Ammontano a un valore di circa duecento milioni di euro i beni (immobili, terreni, elicotteri, quote societarie, aziende, conti bancari) sequestrati martedì dalla guardia di finanza ai tre fratelli Pellini, discussi imprenditori acerrani impegnati nel settore dei rifiuti. I Pellini, nonostante la condanna in appello per disastro ambientale nel 2015 – si attende il pronunciamento della Cassazione – hanno proseguito i loro affari nel campo dei rifiuti e in quello delle bonifiche.
Dalle nuove indagini emergerebbe una sproporzione rilevante tra i redditi dichiarati dagli imprenditori e i beni posseduti, ma anche l’investimento di liquidità proveniente da attività illecite, tanto da poter considerare illegale una larga parte del loro patrimonio, in quanto frutto della gestione abusiva dei rifiuti. Successivamente, il denaro sarebbe stato riutilizzato dai Pellini in altri settori come il noleggio dei mezzi di trasporto aereo, la ristorazione e la distribuzione di carburanti.
Pubblichiamo a seguire il testo: Lo smaltimento illegale di rifiuti tossici in Campania, dalla sezione “Ambiente e Territorio” de Lo stato della città.
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Lo smaltimento illegale di rifiuti tossici in Campania
di Salvatore De Rosa
Nella classificazione dei rifiuti stabilita dal Codice dell’ambiente [1] sono definiti rifiuti speciali gli scarti derivanti da processi di produzione industriali, da attività commerciali e sanitarie, da costruzioni e manifatture, per il cui smaltimento i produttori si rivolgono ad aziende private. La tipologia dei rifiuti speciali si differenzia a sua volta in non pericolosi e pericolosi, secondo le caratteristiche chimico-fisiche identificate in base ai codici del Catalogo europeo dei rifiuti (Cer). I rifiuti speciali che destano maggiore interesse pubblico sono quelli tossico-nocivi: materiali di scarto contaminanti che causano il deterioramento degli ecosistemi e della salute delle persone esposte a essi. La quantità di rifiuti speciali prodotta ogni anno in Italia è superiore rispetto ai rifiuti urbani: secondo dati ufficiali, nel 2013 sono stati infatti generati 28,5 milioni di tonnellate di rifiuti urbani contro i 131,6 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, e tra questi ultimi 8,7 milioni di tonnellate catalogati come pericolosi [2]. Tuttavia, tali stime vanno prese con cautela, in quanto ogni anno diversi milioni di tonnellate di rifiuti speciali non vengono dichiarati, sfuggendo ai controlli e alle quantificazioni.
Oltre ai rifiuti speciali formalmente inesistenti (che necessariamente sono smaltiti entro canali clandestini), anche diversi milioni di tonnellate di rifiuti che sulla carta sono gestiti secondo le leggi prendono in realtà vie illegali. Il traffico e lo smaltimento illecito di rifiuti, e di tossico-nocivi in particolare, è un fenomeno diffuso a livello planetario, la cui genesi e continua crescita va collegata all’aumento dei processi produttivi, soprattutto delle industrie pesanti e chimiche, da cui risultano scarti che necessitano trattamenti specifici. Basti pensare che, dal 1940 a oggi, la quantità di rifiuti industriali prodotti globalmente è passata da 10 a 400 milioni di tonnellate l’anno [3]. Con l’intervento di leggi atte a minimizzare gli effetti negativi su ambiente e persone, sorte dalla consapevolezza crescente della loro nocività, le modalità di gestione dei rifiuti tossici sono diventate negli ultimi decenni sempre più complesse e costose. Proprio gli alti costi del mercato di smaltimento legale sono una delle cause che spinge aziende piccole e grandi a rivolgersi ai canali di smaltimento illegale. Tali reti coinvolgono produttori di rifiuti, aziende di trasporto, proprietari di terreni e cave, laboratori di analisi e siti di trasferenza, politici, amministratori e organizzazioni criminali, in strutture di movimentazione e smaltimento di rifiuti tossici dagli impatti socio-ambientali devastanti.
Dieci milioni di tonnellate
A partire dalla fine degli anni Ottanta, la Campania è diventata il terminale di ingenti quantità di rifiuti tossici che, attraverso la cooperazione tra attori economici legali e illegali, hanno rappresentato un affare gigantesco, benché sommerso, e la più grande operazione di spostamento dei costi dai bilanci delle aziende alle matrici ambientali e ai corpi dei residenti.
