Alla Sanità, ogni mercoledì, c’è la tempesta. A via Santa Maria Antesaecula, non lontano dai Cristallini. La tempesta sì, quella di Shakespeare, al centro diurno di salute mentale. Recitano i pazienti, i medici e gli operatori sociali, quelli che a Napoli fanno il possibile e l’impossibile con pochi fondi. Li aiuta una regista napoletana, Antonella Monetti. Mentre lavora con loro sorride sempre.
La compagnia ha cominciato il laboratorio teatrale a febbraio, e continuerà le prove fino a giugno, quando ci sarà la rappresentazione. Oggi c’è il quinto incontro, ma il gruppo fa passi da gigante, ogni mercoledì pomeriggio si vedono nella sala sotterranea del centro. Antonella Monetti è originaria proprio della Sanità, e quando ha parlato per la prima volta con Nicola Ponsillo, uno degli psichiatri del centro, non c’è voluto molto per prendere la decisione: «Ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti che si poteva fare. In tre, quattro giorni al massimo ci siamo organizzati, ma mai ci aspettavamo che venissero quaranta persone a ogni incontro». A Nicola piacciono Jimi Hendrix e Guccini, e gli piace anche il teatro. Nel centro si fanno attività da anni, a cominciare dalla squadra di pallone, hanno costruito persino una barca. Questa volta, con Antonella, si va sul palcoscenico: «La terapia farmacologica non è sufficiente per chi frequenta il centro, non basta il rapporto medico-paziente, anzi, abbiamo bisogno come il pane di iniziative come queste. Tanto più se a titolo volontario, in un momento in cui lo stato sociale in questa città è completamente allo sfascio».
Antonella, dal canto suo, era da un po’ che voleva fare qualcosa per il quartiere, e l’occasione è arrivata. «Anche il testo, “La tempesta”, non l’abbiamo scelto a caso. Pure io sono naufragata qui all’improvviso, e da queste sale, dal palcoscenico, vogliamo ristabilire insieme la “giustizia”, proprio come nell’opera, che ovviamente stiamo adattando alle nostre esigenze, rendendola più vicina a noi».
Quando arrivo al centro, per partecipare all’ incontro, mi rifugio nella sala, scappando da freddo e pioggia poco partenopei. Una specie di labirinto mi porta fin dentro il sotterraneo, illuminato al neon. I partecipanti sono in cerchio, provano a ripercorrere la trama, per memorizzarla e farla propria, ovviamente con i dovuti arrangiamenti: «Dopo aver perso il potere, Prospero si dedica agli studi e alla magia», suggerisce qualcuno, passando letteralmente la palla al prossimo che dovrà continuare. È un continuo alternarsi di voci timide o euforiche, tra chi muore dalla voglia di parlare e chi spera che quella palla non arrivi mai dalle sue parti. «Dopo il naufragio Prospero e sua figlia arrivano sull’isola di Atur». Atur, per esempio, è il nome scelto per l’isola che ospiterà il duca di Miano (qualcuno evidentemente ha suggerito di spostare l’azione da Milano, troppo freddo e inospitale capoluogo lombardo, verso il nord di Napoli). Il suggerimento per quanto riguarda il nome dell’isola, arriva da un ragazzo straniero, tra i più silenziosi del gruppo, che sta sulle sue ma poi propone di prestare la sua identità al copione. Sembra cingalese, o di qualche altro paese lontano, ma questo non conta. Qui nulla ha più importanza degli attori e della recitazione.
Antonella ha già fatto altre esperienze di laboratorio, come quella che ha portato alla formazione de “I liberanti”, la compagnia creata con la regista napoletana Alessandra Cutolo, nel carcere di Lauro. «Lavorare così è ancora più bello: gli attori-non attori giocano la loro forza sull’emozione, piuttosto che sulla ripetizione. Potrebbero essere capaci di una grande prova durante la prima, e di restare muti e imbarazzati ventiquattr’ore dopo. Questa cosa se ci pensi li caratterizza , ed è uno stimolo nel lavorare con loro, perché dà una totale unicità allo spettacolo».
Una delle cose più interessanti è che entrando nella sala durante il laboratorio, non si capisce – tra la quarantina di persone che si affollano, parlano, camminano, si abbracciano – quali siano i medici, i pazienti, gli operatori sociali e se ci siano altri attori che aiutano Antonella. Si muovono tutti insieme: Titta, Susy, Nicola, e Mauro, che abita proprio alla Sanità, ma ha un forte accento romano. Il momento del teatro-immagine, alla fine della prova, permette ai neo attori di interagire tra loro attraverso i corpi. Parlare è proibito, saranno le braccia, le gambe, le facce a farlo, ognuno deve creare una scena disponendo come meglio ritiene opportuno i personaggi. Prospero che viene portato via dalla città, trascinando con sé Miranda, impaurita e con la bocca aperta, mentre una guardia dietro gli rifila un calcione nel sedere, è da oscar.
Al termine delle due ore, intense e faticose per tutti, ci si ferma a chiacchierare ancora un po’, ci si abbraccia e ci si dà appuntamento alla prossima. Il lavoro da fare è tantissimo, anche se il tempo sembra essere dalla parte della compagnia. Cinque mesi sono tanti, e la cosa funziona. Oggi pomeriggio dovrebbe comparire Calibano, staremo a vedere. (riccardo rosa)
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