È di qualche giorno fa la notizia diffusa dal quotidiano La Repubblica in edizione nazionale che Acerra, la città dell’inceneritore e uno dei vertici del “triangolo della morte”, ha dato una “lezione” all’Italia in tema di raccolta differenziata, passando dal dieci al sessantadue per cento di materiale riciclato nel giro di un anno. L’occasione per quest’articolo celebrativo è stata fornita dal premio che il CONAI, il consorzio nazionale per il recupero degli imballaggi, ha indirizzato all’amministrazione acerrana per aver raggiunto in così poco tempo gli obbiettivi nazionali di raccolta differenziata fissati per il 2012, con un porta a porta spinto e l’eliminazione dei cassonetti stradali. Bravi acerrani, vi meritate una pacca sulla spalla e l’ammirazione di un giorno, viene da pensare leggendo l’articolo del quotidiano più diffuso in Italia. Qualche giorno dopo, ecco che su Il Venerdì di Repubblica un altro articolo, stavolta traboccante di vis comica, ritorna ad Acerra per riassumere sommariamente la turbolenta campagna elettorale dei mesi passati, ricavandone infine che, per il giornalista, è impossibile capire qualcosa di ciò che è accaduto, tra eserciti di candidati, minacce velate e dirette, pregiudicati in lista e improbabili comitati civici di supporto. Acerra si staglia in questo pezzo canzonatorio più che come la città di Pulcinella, come una città di pulcinella impegnati nella guerra di tutti contro tutti. Lo sguardo è aereo, l’approccio con i locali come da cronachista di strani indigeni, il contesto reso folklorico. Spiegazioni nulle, lavoro d’inchiesta zero, ammiccamenti a palate. Questa è l’informazione che non ci meritiamo.
Perché? Vediamo. Nel caso dell’articolo sulle virtù degli acerrani in materia di raccolta differenziata prevale un ottimismo ingenuo che elude la disamina delle ragioni storiche di tale successo. La riuscita del progetto di assicurare anche ad Acerra una raccolta differenziata degna di questo nome, vengono fatte risalire dal giornalista di Repubblica al ruolo svolto dagli amministratori, che fanno bene il loro lavoro e che hanno saputo istruire i cittadini. Quel che di certo è vero, cioè il fatto che finalmente il Comune abbia approntato gli strumenti, gli impianti e gli accordi con le aziende necessari alla riuscita della raccolta differenziata, non spiega però l’immediata risposta positiva degli acerrani, le cui abitudini sul modo di trattare i propri rifiuti si sono adattate in poco tempo al nuovo regime. Se risaliamo solo a pochi anni fa, agli anni della lotta contro l’inceneritore, quando un movimento di massa e trasversale attraversò tutta la città opponendosi al piano rifiuti regionale basato su discariche e inceneritori, scopriamo che i comitati di lotta si assunsero anche il compito precipuo di premere le istituzioni per richiedere l’organizzazione della raccolta differenziata a livello regionale, e informarono senza risparmio la popolazione sulle modalità di riduzione e riciclaggio dei rifiuti. In quel periodo, gli articoli di Repubblica preferivano dilungarsi sulle presunte infiltrazioni della camorra nel movimento locale, ventilando l’ipotesi che sessantamila cittadini agguerriti fossero stati tutti cooptati da qualche boss intento a guadagnare sull’emergenza. Altro tema favorito era l’enunciazione per bocca di sedicenti esperti, non priva di sbigottimento, di una qualche tara di civiltà che doveva per forza di cose condurre gli acerrani a rifiutare un “impianto moderno, che porterà benessere e risorse”, com’era additato l’inceneritore di rifiuti più grande d’Europa.
