Dicembre, gennaio, febbraio, marzo ma non tutto sono mesi invernali;
marzo ma non tutto, aprile, maggio, giugno ma non tutto sono mesi primaverili;
giugno ma non tutto, luglio, agosto, settembre ma non tutto sono mesi estivi;
e tutto il resto mesi autunnali.
(rosinella, io speriamo che me la cavo)
Complice forse il cambiamento climatico, non è stato ben chiaro dallo scorso fine settimana quale sia la stagione entrata nelle nostre vite repentinamente. Alte temperature, giorni di freddo, la massima di oggi a 27. Nella confusione generale il rettore della Federico II, venerdì, in un’assemblea pubblica con gli studenti che gli avevano occupato il rettorato per chiedere la sospensione degli accordi della loro università con quelle israeliane, in segno di distensione si è tolto la giacca (chiedendo il permesso alla platea). Altro che autunno caldo.
Una cosa che potreste fare, come optional, è rendervi conto che ci sono sei stagioni, non quattro. La poesia delle quattro stagioni è completamente sbagliata per questa parte del pianeta, ecco perché siamo quasi sempre così depressi. Insomma, spesso e volentieri la primavera non sembra affatto primavera, e novembre non c’entra niente con l’autunno. Ecco la verità sulle stagioni: la primavera sono maggio e giugno! Cosa c’è di più primaverile di maggio e giugno? L’estate sono luglio e agosto. Fa un caldo boia, no? L’autunno è settembre e ottobre. Le vedete le zucche? Sentite l’odore di quel falò di foglie secche. Poi viene la stagione chiamata “chiusura”, il periodo in cui la natura chiude i battenti. Novembre e dicembre non sono l’inverno, sono la “chiusura”. Dopo, arriva l’inverno, con gennaio e febbraio. Accidenti! Quelli sono freddi! E poi cosa arriva? Non la primavera. La “riapertura”. Che altro potrebbe essere aprile?
(kurt vonnegut, quando siete felici fateci caso)
Difficile dire di aprile, in effetti. E se non ci viene in soccorso -kv, figuriamoci gli antichi. “Stagione” viene dal latino statio-stationis, che richiama l’idea della sosta, della fermata. I miti classici e quelli più addietro nel tempo ci parlano in proposito di contese tra le forze della vita e della morte, dei, semidei e sottodei, eppure da quell’universo così metafisico scaturisce una precisa scansione cronologico-geografica di punti cardinali, ore del giorno e tutto il resto. A chi credere, dunque? Al calcolo matematico dei cicli lunari o a quella in fondo strampalata teoria per cui il temperamento di ognuno di noi risente delle condizioni temporali e climatiche del momento della sua nascita?
Il racconto iniziale di Timeo parla del Demiurgo, una forza ordinatrice, imitatrice, plasmatrice, trasformatrice ma non creatrice, che prende i quattro elementi materiali (acqua, aria, terra e fuoco), i quali si agitavano disordinatamente, e impone loro forma e numeri. In seguito il Demiurgo crea il tempo, immagine dell’eternità, e gli astri. A queste divinità create attribuisce il compito di forgiare quello che resta del mondo, ovvero i corpi delle creature mortali; in questo modo il cosmo è compiuto in maniera completa e bella. […] Platone descrive il cosmo come composto dai quattro elementi: fuoco, terra, aria e acqua. Ciascuno di questi elementi ha la forma di un solido geometrico regolare (tetraedro, cubo, ottaedro e icosaedro) e tutte le cose hanno una forma riconducibile a questi solidi, che a loro volta sono scomponibili in triangoli. Tutto quindi si riconduce a triangoli, cioè a superfici regolari. Persino gli aspetti sensibili delle cose, colori, sapori e odori sono collegati a strutture e rapporti matematici.
