Quando mi sveglio alle 7:30 di mercoledì ha già smesso di piovere. Apro la finestra, vedo il selciato bagnato e penso che sarebbe stato difficile stendere il cartone in piazza Garibaldi per delimitare lo spazio della preghiera. Forse si resterà in moschea, penso.
Amar Abdallah ha dato appuntamento alle 8:45 per le celebrazioni dell’eid el fitr, la festa per la fine del digiuno. Mercoledì 10 aprile 2024 è, infatti, il primo Shawwal 1445 secondo il calendario islamico, il primo giorno dopo il mese di ramadan. Arrivo in anticipo rispetto all’appuntamento e non trovo il solito scenario. La piazza è semi-vuota. La pioggia in questa città sembra rendere tutto molto complicato. Ma ormai non piove da qualche ora e il selciato si sta asciugando.
Passo da via Spaventa, sul lato sud della piazza, dove si affollano i fedeli in fila per entrare nelle due moschee, quella dell’Associazione islamico culturale pakistana e quella della Comunità islamica di Napoli. C’è la calca davanti alle porte, tutti vogliono entrare. All’improvviso comincia un flusso nella direzione opposta. La decisione è presa. Non pioverà di nuovo, il selciato è asciutto, si può allestire la piazza. Dalla moschea della Comunità islamica di Napoli cominciano a uscire i fedeli con i rotoli di cartone che saranno stesi sulla piazza, esce Amar Abdallah, l’imam che, seguito dai suoi due figli, Hareth e Ahmad, dà indicazioni, parla a telefono e trafelato cerca i suoi ospiti, il prefetto Michele Di Bari e l’assessora Chiara Marciani. Esce sulle braccia dei fedeli e smontato il minbar, il pulpito che sarà rimontato in piazza e dal quale l’imam terrà la khutba, il sermone, subito dopo i saluti istituzionali e la preghiera.
In mezz’ora la piazza ridiventa, come negli anni passati, la moschea grande della città che accoglie cinque mila fedeli. Il numero dei musulmani a Napoli è in aumento, anche se non si hanno dati precisi. Lo si capisce anche da questa giornata. In piazza Plebiscito si riunisce un altro pezzo della comunità, succede lo stesso nell’area di piazza Mercato dove c’è l’altra moschea storica della città, nella moschea di via Torino la preghiera per l’eid el fitr si ripete quattro volte e il numero dei fedeli è tale da rendere necessaria l’occupazione temporanea di una parte della strada.
In piazza Garibaldi si affollano anche i curiosi, e ovviamente i giornalisti pronti a cogliere le parole di rito del prefetto e dell’assessora. Dialogo, rispetto, convivenza. Queste suonano un po’ vuote quando Amar Abdallah ricorda le questioni in sospeso da ormai più di tre decenni. Napoli non ha ancora uno spazio cimiteriale islamico e una moschea costruita per essere tale nonostante le richieste e le interlocuzioni formali avviate già alla fine degli anni Ottanta. È un eid el fitr diverso dagli altri quest’anno. Prima delle richieste della comunità, l’imam ricorda ai suoi ospiti il massacro in corso a Gaza e la necessità di prendere una posizione. Nella folla spunta qualche bandiera della Palestina, ne viene appesa una al minbar. Dal 7 ottobre scorso le comunità islamiche della città hanno partecipato alla mobilitazione contro l’occupazione israeliana convergendo in parte sulle chiamate di studenti e movimenti.
È un eid diverso dagli altri anche perché accompagnato da una polemica costruita su un provvedimento che si potrebbe definire di semplice buon senso; la chiusura nel giorno della festa di fine ramadan della scuola di Pioltello in provincia di Milano ha scomodato ministri e presidente della Repubblica. È lo stesso Amar Abdallah che lo sottolinea prima di congedare prefetto e assessora con due targhe che servono, forse, come promemoria delle parole ripetute in questo giorno di festa, perché non restino vuote.
È un eid diverso, non c’è esattamente un clima di festa. Sarà per il cielo ancora coperto, sarà perché ancora una volta si mette in discussione la legittimità di una presenza, è sicuramente un peso sui cuori la ferocia scatenata su Gaza e i territori occupati. Alla fine della celebrazione faccio un giro lì intorno per fare gli auguri. Questo eid è diverso, e te ne accorgi anche perché in qualche modo è diventato familiare. (nicola di mauro)
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