Guardo Raspadori muoversi nella difesa biancoceleste senza speranza alcuna. Scatta, riceve palla, ne ha sei dietro. Si sposta sulla fascia, serve il terzino, si allontana dal gioco. La telecamera lo inquadra mentre gira gli occhi verso il cielo e dà qualche segno di esaurimento nervoso. Vorrebbe fare il suo lavoro, che è quello del gol, ma non ne ha gli strumenti. Ricorda il Militina de La classe operaia va in paradiso: «Questa non è pazzia, perché un uomo ha il diritto di sapere che cosa fa e a che cosa serve…».
Fraseggio a metà campo, palla in sordina, spalla alla porta, colpo sordo alla rotula e il mediano si infortuna: entro avvolto nella nuvola, mi agito per dettare il passaggio ma nessuno mi accorge, scivolo via verso la porta con il sospetto di essere ignorato e tal tarlo si tramuta in certezza dopo pochi secondi. Non so cosa fare, non becco un pallone, vengo scambiato per foschia, per lacrimogeno di polizia, per esuberanza di tifoseria, soffio per spazzarla via, si ingigantisce come la pazzia, immacolata come la Maria, insostenibile quale l’abulia, grigia e funeggia come l’apatia, vorrei annegarmi dentro una sangria, dimenticare la sfortuna mia che fa di me una mezza anatomia che gioca al calcio. (antonio rezza, 1997)
Mosso a pietà, il telecronista lo elogia dicendo che almeno, impegnandosi, «Raspadori costringe i difensori della Lazio a fare delle scelte». Non è proprio il sogno dei ragazzini che cominciano a giocare a calcio.
Il fine agonistico del gioco è la vittoria e per vincere è necessario goleare più dell’avversario. Impedire di goleare è più agevole, ovviamente, e proprio per questo una squadra sensata si preoccupa prima di attuare il programma più facile, ponendosi come assioma il safety first degli inglesi. (gianni brera, il mestiere del calciatore)
Mazzarri ha fatto una scelta che Raspadori ha subìto: impedire alla Lazio di goleare. La squadra ha scelto di non tirare in porta per eliminare alla radice ogni pericolo di vittoria.
Il Napoli che non tira in porta non ha futuro. (umberto chiariello)
L’unico sussulto i tifosi napoletani lo vivono all’ottantacinquesimo, quando l’arbitro Orsato di Schio si procura un colpo della strega ed è costretto a farsi curare dai medici della Lazio, forse ritenendoli più affidabili dei napoletani. Raspadori invece esce al minuto settantanove per il nuovo acquisto Ngonge. A fine partita ascolta Mazzarri: «Con Raspadori non abbiamo profondità». Vorrebbe rispondere al tecnico, cercherebbe di fargli capire che quella profondità proprio Mazzarri non l’ha voluta e che questo tipo di gioco lo penalizza. Poi però Raspadori ricorda la storia d’amore tra Attila Sallustro, leggendario centravanti del Napoli dei pionieri, e la ballerina Lucy d’Albert, che si esibiva al Teatro Nuovo. La rabbia sbollisce.
Durante il campionato 1928-29, Sallustro, senza Lucy, aveva segnato ventidue goals. L’anno successivo, con Lucy, tredici e nel 1930-31 soltanto dieci. […] I tifosi lo beccavano, la società lo multava, i giornalisti intingevano la penna nel fiele dell’ironia. […] La politica pretendeva che il calcio facesse dimenticare l’eruzione del Vesuvio del 1929 e il terremoto del luglio 1930. Troppo, per un giovane di quella pasta. Sallustro e Lucy d’Albert, alla fine si sposarono. Lui smise di giocare a ventotto anni: che lo facesse qualche altro, l’eroe. (roberto ciuni, il pallone di napoli)
Sallustro diventò poi custode dello stadio San Paolo. Al Militina Raspadori auguriamo questo: una vita da copertina, serata al varietà e notte libera, un amore che gli faccia dimenticare tutto, anche come si tira in porta – tanto al Napoli non serve più – e un futuro da custode del prossimo impianto del Napoli (probabilmente a Succivo). (el trinche carlovich)