È venerdì mattina e sono ai cancelli delle terme di Agnano, complesso pubblico nell’omonima conca alla periferia ovest di Napoli, dove più o meno duemila anni fa i romani cominciarono a costruire strutture per sfruttare le sorgenti scoperte dai greci. Oggi le terme sono convenzionate con il sistema sanitario nazionale, offrendo benefici a chi ne ha bisogno grazie alla ricchezza delle loro acque vulcaniche.
Gli ampi spazi verdi e l’imponente palazzo che ospita l’albergo, con la loro quiete, sono in contrasto con la scena che mi si presenta agli occhi, al di fuori del cancello. Una trentina di lavoratori e lavoratrici, principalmente di mezza età, con facce stanche e arrabbiate, riflettono la frustrazione di chi non ha più certezze. A loro si sono uniti anche gruppetti di studenti, lavoratori, e disoccupati del Movimento 7 Novembre, in segno di solidarietà.
Eduardo Sorge, sindacalista del SiCobas, parla al megafono per diversi minuti, raccogliendo gli applausi dei lavoratori: «Staremo qui fino a quando l’amministrazione comunale e l’ente non ci fanno capire quali decisioni hanno preso riguardo al destino dei lavoratori e delle lavoratrici».
La vicenda delle terme di Agnano non è purtroppo nuova. L’azienda è una partecipata al cento per cento del comune di Napoli. Attualmente in procedura di fallimento, ha lasciato senza stipendio i lavoratori per diciotto mesi, anche se questo lento declino ha radici profonde nel tempo, a cominciare dall’attenzione sempre meno forte da parte dell’amministrazione nel corso degli anni e da una serie di decisioni gestionali controverse.
Uno degli episodi cruciali è stato il fallimento dell’accordo del 2016 con il gruppo di aziende che aveva ottenuto la gestione trentennale della struttura. Questo evento ha scatenato una complessa e lunga battaglia legale tra il Comune e i gestori, con richieste di risarcimento economico da entrambe le parti. A complicare ulteriormente la situazione c’è stato il peggioramento delle condizioni strutturali del complesso, con segni di abbandono evidenti, pavimenti cedevoli e infiltrazioni d’acqua, frutto di una manutenzione non adeguata nel tempo, e di scarsa volontà di investire per mantenere le strutture in uno stato accettabile. Negli ultimi quasi dieci anni, tutte le decisioni prese dal comune di Napoli, fino alla liquidazione volontaria della Terme di Agnano Spa, sono state guidate da perdite finanziarie significative e dalla scarsa volontà di mantenere la gestione pubblica di una struttura così importante. Molti lavoratori, intanto, hanno in questi anni dovuto fare i conti con la cassa integrazione.
«Nonostante i mesi di stipendio non corrisposto – sottolineano gli interventi al megafono – abbiamo continuato a timbrare il cartellino, sperando ci fosse un futuro per la struttura. Oggi, la nostra priorità è recuperare gli stipendi arretrati. Ma allo stesso tempo non possiamo credere che l’unica soluzione sia che le terme, un bene pubblico, subiscano un processo di privatizzazione». Il paradosso, non nuovo a dire il vero in questo tipo di situazioni, è che la liquidazione del patrimonio pubblico sembra l’unico modo per pagare i lavoratori. A questo proposito, un nodo cruciale sembrava essere la trattativa con l’Inail per una possibile co-gestione delle terme. Diversi incontri sono avvenuti, ma le variazioni nella leadership dell’ente sembrano aver influenzato in negativo il processo.
Anche sul fronte della possibile cessione, il procedimento di vendita che sembrava essere vicino alla conclusione si è rivelato più complesso del previsto, congelando per ora la perdita di un complesso che sarebbe gravissima in termini di patrimonio culturale, turismo, economia locale e benessere della comunità. Il Comune, in ogni caso, non ha mai voluto comunicare chi fosse l’acquirente, e a tutt’oggi l’avviso per la manifestazione di interesse è ancora sul sito internet delle terme.
Da circa tre mesi le lavoratrici e i lavoratori della struttura hanno deciso di organizzarsi con il supporto del sindacato di base SiCobas, ottenendo diversi incontri con l’amministrazione comunale (sindaco, assessori al lavoro, al turismo e al bilancio), con i dirigenti delle partecipate e con il responsabile della struttura. «Fin da subito – spiegano – abbiamo valutato le possibilità di procedure che garantissero il reinserimento dei lavoratori dentro un piano di riqualificazione e di rilancio delle terme, o il ricollocamento dentro altre aziende partecipate. Purtroppo dopo le interlocuzioni iniziali il processo sembra essersi arenato».
Daniela, una delle lavoratrici, racconta: «Negli ultimi mesi abbiamo deciso di andar via perché non ce la facevamo più senza soldi. Ci hanno detto che ci avrebbero pagato attraverso la vendita dei beni delle terme, e già questo ci fa male. Il mese scorso ci hanno fatto vedere gli assegni della vendita, ma ci stanno illudendo da mesi e intanto non succede niente di concreto». Da un punto di vista occupazionale, l’accordo proposto ai lavoratori prevederebbe un riassetto dei dipendenti in altre posizioni lavorative o in altre aziende, una proposta non nuova, ma che in questi anni non ha mai funzionato. I lavoratori spiegano che nel 2019 gli fu proposto di accettare uno stipendio dimezzato o di essere trasferiti all’Asìa, l’agenzia servizi di igiene ambientale, con un ruolo molto diverso rispetto a quello svolto alle terme. Nonostante l’evidente disqualifica professionale molte lavoratrici accettarono, ma non se ne fece nulla perché furono giudicate inidonee per il nuovo incarico.
La protesta di venerdì scorso è terminata sotto la sede del comune, e con un confronto con l’assessore al lavoro Chiara Marciani e la presidente del consiglio comunale Enza Amato. I lavoratori hanno espresso le loro preoccupazioni e la loro esigenza di un pagamento degli stipendi arretrati, hanno ribadito la richiesta di ricollocazione in altre aziende comunali, e chiesto chiarezza sulle promesse (non mantenute) di una possibile assunzione entro fine aprile. Al termine dell’incontro hanno convocato una nuova manifestazione per domani, giovedì 18 aprile, ancora di fronte al palazzo del comune di Napoli, in concomitanza con la riunione dei capigruppo del consiglio dedicata esclusivamente a questo tema. (serena bruno)