Dopo diciotto anni di attività chiude in questi giorni Amisnet – Agenzia multimediale di informazione sociale. Il lavoro della redazione e dei collaboratori proseguirà sulla strada tracciata dal progetto Una radio in valigia, nato due anni fa con l’intento di organizzare uno studio radiofonico itinerante da portare in luoghi insoliti e trascurati, dal ghetto di Rignano Garganico ai banchi delle scuole di periferia. Sulla strada tracciata in questi anni dal lavoro dell’agenzia nasce oggi Echis, un’associazione che continuerà a lavorare per creare spazi di informazione e confronto, anche se con tempi e modalità diverse, mettendo da parte la produzione quotidiana. Pubblichiamo a seguire un articolo che ripercorre la storia degli ultimi dodici anni di Amisnet.
16 Agosto 2005. Me ne andavo a distribuire curricula in una Roma squagliata dal sole. Con un foglietto spiegazzato di appunti, uno stradario e un motorino senza parabrezza. Una laurea nuova nuova in Scienze politiche, spuntata con il minimo sforzo e il minimo dei voti, due lunghi soggiorni all’estero, una grande confusione in testa e un desiderio senza controllo di mettermi alla prova, di uscire, di sconfinare senza oltrepassare il margine del Grande Raccordo Anulare.
C’era un’agenzia di informazione specializzata nei sud del mondo. La redazione aveva sede a Roma nord, zona Trieste. La strategia era quella del citofono. Nessun preavviso al telefono, nessuna e-mail, solo l’ingenuità, la presunzione di una neolaureata di ventitre anni, con uno di Erasmus a Lisbona alle spalle, la gonna da figlia dei fiori e un portoghese stentato da giocare. Ovviamente, come era accaduto nei giorni precedenti, nessuna risposta. Ricordo ancora il miagolio di due gatti e il ronzio del citofono malandato. Ritrovai i miei appunti spiegazzati. Tra l’elenco delle redazioni da spuntare una scritta incerta seguita da un punto interrogativo: “AMISnet?” E poi un indirizzo a pochi chilometri da dove mi trovavo. Arrivo a piazza Addis Abbeba dubbiosa, non mi era molto chiaro cosa faceva questa agenzia, pur avendo letto il significato dell’acronimo – Agenzia Multimediale di Informazione Sociale.
Oggi, a distanza di dodici anni, ripenso a quei giorni e capisco il perché di quel punto interrogativo. AMISnet è stato sempre un progetto all’avanguardia, proiettato in avanti, impossibile da capire fino in fondo sino a che non ci si cala dentro. È stata una fucina di prodotti radiofonici, servizi, interviste, audio documentari confezionati e diffusi a più di venti radio in tutta Italia. Era un’agenzia di podcast quando la parola podcast ancora non esisteva, con una diffusione gratuita e libera, senza costi per le radio e per chi ascoltava online. Ma accoglieva anche un duro e forsennato lavoro di ricerca fondi, che da un lato garantiva il lavoro dei redattori e dall’altro alimentava percorsi di cooperazione e di sostegno alla libertà di comunicazione e informazione in tutto il mondo, dai paesi sotto dittature agli stati devastati da conflitti o disastri ambientali. Un progetto kamikaze, che non è mai saltato per aria.
Quel 16 agosto nella redazione al quartiere africano, la prima sede di AMISnet, Monica, una delle redattrici di allora, cercava la sua borsetta scomparsa qualche giorno addietro. La redazione era chiusa per ferie come tutte le altre, ma Monica mi accoglieva con un sorriso e mi proponeva di tornare a settembre, per un breve periodo di tirocinio.
Del primo periodo ad AMISnet ricordo la massima disponibilità a insegnarmi, la fiducia sconsiderata nelle mie capacità, la trasparenza, la condivisione, il coinvolgimento. Ho imparato nel giro di poche settimane a registrare in studio, a fare brevi montaggi, a scrivere articoli per il sito. Ricordo che mi lanciai in un’intervista telefonica con una ambientalista brasiliana millantando un fluido portoghese, ma che in verità non capii una sola parola di quello che mi rispose, ricordo un’intervista sull’Iran e il nucleare in cui non riuscivo mai a pronunciare il nome di Ahmadinejad, ricordo che sin dalla prima riunione redazionale sono stata coinvolta al pari di chi era lì da molto più tempo di me.
Un giorno in riunione ho raccontato di un palazzo, un enorme e mostruoso stabile nella periferia ovest di Roma occupato da centinaia di famiglie in attesa di una casa popolare. La redazione mi spinse a indagare, a scriverne, a registrare. Nel giro di pochi mesi ho realizzato con un altro redattore, Andrea, un lavoro radiofonico che ha ricevuto un riconoscimento da uno dei premi più prestigiosi per l’audio in Italia. Lentamente la mia presenza in sede si è intensificata e sono iniziate ad arrivare anche le prime retribuzioni. Nel 2007 sono andata con Francesco e Lorenzo al Forum Sociale Mondiale di Nairobi, da dove abbiamo realizzato un programma settimanale diffuso da decine di emittenti. E poi ancora trasferte a Lima, Madrid, Copenaghen, Lampedusa, la Tunisia e la Palestina. Esperienze intensissime che porterò sempre nel cuore.
Negli anni molto è cambiato, la sede è stata trasferita all’interno di Strike, un centro sociale in zona Tiburtina. Molte le persone che hanno attraversato il nostro progetto, molti i tentativi, le esperienze, le possibilità esplorate. Sono stata prima redattrice, poi curatrice e infine anche ideatrice di diverse trasmissioni, mi sono dilettata in audio documentari e programmi in diretta, ho imparato e condiviso le conoscenze con i nuovi arrivati.
Negli ultimi mesi la nostra produzione ha rallentato. Abbiamo scelto la via dell’approfondimento, nel tentativo di entrare nelle notizie, nelle storie. Fare meno, fare meglio. Abbiamo costruito una valigia e dentro ci abbiamo messo la nostra radio. Siamo andati incontro ai nostri interlocutori, esplorando territori e situazioni e calando il nostro flusso informativo nei contesti raccontati. Seguendo questa strada e assecondando i cambiamenti che la vita ci ha offerto, oggi, dopo diciott’anni di vita, abbiamo messo fine all’esperienza di AMISnet, per intraprendere un nuovo viaggio, una nuova affascinante scommessa. La neonata avventura si chiama ECHIS, incroci di suoni. Cambiano i mezzi con cui lavoriamo, cambiano in parte gli strumenti e gli obiettivi, ma non cambia la spinta, il sentimento e la sensazione netta e chiara che questo non è solo un luogo di lavoro, ma un progetto di vita, uno stile di fare e di pensare, il nostro modo di fare politica e di provare a cambiare le cose. (marzia coronati)