’operazione puzza di bruciato, di clientelismo, di promesse elettorali da scambiare per un pugno di voti inquinati. Insomma è emerso un problema sociale ed economico che si intreccia con questioni assai profonde legate alla gestione del territorio e dello spazio pubblico.
Piazza Mercato è uno slargo enorme su cui si affacciano i vicoli del Mercato e del Pendino. Qui ogni pietra ha una storia da raccontare, ogni vicolo ha una sua voce. Tra le viuzze strette e l’ombra di palazzo Ottieri sono cresciuti i fissi che fino a poco tempo fa gestivano il parcheggio abusivo ospitato proprio al centro della piazza. I parcheggiatori del Mercato sono una squadretta di quattro persone, lavorano due turni (giorno e notte) e guadagnano in media circa millecinquecento euro al mese.
La piazza ha iniziato a essere utilizzata come luogo di sosta fin dal 1965, quando le automobili iniziarono ad arrivare a traino del ripopolamento della zona e all’apertura dei negozi. Era il periodo in cui si andava a concludere la bonifica frettolosa delle baracche e dei ruderi di tufo di via Marina. Tra il Mercato e via Marina c’erano le baracche con le botteghe dei Fabbri (i mastri ferrari) e dei Mannesi che erano gli artigiani della costruzione dei carri e delle ruote chiodate. I primi lavoravano e dormivano in baracche di legno e lamiera e furono fatti spostare dai bassi dei vicoli a ridosso dello slargo di Sant’Eligio. I mannesi invece sono scomparsi insieme a carri e cavalli. Al posto delle loro botteghe lo spazio iniziò a ospitare dei depositi di materiale e un parcheggio per i camion che lavoravano tra il porto e l’entroterra. In questi anni gli scugnizzi del Pendino praticavano un uso singolare: salivano a bordo delle navi ormeggiate in porto con delle capienti botti di legno e iniziavano una caccia al ratto di bordo. Dopo aver stipato i contenitori riscendevano e andavano a liberare gli animali belli grassi tra le baracche, oppure direttamente in piazza scatenando moti di schifo e ilarità. In effetti, dietro lo scherzo si nascondeva un obiettivo preciso, quello di rendere ancora più insalubre la zona e velocizzare la distruzione dei vicoli della Marina. Ancora oggi, di notte, le strade a ridosso del Mercato pullulano di ratti che scorazzano nelle sentine di tufo e sui basoli consumati di piperno.
Il primo parcheggiatore – almeno così vuole una breve storia orale del quartiere – è stato don Gennaro, un signore corpulento che iniziò a sistemare tutto intorno al perimetro della piazza i veicoli di trasporto dei negozianti, le prime auto private del boom economico. Don Gennaro scendeva di prima sera a controllare che durante la notte non venissero prelevate auto o anche merce accatastata nei magazzini disseminati intorno alla piazza. «Don Gennaro è stato il primo di una dinastia», racconta Pasquale che ne ha raccolto l’eredità e che fino al 6 marzo ha continuato a gestire la piazza. «Poi siamo seguiti noi che pian piano abbiamo riorganizzato la piazza e gestito lo spazio per le auto e per chi ci vive».
Man mano che la speculazione edilizia di marca laurina prendeva forma nel palazzo Ottieri, la piazza si trasformava e assumeva i caratteri odierni. La prospettiva verso il porto, che ne faceva un mercato all’aperto direttamente in collegamento con le banchine, è ormai scomparsa lasciando il posto a una miriade di edifici accatastati senza un apparente criterio, nella zona compresa tra via Duomo e il corso Garibaldi.
Fino alla metà degli anni Settanta il parcheggio non occupava l’intera piazza, che era un brulichio di attività. Ambulanti giravano la zona e si riunivano al centro della piazza; vendevano olio, sapone e detersivi, noci, gazzose, tutto rigorosamente sfuso, al dettaglio. Di buon mattino, inoltre, arrivavano dalla zona del beneventano e del vesuviano venditori che si sistemavano al centro in un mercato quotidiano: il lunedì c’erano le scarpe, il martedì arrivava la frutta e la verdura di stagione, in particolare si ricordano le casse di more e gelsi che venivano vendute in coppi di carta oliata. Il Mercato era tale per tutta la settimana: tra i suoi vicoli risuonava una particolare sinfonia urbana fatta di urla, richiami e fischi modulati: ogni suono era un commercio.
