Per evitare il rumore delle “troppe cose a cui pensare” di cui parlava Bellow, torno in quel bar vicino al cinema. Di pomeriggio è frequentato da chi ha appena finito un concorso o da chi sta per mettersi in fila per un concerto. Al piano superiore si fanno progetti, riunioni, a volte feste di pensionamento. Ci sono anche molti sportivi, perché vicino c’è una grande palestra, campi da tennis, una piscina. Entro e sono tutti lì che mi guardano: dieci o dodici carabinieri e il ministro Gennaro Sangiuliano. Perché?
«Prendi qualcosa», dice il ministro a una donna che è con lui. «Non posso, sono perennemente a dieta», risponde con sorriso ossequioso lei, che immagino sia una sua assistente. Sento che Sangiuliano parla di Bagnoli, poi il gruppo di militari esce con il ministro al centro mentre resto solo nel bar, con il cassiere che aspetta che io parli.
Tutto quello che mi succede nelle ore che dedico alla scrittura di questi appunti sul Napoli è spesso riconducibile alla partita stessa. Quale sia il collegamento tra la sconfitta di Milano, le scelte di Mazzarri e l’apparizione del ministro Sangiuliano, però, devo ancora capirlo.
Tutto questo parlare di calcio
per non parlare di altro
– tutto questo per non guardare
l’essenziale del mondo:
soddisfatti per una sera
se vince – disfatti se perde
la squadra che altra spina è nel profondo
del quotidiano servire.
Applaudiamo, stiamo ai patti,
non cerchiamo di capire!
(giovanni giudici, la vita in versi, 1965)
Sangiuliano è un “grande tifoso” del Napoli, così si è autodefinito. Chissà se ha visto la partita di domenica e se da ministro della cultura ha notato quanto poetico sia questo campionato degli azzurri.
Il tiro, maledizione, ribattuto
sulla linea nell’ultima convulsa
mischia a portiere
nettamente fuori casa, fuori causa, col dito
mignolo, con le spalle, con l’occipite, con
la radice del naso
dall’avversario accorso, guarda caso,
da metà campo – o forse (chi capiva
più niente con quel buio) dal compagno
che va in cerca di gloria
a scapito evidenti degli schemi
non più tardi di ieri ribaditi
nella fantastica pace del ritiro
dal mister quando ancora
tutto, anche vincere, anche
azzeccare questo tiro teso, radente, tra decine
di gambe e lentamente
spalancando la bocca
correre verso il centro, rotolarsi
nell’erba, in lenta muta sfida stendere
le braccia al cielo era possibile…
(giovanni raboni, nel grave sogno, 1982)
Il ministro Sangiuliano è però uomo di prosa, un fecondo biografo. Ha scritto libri su Putin, Hillary Clinton, Trump e Xi Jinping. Il prossimo potrebbe essere su De Laurentiis, che il ministro ha già definito “imprenditore importante” dopo la vittoria dello scudetto, quando cultura e trionfo sportivo erano le parole d’ordine del futuro rilancio di Napoli secondo il governo Meloni. Prima che arrivasse il decreto Caivano. La poesia non sembra essere tra i suoi maggiori interessi. Eppure bisogna affidarsi ai poeti per parlare di questo fallimento. Lo ha fatto anche Chiariello.
«Diceva Manzoni tramite Don Abbondio: il coraggio uno se non ce l’ha, mica se lo può dare. Don Abbondio noi ce l’abbiamo in casa: Walter Mazzarri». (umberto chiariello, editoriale, canale 21)
Chiariello finisce poi per chiedere la testa di Mazzarri, così come aveva chiesto quella di Garcia tempo fa.
«Prendere Mazzarri è stata una sciagura. Ma quando lo mandi via, De Laurentiis? Veramente vuoi finire nono?». (umberto chiariello)
Il sommo Chiariello, vero ministro della cultura del panorama sportivo napoletano, non nota però che quattro compartimenti stagni sono già pieni, l’acqua invade i piani, il naufragio è annunciato. Mazzarri può solo bere whisky per cercare di riscaldarsi il più possibile e rimandare l’ipotermia, sperando che qualche nave in zona passi a prendere i superstiti.
Il campionato, scrisse Arpino in una lettera indirizzata a Soriano, “può essere visto come un poema, sia favoloso sia eroicomico. Meriterebbe l’Ariosto e però anche il Burchiello o qualche assatanato poeta in vena di beffe e di endecasillabi”.
Sospiri azzurri di speranze bianche
mi vengon nella mente e tornan fuori;
seggonsi a pie’ dell’uscio con dolori,
perche’ dentro non son deschetti o panche.
(burchiello, sonetti)
Dovessimo allora trovare una poesia per il campionato del Napoli (era questo il senso di tutto, no?) ci affideremmo al Burchiello, che non a caso mescola bianco e azzurro. Le speranze bianche vengono a mente e poi escono fuori, non trovando posto per sedersi. Sono le speranze dei tifosi del Napoli dopo una vittoria casuale a cui fa seguito una sconfitta come quella di Milano.
Domenico di Giovanni detto il Burchiello deve il suo soprannome al suo sonetto-tipo, “alla burchia”, in cui mischiava giochi di parole volgarissimi a liriche alte, descrizioni di oggetti o animali, senza alcun nesso, a fatti di cronaca.
Nel bar è iniziata una festa di carnevale per bambini. Le animatrici sono vestite da Mario e Luigi, trascinano pesanti sedie di metallo, urlano più dei bambini, la musica è altissima, scoppiano palloncini che mi fanno sobbalzare. Il rumore di cui parlava Bellow mi insegue e ora lo immagino come un fauno con le fattezze del ministro Sangiuliano. Una principessa con la maschera fucsia mi guarda male. (el trinche carlovich)