Il biglietto volevo farlo. Lo giuro. Qualcuno mi aveva detto che il prezzo era sei euro, qualcun altro due. Ma quando arrivo la biglietteria è chiusa per i lavori, e anche quando oltrepasso l’arco in pietra che accoglie i visitatori dello zoo nessuno si decide a chiedermi niente. La prendo per buona e procedo. È da poco passata l’una, e dal terzo piano dell’impalcatura gli operai della SolEdil lavorano alacremente, sbuffando di tanto in tanto, più per il sole che gli batte sulle teste libere dai caschi di protezione che per la fatica.
Ci sono anni, come quello che si appresta a finire, in cui l’inverno presenta al suo congedo un conto fatto di mesi di pioggia, freddo e venti dei più remoti angoli del mondo. La luce di questa giornata novembrina, invece, sembra annunciare una rinascita, e l’occasione è propizia per visitare il parco zoologico partenopeo, di recente acquistato dall’imprenditore Floro Flores. Il primo passo, dopo l’acquisizione – da ritenersi, secondo il sito internet, ufficializzata al 2 ottobre – è stato l’inizio dei lavori. Quelli più in vista riguardano l’ingresso della struttura, un’area protetta da vincoli architettonici, anche se dalla Sovrintendenza comunicano di non aver ricevuto alcun progetto e di non aver dato nessun parere positivo a riguardo. Poco lontano, un anziano signore manovra un Bobcat con la stessa indolenza con cui l’elefante, il cui recinto è distante qualche metro, si cosparge il capo di terreno per tenere lontane le mosche.
Gli animali, forse ri-motivati dal cambio di proprietà, sembrano essere in condizioni migliori rispetto agli ultimi anni. Il leone africano si annoia al sole, le tigri camminano pimpanti nelle loro gabbie, tracciando tutte lo stesso percorso, e fermandosi ogni tre o quattro giri a guardare l’unico visitatore avvicinatosi tra la quindicina di presenti nel parco. La passeggiata offre uno scenario non diverso da quello degli zoo di tutto il mondo (lavori in corso a parte): una gru coronata, che diversamente dal collega Bobcat non scava un bel niente; un asinello che fa capolino dalla struttura in mattoni; due cammelli ricoperti dalle mosche, un paio di pavoni che si pavoneggiano, uno struzzo dell’Asia minore che l’Asia minore non la vedrà più (ammesso che mai l’abbia vista) nemmeno in cartolina. Messe peggio sono le cicogne, che devono spartirsi l’acqua depositata in una mini-vasca al centro del recinto sei metri per sei. Due orsi, rintanati all’ombra, meditano un tentativo di evasione osservando il fossato che li separa dalla libertà. Anche per loro, la Siberia è troppo lontana e sono costretti a rivedere i propri piani.
Meno di un anno fa, il sindaco de Magistris, durante un incontro con comitati e associazioni ambientaliste, aveva definito i bioparchi come «degli zoo mascherati» e si era espresso favorevolmente al loro superamento. Il progetto presentato dal Laboratorio partecipativo Zoo-Edenlandia (una rete di gruppi e cittadini interessati alla questione) prevedeva la destinazione dell’area a grande parco verde, pubblico, come ce ne sono in tutte le grandi città europee. Amministrazione comunale e curatela fallimentare, però, non hanno mai realmente preso in considerazione la proposta, procedendo sulla strada di un bando di gara andato poi (considerando lo scarso appeal imprenditoriale) prevedibilmente deserto. Oggi, il progetto di Floro Flores – che dopo varie peripezie ha raggiunto un accordo privato con giudice fallimentare e Mostra d’Oltremare (proprietaria dei suoli) – esplicita la volontà di trasformare lo zoo in un “bioparco dal respiro europeo”, che ospiti presto, in aggiunta a quelli già presenti, tanti altri animali.