In pochi anni però l’utilizzo dello slargo che ha visto la morte di Masaniello e dei giacobini del 1799, si è trasformato grazie all’arrivo di camion-negozio che si sistemavano nello spiazzo centrale e vendevano in principio biciclette e piccoli mobili. Erano gli antesignani dei negozi e baracche improvvisate che nel tempo hanno occupato tutto il lato superiore della piazza mettendo in mostra sulla carreggiata mercanzia varia: lettini balneari, sedie a sdraio, fuochi d’artificio e poi motorette elettriche per bambini, vasi e altra mercanzia “stagionale”.
È in questo periodo di riorganizzazione che nello spazio tra via Marina e piazza Mercato, giusto alle spalle del palazzo Ottieri, prese forma il deposito dei cartonai. «Partivamo la notte con il triciclo Ape e facevamo il giro di tutto il quartiere. C’erano magazzini ovunque e noi prendevamo il cartone degli imballaggi. Poi arrivavamo al deposito che era grande abbastanza da farci entrare il mezzo, scaricavamo e andavamo alla pressa che faceva le balle. La bilancia aveva una baracca tutta per sé, si pesava e alla fine prendevamo dieci lire al chilo di cartone. Noi per aumentare il peso lo bagnavamo oppure nascondevamo delle pietre in mezzo…».
Pasquale prima di arrivare a fare l’abusivo fisso ha attraversato vari dei mestieri irregolari di Napoli, per poi passare a fare il rapinatore come molti dei suoi colleghi della zona. Il parcheggio è l’approdo di una carriera irregolare. Durante i festeggiamenti per il Carmine, Pasquale e i colleghi diventavano attrezzisti per le giostre e i “tozza tozza” che venivano montate al centro della piazza, oppure integravano il reddito diventando “galoppini” del toto nero, un’industria cancellata dalla legalizzazione di scommesse di ogni tipo.
Il lavoro del parcheggio, invece, si è tramandato per chiamata. Dopo don Gennaro sono arrivati i più giovani. Il nucleo attuale di parcheggiatori si è formato nei primi anni Ottanta e per lungo tempo ha continuato l’attività essenzialmente di notte. È nei primi anni Novanta che il parcheggio è diventato anche diurno, gestito con una turnazione regolare: di giorno due persone e di notte altre due. I residenti della zona e i commercianti hanno preso l’abitudine di parcheggiare comodamente sotto casa lasciando una quota mensile ai parcheggiatori (tra i quaranta e i sessanta euro) che hanno riempito la piazza di automobili.
Il rinascimento napoletano non ha mai coinvolto piazza Mercato. Un segnale fu l’arrivo delle strisce blu e della società Napoli Park. Tuttavia accadeva che molti residenti iniziassero a lamentare furti di macchine costose e i rappresentanti di commercio erano vittime di rapine diurne e notturne. La vulgata vuole che ci fossero dei contatti tra chi gestiva le strisce blu e le informazioni necessarie per fare dei bei colpi. Iniziò quindi una negoziazione: gli abusivi si impossessarono nuovamente della piazza e i furti diminuirono fino a scomparire. Alcuni assessori e politici locali sono stati segnalati in zona a mediare tra la società legale e i parcheggiatori illegittimi. «Alcuni sono gli stessi che ora ristabiliscono la legalità», rinfocola Pasquale. Le automobili dal canto loro erano un elemento mobile, venivano spostate per fare spazio a concerti, spettacoli di teatro, festeggiamenti per la Madonna dell’Arco e partite di calcio. In primavera, ormai da dieci anni, piazza Mercato ospita un torneo di calcio dedicato alla memoria di un ragazzo del quartiere morto di leucemia. Vengono montate delle porte e squadre di quartieri diversi, con divise e palloni di cuoio, disputano il sabato e la domenica tornei divisi per categorie d’età. I parcheggiatori sistemano le auto in modo da realizzare il campo, aprendo di fatto la piazza a un uso pubblico, informale e tutto sommato efficace.
Dopo il blitz dei vigili urbani e gli abbattimenti delle baracche abusive di fronte alla chiesa del Mercato, la piazza è ancora vuota, protetta da una nuova recinzione di catene. La prima notte, all’incirca verso le undici, uno sciame di ragazzini metteva in mostra doti tecniche da calciatori in erba. Le loro urla sostituivano i rumori dei motori. La piazza, però, era presidiata da una volante della polizia municipale che non gradiva le pallonate e ha obbligato i ragazzini a spostarsi nel più angusto spazio tra la piazza e palazzo Ottieri. Andata via la volante, i ragazzini si sono riappropriati della piazza.
Di progetti di riutilizzo, di riapertura alla città non si è ancora parlato. Mormorii e intenzioni sussurrate a mezza voce accarezzano la questione mettendo in relazione la necessità di trovare un’altra fonte di reddito per i parcheggiatori e le prossime scadenze elettorali: i tempi delle promesse non sono mai finiti. (-ma)