Il 7 gennaio 1983 il consiglio regionale della Campania approvava una legge “per l’esercizio delle funzioni in materia di difesa del territorio dal rischio sismico”. Erano passati tre anni dal terremoto che aveva colpito soprattutto Campania e Basilicata, coinvolgendo anche altre provincie del centro e del sud del paese, e causando quasi tremila morti, novemila feriti e duecentottantamila sfollati.
Dal punto di vista legislativo il terremoto aveva portato la consapevolezza, per i tecnici e per le istituzioni, della mancata pianificazione degli anni precedenti, e soprattutto dell’assenza di leggi che potessero aiutare a prevenire o almeno ad affrontare eventi del genere in maniera preparata. La legge 9/83 provò a mettere un po’ d’ordine nella situazione, con le prove sismiche effettuate sul territorio, gli elaborati cartografici, e la classificazione delle aree più o meno a rischio. Nel giorno del trentennale del terremoto, però, questa legge è ancora l’unico riferimento in materia, una legge che avendo ventisette anni ha dei limiti notevoli, se si considerano i cambiamenti morfologici del suolo, e soprattutto le tecnologie che si sono sviluppate in seguito.
Francesco Peduto è il presidente dell’ordine dei geologi della Campania. Spiega che una legge che provasse ad affrontare la situazione in maniera più attuale, era stata fatta negli scorsi anni, giudicata in maniera favorevole da parte di tutti, ma mai approvata: «In qualche cassetto della Regione Campania vi è un disegno di legge su “Funzione e delega in materia di difesa del territorio dal rischio sismico” licenziato nel 2005 da una commissione alla quale avevano partecipato esperti e ordini professionali. Per quel disegno di legge tutti noi spendemmo molte energie, attraverso commissioni speciali di studio, coinvolgendo esperti e docenti universitari e, almeno per quanto riguarda la pianificazione geologica, ne venne fuori qualcosa di molto interessante. Soprattutto si trattava di qualcosa di attuale, anzi all’avanguardia, che avrebbe consentito di colmare lacune ed incongruenze della legge in vigore». Il disegno di legge proposto nel 2005, in effetti, oltre a dare una natura concreta agli ultimi studi sul territorio, teneva conto delle opinioni, delle idee e delle proposte dei comitati e delle associazioni territoriali. La legge avrebbe aggiornato quella del 1983, costruendo una nuova rete dai nuovi elaborati cartografici, e da dati e strumenti capaci di ridefinire le aree tenendo conto dei cambiamenti del territorio e delle tecnologie.
La legge regionale, però, non ha mai visto la luce, a quanto pare a causa di una mancanza di risorse. La Campania, d’altronde, è protagonista di un’altra grossa mancanza a riguardo, quella sulla “legge per il fascicolo del fabbricato”, una sorta di libretto sanitario degli edifici, che ne permette un monitoraggio continuo, e consente di essere a conoscenza in qualunque momento sia necessario, di vita, morte e miracoli degli stessi. «Nel nostro progetto di legge del 2005 non fu esplicitamente sottolineata la necessità che si procedesse a una legge per il fascicolo del fabbricato, soltanto perché nel 2000 era stata approvata una norma dal governo centrale che imponeva alle regioni di dotarsi di questo strumento. In dieci anni, la regione Campania non ha provveduto, lasciando una lacuna gravissima, che chissà quando verrà colmata».
Un’altra amara considerazione viene fuori dal convegno dell’Ordine, provocatoriamente chiamato “Il terremoto atteso”. Il professor Morra, infatti, direttore del dipartimento di Scienze della Terra della Federico II, ha fatto notare ai colleghi e ai giornalisti presenti, come «con i tagli della riforma Gelmini, venticinque dipartimenti di geologia in Italia rischino di sparire. Se si pensa che il nostro è un paese a rischio idrogeologico per il settanta per cento, con regioni a rischio totale, come la Calabria e l’Umbria, non si capisce come si possa fare una scelta del genere. I tagli di organico, infatti, sono strettamente legati con il futuro dei dipartimenti, e di conseguenza con la progressiva scomparsa della figura professionale. Sembra che dei geologi si voglia definitivamente fare a meno, per poi ricordarsene solo quando è troppo tardi. Proprio come è successo a L’Aquila». (riccardo rosa)
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