Per chi vive ad Acerra, è intuitivo riconoscere nella precisione e determinazione con cui gli abitanti si sono convertiti dal cassonetto ai bidoni della differenziata (dopo anni di false partenze, imbrogli e mancanze delle varie amministrazioni qui succedutesi) il risultato della partecipazione a movimenti di pensiero e d’azione che hanno messo al centro i temi ambientali in città. Nel periodo in cui chiunque per strada poteva essere fermato e interrogato sulle modalità di riciclaggio dei rifiuti, lo stato preferiva invece mandare plotoni di polizia a presidiare il cantiere di un impianto localizzato nel mezzo di un terreno agricolo, su un territorio già devastato dall’inquinamento. E l’indifferenziato si accumulava in montagne sempre più alte. La sola raccolta differenziata che si è vista in città dal 1999, anno in cui il piano regionale dei rifiuti fu affidato ad Impregilo, al 2009, anno dell’inaugurazione dell’inceneritore, è stata quella allestita da un comitato di cittadini, a cui un’amministrazione locale in stato comatoso fu costretta a fornire supporto dato il successo dell’iniziativa. La coscienza ambientale che ora viene elogiata dalle colonne di Repubblica è stata forgiata nella lotta, nell’impegno e nello studio cui la crisi rifiuti ha condotto le popolazioni, negli anni recenti di sospensione dei diritti civili, di commissariati drena-risorse e di leggi speciali. Gli acerrani attendevano un segno delle istituzioni, erano già pronti, ed è stato sufficiente far funzionare la macchina amministrativa normalmente, quel tanto che basta per fissare orari di conferimento e luoghi di ricezione delle frazioni di rifiuti, per vedere accadere il miracolo. Bisogna fargli i complimenti a questi amministratori, con dieci anni di ritardo.
Ma quel che oggi, in questo preciso momento, interessa agli acerrani, e con loro a tutti gli abitanti delle province di Napoli e Caserta, non sono le percentuali della raccolta differenziata. In questo torrido luglio, dalle campagne intorno ai paesi si innalzano più di prima fumi nerissimi gonfi e appiccicosi, densi, al sapore di plastica e ammoniaca, che restano sospesi in una cappa che pesa come una lapide sulle valli alle pendici del Vesuvio. Sono i roghi illegali, una presenza abituale sin dall’infanzia dei più giovani abitanti di questa terra. Le modalità degli assassini che appiccano il fuoco ad ammassi di rifiuti sono le stesse da sempre. Di notte o di giorno, si passa da strade poderali poco frequentate, dove anche i contadini sono spariti, si sceglie una radura, spesso la stessa dello scarico precedente, si abbandona all’aria aperta, s’infiamma. Una sistematicità che lascia perplessi per la certezza di impunità che accompagna le fasi dei roghi. Le campagne come terra di nessuno, nonostante anni di denunce di comitati e privati cittadini che stanno pensando di organizzare ronde autonome, vista la totale assenza di vigilanza da parte delle istituzioni.
Chi parla di questo lento stillicidio? Non Repubblica, ma un quotidiano dell’orbita cattolica, Avvenire, che da qualche settimana dedica approfonditi reportage sui roghi di rifiuti e sui collegamenti tra inquinamento e salute. Forse perché in prima linea nella denuncia dei crimini ambientali ci sono preti di parrocchie periferiche che hanno preso per vero l’impegno cristiano di stare dalla parte degli ultimi, e che inondano di lettere le redazioni dei quotidiani, o forse perché è stato superato ogni limite di decenza nell’ignorare la nostra lenta agonia. Tra i più attivi nel denunciare c’è don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano, che tra omelie, video su internet, lettere ai prefetti, alle cariche ecclesiastiche, ai giornali, non sa più come spendersi per far sentire la propria voce, intimamente certo che le cose cambierebbero se l’Italia sapesse la morte che accompagna ogni giorno i suoi fedeli sotto forma di fumi venefici. Non sappiamo se qualcosa ora inizierà a muoversi. Il ministro Clini annuncia task force, controlli serrati, presidi nelle campagne. Partono interrogazioni parlamentari, i tg della sera mandano fuochi in diretta, gli attivisti ritornano a guidare giornalisti nei roghi-tour. Di certo l’attenzione non deve calare. E se quest’argomento comincerà a far vendere giornali forse anche La Repubblica ci manderà un inviato per il prossimo pezzo ammiccante, ma questa volta sarà più pulp. (salvatore de rosa)