L’accordo che ha concesso all’imprenditore la possibilità di rilevare lo zoo, però, presenta alcuni punti oscuri, oltre ad altri che palesano come l’offerta presentata sia clamorosamente bassa. Il bando di gara, le cui cifre venivano stabilite dalla curatela, e di conseguenza sono da considerarsi frutto di una mediazione tra le esigenze fallimentari e il prezzo di mercato, fissava il valore del lotto unico (Edenlandia/Zoo/ex-Cinodromo) a quattro milioni e settecentomila euro. Oggi, Floro Flores si porta a casa il ramo d’azienda “Zoo di Napoli” pagandolo solo diecimila euro. L’altra questione riguarda il canone d’affitto che l’imprenditore dovrà versare alla Mostra d’Oltremare. Lo scorso gennaio (più o meno in concomitanza con l’offerta dell’imprenditore Villa), il consiglio di amministrazione della Mostra autorizzava il presidente alla modifica del contratto, fissando la cifra necessaria per lo Zoo a cinquantamila euro. Nemmeno quest’incombenza, a quanto trapela, dovrà accollarsi Floro Flores, dal momento che l’affitto dell’area sarebbe stato concesso gratuitamente per i prossimi trent’anni. Difficile è tuttavia avere una conferma a riguardo, in quanto la Mostra d’Oltremare si rifiuta di rendere pubblico l’accordo stipulato con Floro Flores, nonostante la notevole “rilevanza sociale” della questione. Anche le richieste di alcuni consiglieri comunali di visionare il contratto sono rimaste per ora inevase.
L’impressione, insomma, è che lo spazio sia stato svenduto al primo imprenditore disponibile, ancora di più dopo l’opinabile accordo, poi saltato, con l’imprenditore Villa. L’offerta di Floro Flores, infatti, è ancora meno allettante rispetto a quella presentata mesi fa dalla cordata guidata dall’imprenditore italo-svizzero, e anzi è evidente che l’ingegnere (che del gruppo di imprenditori faceva parte), trascorsi diversi mesi, abbia potuto far leva proprio su quell’offerta, accettata a suo tempo dal giudice, per presentarne una ancora inferiore.
Una svendita di tal genere rischia di diventare destino comune per molti macro-spazi della zona occidentale. Il primo è lo stadio San Paolo, per il quale ogni tre mesi il presidente del Napoli torna alla carica con l’arroganza che lo contraddistingue, ma senza presentare un progetto concreto, e soprattutto guardandosi bene dal pagare i debiti che ha con l’amministrazione. La stessa amministrazione comunale su questa questione dimostra di avere una linea poco chiara, e rischia da un giorno all’altro di capitolare sotto le minacce di De Laurentiis, interessato anche all’acquisto della Mostra d’Oltremare. La seconda questione è quella che riguarda l’ex base Nato ed ex collegio Ciano, che i cittadini bagnolesi vorrebbero concessa alle associazioni per fini sociali, così come previsto nelle sue origini. È notizia di questi giorni la firma da parte di amministrazione comunale e Fondazione BancoNapoli di un protocollo d’intesa che concede l’utilizzo al Comune della metà dei terreni (l’altra metà riguarda una trattativa con la Regione, che vorrebbe trasferirvi i suoi uffici). L’accordo, però, parla anche di messa a reddito degli spazi, cosa che potrebbe preludere alla concessione degli impianti sportivi (una delle fette più gustose della torta) ai privati. Non meno delicato è il destino di Edenlandia ed ex-Cinodromo, che dopo essere stati scorporati dal pacchetto che li vedeva oggetto di trattative assieme allo Zoo, come quest’ultimo rischiano di essere “regalati” al primo che passa, per mancanza di alternative.
Il Laboratorio Partecipativo, mercoledì alle 16.00, ha organizzato un dibattito pubblico nella sala del consiglio comunale di via Verdi per discutere degli ultimi sviluppi della questione Zoo-Edenlandia. Nel frattempo, varie istanze provenienti da diverse associazioni sono state inoltrate alla Sovrintendenza per segnalare l’inizio dei lavori in zone sotto tutela del giardino zoologico. Nonostante la poca attenzione da parte della quasi totalità di stampa e politica, che si affaccia sulla questione sempre con superficialità e solo per mostrare una generica soddisfazione su presunti “rilanci dell’area”, sui quartieri di Fuorigrotta e Bagnoli si continua a giocare una partita fondamentale per la città. Una partita che rischia di dar vita, entro una decina d’anni, a una vera e propria città nella città, in cui l’unica cosa di cui sarà possibile usufruire senza pagare un biglietto sarà l’aria che respiriamo. E magari neanche quella. (riccardo rosa)