(il timeo, da: istitutocalvino.edu.it)
Problema tutt’altro che risolto. Ma l’etimologia ci richiama all’ordine e ci esorta a fermare i pur rispettabili vaneggiamenti. Spazio alla concretezza.
Rimpianti:
Ne abbiamo avute di occasioni.
Perdendole,
Non rimpiangerle.
(franco battiato, la stagione dell’amore)
Speranze:
Nuto voleva ancora capire il mondo, cambiare le cose, rompere le stagioni […]. Ma io, che non credevo alla luna, sapevo che tutto sommato soltanto le stagioni contano, e le stagioni sono quelle che ti hanno fatto le ossa, che hai mangiato quand’eri ragazzo.
(cesare pavese, la luna e i falò)
Certezze:
“Ne parliamo la prossima stagione”. Conte ha dato la sua parola al Napoli.
(Corriere della sera)
C’è un bel libro che si chiama Una stagione di fuoco. Fascismo, guerra e Resistenza nel Parmense, edito dalla Biblioteca Franco Serantini e scritto dagli studiosi del Centro studi movimenti. La stagione è quella che va dalla deposizione di Mussolini il 25 luglio del ’43 alle elezioni del ’46, e viene raccontata soprattutto attraverso le storie dei resistenti e delle resistenti della provincia emiliana. L’ho avuto tra le mani qualche mese fa, e mi è capitato di ripensarci la scorsa settimana, mentre guardavo The first 54 years. An abbreviated manual for military occupation, film di Avi Mogravi che ripercorre in tutta la sua lucida brutalità la storia dell’occupazione dei territori palestinesi, attraverso le parole dei militari israeliani che ne sono stati protagonisti in questo mezzo secolo.
Ieri sera, mentre dall’Iran partivano decine di droni e missili verso Israele, mentre i Guardiani della rivoluzione islamica rivendicavano l’attacco e i caccia-bombardieri dell’
2. Nata probabilmente dalla lotta delle prime aggregazioni umane per la sopravvivenza e per il possesso del territorio, la guerra sembra svilupparsi sistematicamente nei successivi periodi storici per effetto della diseguaglianza nell’accesso alle risorse, della rapina reciproca dei beni, dell’accumulo della ricchezza, della paura e della diffidenza reciproca, delle diversità religiose, culturali, linguistiche, della negazione dei diritti di altre comunità e quanto altro, nella storia dell’umanità, abbia posto in qualunque modo donne e uomini contro altre donne e uomini.
2.1. Le guerre ad altissimo potenziale distruttivo di questa parte della storia, basate sulla ricorrenza moltiplicata degli stessi fattori primordiali di possesso e di rapina, ma includenti ormai l’intera popolazione terrestre, pongono in pericolo l’esistenza dell’umanità e tracciano il panorama di un possibile suicidio della specie. La lotta telica alla guerra, lo scopo politico di un’umanità pacifica e unita non è un sogno utopistico, né un retorico atto d’amore, né una missione religiosa, bensì una rigorosa e immediata necessità prassica per la salvezza della specie: la mutazione eierenica è chiaramente l’unica che può garantirne la sopravvivenza.
2.3. La saga dialogica antica della lotta di classe si disperde nella guerra senza quartiere fra coloro che non vogliono la guerra e coloro che vogliono la guerra: paradosso semantico evidente che alimenta una speranza luminosa come un’aurora e la sospesa apprensione di un’apocalisse densa di orrori impensabili. La guerra non si antagonizza con un pacifismo generico, qualunquistico o clericale, bensì – probabilmente – con un lungo, composito, contraddittorio e multicolore sforzo trasformazionale, che potrebbe impegnare diverse successive generazioni.
(sergio piro, esclusione, sofferenza, guerra. tesi provvisorie sulla guerra, l’esclusione sociale, la privazione dei diritti, la sofferenza oscura)
L’eterna stagione della guerra non finirà da sola, vale la pena mettersi a lavoro. (riccardo rosa)
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