da: Horatio Post
Se un museo è una macchina del tempo, anche questi corridoi lo sono, dov’è la Direzione dell’Archeologico, qui l’orologio si è proprio fermato, le pareti chiare, le stampe e le cornici austere e lucidate in legno, è un pezzo d’Italia d’inizio Novecento, potrebbe essere un ministero o un liceo, c’è aria di Risorgimento, Cuore e “questa è una carezza del re”; l’aria di uno Stato che sembrava ancora forte, e invece stava per incrinarsi, sotto i colpi della Grande Guerra. Paolo Giulierini arriva che sono passate le sei del pomeriggio, la fatica della giornata sul volto, ha appena chiuso un consiglio di amministrazione del Parco archeologico dei Campi Flegrei, la sua nuova avventura, in contemporanea con la direzione del MANN, il Museo Archeologico Nazionale, che già gli sta dando importanti soddisfazioni.
Gli chiedo subito cosa cambia con l’istituzione del nuovo Parco archeologico dei Campi Flegrei, e lui si rianima, s’accende, la stanchezza scompare di colpo: «L’intuizione del ministero di affidare a un’unica soprintendenza speciale, per intero, l’immenso patrimonio archeologico flegreo, è un cambiamento di rotta epocale. Prima questi beni erano figli di un dio minore: nella programmazione dei fondi e degli interventi finivano sempre per prevalere le Soprintendenze forti, come Pompei e Ercolano. Con l’istituzione del Parco archeologico dei Campi Flegrei abbiamo finalmente, per la prima volta, la possibilità di immaginare una strategia unitaria di tutela e valorizzazione di un patrimonio che comprende venticinque siti di straordinaria importanza, a cominciare dai parchi archeologici di Cuma, Baia, Liternum; e poi la serie strabiliante di anfiteatri, necropoli, grotte, ipogei, templi, cisterne monumentali, vestigia di città e ville imperiali sommerse…».
Il fatto è che tutta questa magnificenza si trova in qualche modo dispersa nel caos rur-urbano di quattro comuni, un territorio di quindicimila ettari, del quale fanno parte realtà tumultuose come Giugliano, ormai terza città della Campania, e Pozzuoli, che è quinta, oltre ai comuni più piccoli di Baia e Monte di Procida. In quest’area, alla metà del Novecento, la città occupava solo il quattro per cento dello spazio complessivo, ora è il quaranta. Ciò significa che il paesaggio imperiale di vulcani verdi, selve, solfatare, vigneti, masserie, laghi e litorali fantastici si trova adesso sbrindellato in mezzo a una colata urbana senza regole né forma.
In questo quadro territoriale complicato, l’idea di Giulierini è chiara: «I Campi Flegrei esprimono ancora, nonostante tutto, una natura e un paesaggio strepitosi. Geologia, flora, vegetazione, fauna, presentano aspetti unici al mondo, e tutto è interconnesso: senza il vulcanismo non ci sarebbero state terme e ville imperiali. Le attività di tutela e valorizzazione del patrimonio archeologico non possono prescindere da questo, e devono essere pensate su base interdisciplinare. Nell’ultimo consiglio di amministrazione del parco abbiamo approvato un programma di alleanze e collaborazioni con la comunità scientifica. Assieme a loro vogliamo progettare una rete di itinerari mozzafiato nella natura e nella storia, per ri-connettere e rendere leggibile al visitatore questa rete fantastica di monumenti, ecosistemi e aree verdi».
Del resto, l’aveva annotato Goethe nel suo diario di viaggio, lui che era geografo e botanico insigne, prima che poeta, quando il primo marzo 1787 visita l’area flegrea, “la regione più meravigliosa del mondo”, con le sue rovine “di un’opulenza appena credibile”, e la vegetazione lussureggiante, “che s’insinua da per tutto dove appena è possibile, che si solleva sopra tutte le cose morte in riva ai laghi e ai ruscelli e arriva fino a conquistare la più superba selva di querce sulle pareti di un cratere spento. Così, siamo continuamente palleggiati fra le vicende della natura e della storia”.
«Un’altra decisione importante del CdA – mi dice ancora Giulierini – è il piano strategico, che sarà pronto entro l’autunno. C’è chi ironizza su queste cose, ma è una novità fondamentale introdotta dalla riforma. Prima, il cittadino non poteva conoscere le intenzioni e gli indirizzi della soprintendenza. Con il piano strategico, vengono invece dichiarati in modo trasparente le linee di gestione, gli obiettivi, le risorse, i tempi. Vengono definiti i servizi che lo stato si impegna a fornire alla collettività, a ogni singolo cittadino». Gli chiedo quanto pesano i limiti di organico, l’età avanzata dei dipendenti, le scarse competenze informatiche. Su questi aspetti Giulierini non si mostra eccessivamente preoccupato: «Guardi, con le nuove regole il Museo Egizio di Torino riesce a gestire un milione di visitatori (il doppio di quanti ne fa oggi il MANN, che pure sta raddoppiando ogni anno) con un organico trentacinque persone. Non è solo una questione di numero. Del resto, i beni culturali non possono continuare a essere come in passato un ammortizzatore sociale, pretesto per la creazione di occupazione pubblica poco qualificata. Con il nuovo concorso nazionale arriveranno quattro-cinque nuove risorse, altamente preparate. Alla fine, con un organico di ottanta persone (cinquanta custodi e trenta tra amministrativi, architetti e archeologi) penso di poter gestire il nuovo parco. Certo, quelle che mancano sono le competenze specialistiche, come gli esperti di marketing e fundrising. Per gestire le donazioni liberali con le agevolazioni fiscali previste dall’Art Bonus abbiamo dovuto stipulare una convenzione con l’Ordine dei commercialisti».
Mentre lo ascolto, penso che il lavoro di Giulierini in questi anni si è progressivamente esteso, con onde concentriche che hanno coinvolto a partire dal MANN ambiti territoriali via via più vasti. È successo con l’ExtraMANN, la rete convenzionata di sedici musei, siti archeologici e storici della città, ai quali si può accedere col 25% di sconto acquistando il biglietto dell’Archeologico. Con la direzione del nuovo Parco dei Campi Flegrei il progetto di Giulierini si propaga ulteriormente, tanto più che dal punto di vista geologico i Campi Flegrei finiscono nella città di Napoli, con l’ultima collina di tufo giallo di Poggioreale, prima che inizi la valle del Sebeto. «La mia idea è che il MANN debba essere l’epicentro, il portale del nuovo Parco archeologico. Già nel museo ospitiamo importanti reperti che provengono dall’area flegrea, come il Giove di Cuma, e nel 2019 abbiamo in programma una mostra sui rinvenimenti subacquei. Tra il MANN e i Campi Flegrei dovrà esserci una fitta rete di scambi, iniziative, sinergie».
«Certo – conclude Giulierini – ci sono tante cose da fare. Perché possa vivere, la rete di itinerari che innerverà il Parco deve essere supportata da un trasporto pubblico e una segnaletica all’altezza. In questi luoghi bisogna poter muoversi e arrivare in modo meno precario e avventuroso di quanto accada oggi. Lo Stato, attraverso la Soprintendenza, può aiutare le comunità locali in questa riorganizzazione dei servizi, superando localismi ed egoismi, in un’ottica di interesse generale. La creazione nei Campi Flegrei di questa rete unitaria, vivente di storia e di natura, è probabilmente il solo modo per arginare la frammentazione e l’abbandono; per rispondere alla richiesta disperata di un territorio che abbia senso per le persone, che funzioni meglio, nel quale sia più bello e facile vivere». (antonio di gennaro)
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