Dopo l’approvazione stasera del decreto Gelmini, in una piazza Montecitorio blindata per contenere le proteste, manca solo il Senato per ratificare il nuovo volto dell’università italiana. Il governo farà di tutto per arrivare al voto prima del 14 dicembre, data di una possibile sfiducia preannunciata dalla fazione dissidente della maggioranza; la stessa fazione che prima di fare cadere l’esecutivo si sta però preoccupando di sostenerne la riforma forse più incisiva.
Con l’approvazione degli interventi sull’università si completa una riforma dell’istruzione pubblica che promette di lasciare eredità pesanti a medio e lungo termine. La scuola primaria e quella superiore hanno già subito la loro parte di tagli del personale, dei fondi, di indirizzamento verso una più o meno esplicita privatizzazione. E la stessa università negli ultimi due anni ha cominciato a ridimensionarsi, in seguito ai primi provvedimenti: dipartimenti cancellati, facoltà e corsi di laurea accorpati, dottorati scomparsi, assegni di ricerca latitanti. Gli unici a rimanere saldamente in poltrona per effetto di una riforma che si autoproclama anti-baronale sono i docenti a tempo indeterminato, associati e soprattutto ordinari. Il governo ora è più debole di quanto non fosse due anni fa, dicono, ma anche gli studenti universitari si sono scontrati con lo stesso muro già sperimentato da docenti, genitori, ricercatori, oltre che dagli stessi universitari e liceali due anni prima. Certo fino alla fine non è detto, l’ultima parte del pacchetto di interventi non è ancora approvata.
L’Onda di due anni fa era cresciuta gradualmente nelle università, lentamente era montata e poi esplosa in mesi di proteste diffuse e trasversali, con strascichi seguiti anche all’approvazione della prima tranche della riforma. Stavolta, dopo un intermezzo estivo che ha visto protagonisti principalmente i ricercatori, gli studenti universitari e medi nelle diverse città si sono ricompattati in poche settimane; non hanno raggiunto ancora i numeri di due anni fa ma sembrano più decisi, presidiano i tetti e fanno incursioni in Senato. Altrettante poche settimane però li separano da una probabile approvazione definitiva della nuova legge.
Oggi i cortei in tutta Italia hanno bloccato le autostrade, le stazioni, il traffico cittadino, hanno occupato istituzioni e monumenti. A Napoli l’iter ha ripercorso quello delle manifestazioni di due anni fa: partenza dal centro storico con arrivo a piazza dei Martiri, salotto cittadino e sede di Confindustria, passando sotto ai palazzi della Regione e della Provincia. Ma gli elementi più caratterizzanti delle manifestazioni cittadine stavolta, rispetto al resto del Paese, sono i sacchetti dell’immondizia, lanciati insieme alla pittura rossa sulle facciate delle sedi istituzionali lungo il percorso.
Il corteo non autorizzato è partito stamattina alle nove da piazza del Gesù, accompagnato da una pioggia continua che ha contribuito a bloccare il traffico cittadino e in particolare la zona della marina, rimasta paralizzata per ore. Gli studenti hanno le facce dipinte di colori chiari, quelli davanti a tutti portano i cappucci, gli altri fanno avanzare gli striscioni in mezzo a una selva di ombrelli. Le prime tappe davanti al palazzo della provincia di Napoli, a piazza Matteotti, e della Regione, a palazzo Santa Lucia, dove partitono i primi lanci di sacchetti, «per ricordare che non possiamo vivere in condizioni disumane», sottolinea il megafono. A via Chiatamone contestato il Rettore dell’Orientale, per avere rilasciato nei giorni scorsi dichiarazioni troppo morbide sulla riforma, così come poco più avanti la sede del Cepu; bersagliata invece di palle di carta la redazione de Il Mattino, «un quotidiano pieno di palle!», esplicitano fuor di metafora gli studenti.
Il trattamento peggiore tocca alla sede dell’Unione degli industriali, che oltre ai sacchetti e alla pittura ricevono anche uova, marce, in risposta al sostegno alla riforma espresso più volte dal presidente Marcegaglia. Dopo piazza dei Martiri il corteo inverte la marcia, percorrendo questa volta il lungomare. Sulla via del ritorno viene improvvisato un blitz a Castel dell’Ovo: lo striscione “I nostri diritti contro i vostri profitti!” viene calato dalle mura del castello, che viene anche occupato simbolicamente per poco, per essere poi rilasciato alla consueta immobilità. Unico danno accertato della giornata, escludendo i giudizi metaforici lanciati in versione materiale sulle varie sedi di rappresentanza, è il finestrino rotto di una volante sotto la questura centrale.
Le mobilitazioni straordinarie a Napoli erano ripartite il 25 novembre, con l’occupazione di palazzo Giusso dell’Orientale, il blocco del rettorato della Federico II, cortei improvvisati. Nuove manifestazioni il giorno dopo avevano anche contestato la presenza del presidente del Consiglio in città con un presidio sotto la prefettura. Ieri si è aggiunta l’occupazione della facoltà di Lettere della Federico II, in seguito ad un nuovo blocco del rettorato. Previste stasera nelle varie sedi e domani mattina a palazzo Giusso nuove assemblee per decidere come continuare. (viola sarnelli)
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