In Campania, i rifiuti tossici smaltiti illegalmente – circa 10 milioni di tonnellate in 22 anni secondo Legambiente [4] – sono stati sversati, dati alle fiamme, intombati, mischiati ai rifiuti urbani, spacciati per compost agricolo, miscelati al cemento di condomini e di strade statali, o semplicemente abbandonati nelle campagne della regione. Se da un lato la genealogia dei traffici rimanda a un sistema illecito complesso e con ramificazioni nazionali e internazionali, specializzato in rifiuti industriali in quantità considerevoli, dall’altro è ormai acclarato come a livello locale siano proliferate pratiche di smaltimento illegale di scarti di lavorazione e rifiuti prodotti da aziende operanti in regime di evasione fiscale all’interno del territorio campano.
Il vasto territorio tra la provincia sud di Caserta e quella a nord di Napoli, un’area di circa 3.000 kmq abitata da più di 3 milioni di abitanti, è stato il più interessato da fenomeni di smaltimento illegale, in parte a causa della presenza di consorterie criminali con un consolidato controllo territoriale – una camorra che è da tempo imprenditoria armata – ma soprattutto per la convergenza di interessi tra esponenti politici ed economici a livello nazionale.
L’esatta valutazione degli impatti della dispersione incontrollata di inquinanti, nonostante la quantità di dati prodotti da centri di ricerca pubblici e indipendenti, è ancora oggi terreno di disputa tra esperti, movimenti sociali e istituzioni, sia per quanto riguarda l’effettiva contaminazione delle matrici ambientali, sia per il legame tra inquinamento da rifiuti e aumento di malattie di vario tipo tra la popolazione residente. Già nel 2005, l’Arpac censiva in Campania 2.551 siti potenzialmente inquinati [5]. Molti di questi ricadono nei Siti d’interesse nazionale (Sin), individuati in base ai criteri dell’art. 252 del decreto legislativo 152/06: vaste aree del territorio dove l’inquinamento di suolo, sottosuolo, acque superficiali e sotterranee è così ampio da costituire un grave pericolo per la salute pubblica e per l’ambiente naturale, e per le quali le opere di bonifica sono autorizzate sotto la supervisione del ministero dell’ambiente.
Fino al 2013, in Campania i Sin individuati erano cinque: Napoli orientale, Bagnoli-Coroglio, il litorale vesuviano, il litorale domitio-flegreo con l’agro aversano e Pianura; poi ridotti ai primi due con un decreto ministeriale. I rischi in termini di salute per i residenti sono stati oggetto di uno studio nazionale condotto tra il 2010 e il 2014 dall’Istituto superiore di sanità insieme a una rete di istituzioni scientifiche regionali e con il supporto dell’Organizzazione mondiale della sanità: il progetto Sentieri, che ha analizzato i tassi di mortalità, incidenza del cancro e dimissioni ospedaliere tra la popolazione che abita in 18 Sin nazionali, compresi quelli campani, coprendo un periodo di circa vent’anni. L’aggiornamento dello studio su 55 comuni della province di Napoli e Caserta, pubblicato nel 2014, ha confermato eccessi di mortalità e di incidenza tumorale nella popolazione, sottolineando la situazione preoccupante per i bambini tra 0 e 14 anni [6], e tracciando una correlazione significativa tra la presenza di discariche legali e illegali, e zone di maggior incidenza.
La superficialità del racconto mediatico dei legami tra rifiuti smaltiti impropriamente, contaminazione e salute, ha causato tra il 2013 e il 2015 psicosi generalizzate verso i prodotti agricoli campani, sferrando un duro colpo al comparto agricolo della regione. I comitati di base e gli esperti indipendenti hanno tentato di far riconoscere e di fermare il disastro, e in qualche caso sono riusciti a influenzare interventi legislativi e narrazioni dei fenomeni di smaltimento illegale. L’opera degli attivisti è stata fondamentale nel suscitare le reazioni della cittadinanza nei confronti dell’inazione delle istituzioni, facendo emergere una consapevolezza diffusa dei legami tra rifiuti nocivi, contaminazione di corpi ed ecosistemi, e strategie di profitto, sostanziatosi nell’elaborazione del concetto di Biocidio. Nonostante ciò, poco è stato fatto dai governi che si sono succeduti fin dalle prime indagini importanti sul tema. A oggi gli strumenti di prevenzione e repressione del fenomeno risultano ancora inefficaci.
La storia dello smaltimento illegale di rifiuti tossici in Campania è sparsa tra decine di processi, indagini della magistratura, dichiarazioni di pentiti, inchieste giornalistiche e ricerche accademiche, oltre ai documenti prodotti da organizzazioni governative e non, e da comitati popolari locali e regionali. Qui si tenta un sintesi dei passaggi chiave e dei meccanismi che hanno trasformato porzioni della Campania Felix in sversatoi di rifiuti pericolosi. (continua a leggere)
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