Keep racism out, ripete lo spot prima del secondo tempo tra Inter e Napoli. In un montaggio rapido atleti e atlete, professionisti della tv e commentatori sportivi si alternano mostrando il messaggio sulla maglia. Keep racism out.
Zero a quelli che sono così coglioni che pensano che il colore della pelle possa essere qualificare la persona che sei. Acerbi crede di insultare Juan Jesus chiamandolo “negro”, senza comprendere che sta offendendo la sua, a questo punto presunta, intelligenza. E non ce ne facciamo nulla delle scuse, nemmeno di quell’altro scienziato di Dimarco che dice: “Si sono chiariti, che problema c’è?”. Il problema è non capire, non comprendere, non riconoscere la propria inadeguatezza a vivere in una società che non può e non deve più tollerare certi comportamenti, figli di squallide ideologie e triviali abitudini. Acerbi andrebbe squalificato, per un anno. Dal calcio, dalla società civile. Messo in punizione a riflettere, sul suo cervello. Acerbo, pure quello. (arturo minervini, tuttonapoli)
Possiamo tenere il razzismo fuori, per cortesia?
Nel post partita di Inter-Napoli negli studi della Domenica Sportiva su Rai 2 si commenta quanto accaduto in campo tra Acerbi e Juan Jesus. Secondo quanto ricostruito attraverso le immagini del campo, il difensore del Napoli si è lamentato con il direttore di gara La Penna per degli insulti razzisti ricevuti in campo da Acerbi. Le parole che ha riferito sono: “Mi ha detto negro”. A fine gara è stato lo stesso Juan Jesus a stemperare ai microfoni di Dazn spiegando che tutto quello che accade in campo finisce con la partita e che Acerbi, pur avendo esagerato, aveva chiesto scusa. (il napolista)
Scusate, forse non avete letto bene il messaggio sulla maglietta.
Calcagno, presidente Aic: “Contro Juan Jesus episodio da condannare, ma Acerbi si è scusato” (gazzetta dello sport)
Si è scusato, appunto, ha detto la n-word, chi non l’ha mai detta, suvvia. Non fate di Acerbi un Vannacci, vi prego. L’ha detta, si è scusato. Ora, vogliamo tenere il razzismo fuori o no?
Barendson: “I negri e il Napoli. Il primo è importato nel 1947 (l’anno in cui esce la canzone Tammurriata nera) insieme a un altro carico di sud americani. Si chiama La Paz, è uruguaiano. Gioca centravanti, con estrema lentezza e raffinato palleggio. Nelle trasferte al Nord usa i guanti contro il freddo. Il secondo è Canè, ultimo e pittoresco acquisto di Lauro nel 1963, un brasiliano simpatico che si integrerà totalmente sposando una ragazza napoletana. Mi pare che si possa parlare senz’altro di un antirazzismo espresso attraverso lo sport, non trovi?”.
Ghirelli: “Mi pare di aver letto che ‘don’ Roberto La Paz vive, esercitando un umile mestiere, nel sud della Francia. […] Certo, l’idea stessa di razzismo è estranea alla nostra mentalità perché è contraddetta da tutta la nostra storia”. (ghirelli e barendson, intervista sul calcio napoli)
Ben detto, Ghirelli. Non ci appartengono proprio certe polemiche, inoltre si è scusato, che cosa dobbiamo ancora chiedere al povero Acerbi? Ma poi proprio noi napoletani, così autoironici, proprio noi che ai cori (sfottò) rispondevamo con “Vesuvio erutta, tutta Napoli è distrutta”. Non ci appartengono proprio queste cose, keep racism out.
Un mediatore brasiliano, José De Gama, manda a Lauro un pacco di fotografie di giocatori disposti a trasferirsi da Rio in Italia a buon prezzo. Lauro se le passa una dopo l’altra davanti agli occhi, si ferma su quella di Faustinho Jarbas, detto Cané, dell’Olaria. “Pigliate a chisto, è ‘o cchiù niro…”. (roberto ciuni, il pallone di napoli)
“Prendo questo che è il più nero e brutto e farà così paura agli avversari che riuscirà ad andare in rete come e quando vuole”. (la stessa frase di lauro riportata da athos zontini, medico sociale del napoli, storia del napoli, 1964)
Nell’estate del 1947 siamo alle follie. Sarà perché a Napoli gira tanta miseria ma girano anche tanti soldi. Pasquale Russo imbottisce di svalutatissime lire italiane Sansone ed Andreolo e li spedisce ingenuamente in Uruguay – dove i due vanno soprattutto per rivedere amici e parenti, e cercare talenti da ingaggiare. Tornano a settembre, a campionato iniziato con delle sconfitte, portando in offerta un grappolo di giocatori: Roberto la Paz, centravanti del Sudamerica di Montevideo […]. La Paz era il primo calciatore di colore che indossava una maglia italiana. Un’idea, dare ai napoletani della Domenica Sportiva, dopo tanta confidenza e, diciamo, tante simpatie nate tra loro e i coloured americani in divisa d’occupatori, un “negro” da vedere in campo. (roberto ciuni, il pallone di napoli)
Possiamo, per cortesia, cambiare argomento? Tutto sommato torniamo da Milano con un buon punto, Juan Jesus si è vendicato dell’offesa segnando il gol del pareggio. Ora un messaggio distensivo e inclusivo da uno dei maestri del giornalismo sportivo, e amici come prima.
Il calciatore, celebre e no, è come tutti figlio di mamma. Non è nato calciatore, è nato uomo; e come tale venendo al mondo, non era molto più d’un grinzoso e violaceo ranocchietto pieno di fame e di cruccio. Un solo calciatore, che io mi sappia, è stato subito giudicato bom de bola dal padre, che pure viveva pedatando: il negro brasiliano Pelè. Quel padre era un poveraccio cui non aveva arriso la fortuna: nel suo mondo non c’erano che una moglie negra e un pallone. […] Non dunque il negro brasiliano deve costituire un paradigma per i nostri ragazzi aspiranti alla gloria calcistica, bensì Di Stefano, la cui famiglia era originaria di Capri ma si è via via imbiondita per successivi incroci con baschi e irlandesi. (gianni brera, il mestiere del calciatore, 1972)
Una cosa avevo chiesto: keep racism out. (el trinche carlovich)
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