Nel 2009 l’argentino German Doin ha iniziato a indagare su metodi di apprendimento alternativi e su esperienze educative nuove. Pensava di produrre un corto per Youtube ma ha finito per imbarcarsi in un lungo e denso percorso. La picconata di Doin aveva aperto una voragine, novanta educatori di otto nazioni diverse si sono prestati a raccontare la loro storia e il corto oggi è diventato un film di più di due ore, in cui si attraversano circa cinquanta metodi educativi non tradizionali. Il documentario, dal titolo L’educacion prohibida, è scaricabile gratuitamente dal web, e da quando è online (circa tre mesi) è stato visto da quasi cinque milioni di persone.
La storia di questo lavoro è l’evidenza palese di una crescente insoddisfazione verso l’istituzione scolastica imposta dagli stati e la volontà sempre più diffusa di cercare e sperimentare nuove forme. In Italia i modelli alternativi all’educazione di stato più noti sono senza dubbio il metodo Montessori e la scuola steineriana, ma negli ultimi si stanno facendo largo anche altre esperienze, come per esempio l’educazione libertaria; alla base di questo sistema, già diffuso in molti altri paesi europei, c’è il rispetto totale delle volontà e dell’autonomia degli studenti, a cui è lasciata la libertà di decidere cosa e quando studiare. Non solo, l’educazione libertaria non prevede voti nè libri di testo, e nelle scelte della scuola, deliberate in assemblea, gli studenti hanno lo stesso peso decisionale degli educatori.
«Qualcuno potrebbe confondere la scuola libertaria con il caos completo – spiega Giada Tognazzi, referente per il Lazio della Rete italiana per l’educazione libertaria – ma in realtà non è così e le esperienze già avviate testimoniano il contrario». Il gruppo laziale della rete lo scorso anno è stato in visita alla Sands School, una scuola libertaria inglese attiva da oltre venti anni, ed è rimasto stupito delle capacità organizzative dei ragazzi, dal loro livello di autostima e dalla loro facilità nell’esporre idee, proposte e problemi in assemblea o in situazioni pubbliche.
Uno dei massimi esperti di educazione libertaria in Italia è Francesco Codello, autore di diversi libri sulla materia. Codello è anche un dirigente di un istituto scolastico di Treviso, ma è fermamente convinto che i principi dell’educazione libertaria non possano trovare spazio all’interno della scuola di Stato. La situazione della scuola intesa come “sistema di istruzione”, spiega, è arrivata ad un punto fallimentare, in Italia ma non solo, e l’unico modo per riformarla sta nel ripartire da capo. «L’errore che è stato fatto dai pedagoghi italiani, anche da quelli più progressiti, è stato quello di sottovalutare il discorso della decisionalità. Molto è stato fatto a livello di tecniche e metodologie didattiche – ha dichiarato Codello – ma poco e niente è stato fatto a livello strutturale di gestione della scuola. Bisogna riformare l’educazione partendo dal presupposto che al centro c’è l’esigenza di chi apprende, alla quale devono essere assoggettate le esigenze di chi insegna».
Tentare di cambiare le cose dall’interno è impossibile? Non c’è più spazio per esperienze radicali come quelle di Mario Lodi, Danilo Dolci, Paulo Freire, o tutti quegli educatori che si sono battuti per una educazione democratica e per il popolo? «La scuola è fatta di persone – risponde Codello – e se queste persone hanno la volontà e la tenacia di pensare che la loro azione debba basarsi sul rispetto autentico del bambino, certamente nelle classi si respirerà aria di libertà e democrazia, ma si tratterà solo di piccole esperienze. Sono sicuro che l’educazione libertaria non possa tradursi in un’istituzione statale, questo però non significa che non possa inserirsi in una realtà pubblica, se per pubblico si intende aperto a tutti e aconfessionale. La nostra tradizione pedagogica ha fatto sempre questa equazione: stato uguale pubblico, tutto ciò che non faceva parte dello stato è sempre stato considerato privato. Io per scuola pubblica invece non intendo un’isitituzione gestita dalle gerarchie dello stato, bensì dalla partecipazione diretta della comunità educante, dal bambino più piccolo all’adulto più vecchio».
Rimanere fuori dalle gerarchie dello Stato significa anche rinunciare a un possibile finanziamento pubblico? «Purtroppo si – risponde Codello – queste piccole esperienze che si stanno muovendo non possono accedere a nessun tipo di contributo e quindi inevitabilmente si sostengono da sole, tenacemente e con fatica, pur di potere dare ai propri figli la possibilità di vivere un ambiente educativo diverso da quello che viene veicolato attraverso una burocratica scuola statale». Una grande criticità, che mina anche il concetto di “scuola aperta tutti”, alla base della teoria libertaria.
Nel 1970 il filosofo Ivan Illich, nel suo saggio “Descolarizzare la società”, scriveva che la soluzione non risiedeva nel disistituzionalizzare la scuola, ma nel descolarizzare la cultura. “Abbiamo cercato per generazioni di migliorare il mondo fornendo una quantità sempre maggiore di scolarizzazione, ma finora lo sforzo non è andato a buon fine. Abbiamo invece scoperto che obbligare tutti i bambini ad arrampicarsi per una scala scolastica senza fine non serve a promuovere l’uguaglianza ma favorisce fatalmente colui che parte per primo, in migliori condizioni di salute e più preparato; che l’istruzione forzosa spegne nella maggioranza delle persone la voglia di imparare per proprio conto; e che il sapere trattato come merce, elargito in confezioni e considerato come proprietà privata, una volta acquisito, non può che essere sempre scarso”. (marzia coronati)
A questo tema è dedicata l’ultima puntata di Terranave, la trasmissione radiofonica di Amisnet.
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