Lo stato della città. Napoli e la sua area metropolitana è un libro collettivo uscito nell’aprile 2016 per le edizioni Monitor. Un volume di 536 pagine, con 68 autori che comprende 86 articoli, saggi, storie di vita, grafici e tabelle. Da qualche mese esiste un sito con lo stesso nome, nato con l’obiettivo di rendere progressivamente disponibile l’intero libro, ma soprattutto di aggiornare con il passare del tempo tutti i contributi, a cominciare da quelli basati su dati annuali, per costruire un archivio in movimento delle questioni aperte nell’area metropolitana. Proponiamo a seguire uno dei contributi inediti, pubblicato qualche giorno fa.
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Una città tra i vulcani. Rischio multiplo e prevenzione istituzionale
di Giovanni Gugg e Clementina Sasso (giugno 2017)
Non passa settimana che in Italia non si discuta di un disastro o, peggio, che non lo si debba affrontare. Il nostro è un paese fragile e tale fragilità, naturale e indotta, è anche “accresciuta da comportamenti umani scorretti” [1]. Geologicamente giovane e antropicamente densa, l’Italia soffre soprattutto dei rischi idrogeologico e sismico, ma non mancano rischi ecologici e sanitari dovuti ad altre cause. Per quanto tutto il paese ne sia coinvolto, in alcune aree la vulnerabilità è più alta, sia perché l’esposizione al rischio è considerevole, sia perché la concentrazione antropica è particolarmente elevata. Uno di questi luoghi è Napoli, dove il discorso assume toni precipui, dal momento che la città e la sua provincia sono direttamente interessate, tra gli altri, dal rischio geologico: sismico (l’eco del terremoto in Irpinia e Basilicata del 1980 è ancora presente) e vulcanico (i vulcani attivi sul territorio sono ben tre: Vesuvio, Campi Flegrei e isola d’Ischia). Napoli, cioè, è una città a “rischio multiplo”, dove fenomeni naturali e attività umane possono generare eventi disastrosi che agiscono sincronicamente all’interno del sistema urbano e che possono avviare anche relazioni interattive tra loro, causando effetti compositi e imprevedibili.
Il rischio a Napoli
In quanto prodotto storico e sociale, il rischio assume significati diversi a seconda delle epoche e dei luoghi. Napoli esiste da migliaia di anni, dunque la sua esposizione al rischio geologico non è particolarmente mutata nel tempo, eppure oggi la vicinanza al Vesuvio e ai Campi Flegrei, con la crescita spesso disordinata dell’area metropolitana nell’ultimo secolo, non pone solo questioni di sicurezza e prevenzione, ma fornisce spunti di riflessione sul modello urbanistico, economico e democratico seguito nel corso del Novecento [2]. Se si sovrappongono le mappe del rischio dei due vulcani (per il Vesuvio, a est, ridefinita nel 2013; per i Campi Flegrei, a ovest, stabilita nel 2016), il Comune ne risulta interessato in tutta la sua superficie, sia come “zona rossa” (cioè l’area a maggior rischio per gli effetti diretti di un’eventuale eruzione), sia come “zona gialla” (ossia l’area di ricaduta delle ceneri, non meno pericolosa e letale). A questo si aggiunga la complessa orografia della città e la sua articolata composizione urbanistica, nonché la condizione precaria in cui versa buona parte del suo patrimonio edilizio.
Più in particolare, la perimetrazione della “zona rossa vesuviana” riguarda ventiquattro comuni e, per Napoli, la municipalità 6 (Ponticelli, Barra e San Giovanni). L’area della “zona rossa flegrea” coinvolge sette comuni, tra cui, limitandoci a Napoli, le municipalità 9 e 10 (Soccavo e Pianura, Bagnoli e Fuorigrotta) e alcune porzioni delle municipalità 1, 5 e 8 (San Ferdinando, Posillipo e Chiaia; Arenella e Vomero; Chiaiano). Il resto del territorio comunale di Napoli è, infine, parte della “zona gialla flegrea”.
In Italia la pianificazione dell’emergenza procede su differenti scale territoriali e per diversi gradi di competenza. Per legge, ogni comune deve avere un Piano di Emergenza Comunale (PEC) in base a quelle che sono le sue caratteristiche geomorfologiche, le sue problematiche e fragilità. In qualche specifico territorio, però, insiste anche un Piano di Emergenza Nazionale (PEm), come nelle aree vesuviana e flegrea. Quest’ultimo, redatto da Regione e Dipartimento di Protezione civile, individua delle aree di rischio (zone rossa, gialla e blu, in base all’urgenza e agli effetti di un’eruzione) grazie allo scenario eruttivo ritenuto più probabile dagli scienziati, ovvero dai ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, specie quelli dell’Osservatorio Vesuviano. Da ciò deriva un conseguente Piano di Evacuazione (PEv), con il quale Regione e Protezione civile organizzano, per tappe, il trasferimento della popolazione verso le regioni d’Italia gemellate con i comuni della zona rossa.
Nell’eventualità in cui si verifichi un accavallamento dei piani, si segue un principio gerarchico (il PEm è superiore al PEC), ma anche di armonizzazione: se ciascun PEC deve conformarsi alle particolari norme del relativo PEm, questo – a sua volta – deve coordinare i singoli PEC che ricadono entro il suo spazio di competenza, al fine di accordarli tra loro e renderli applicabili nel concreto attraverso il PEv. Per esempio, in caso di allarme flegreo, i residenti di Fuorigrotta (zona rossa) hanno – rispetto agli abitanti di altri quartieri – particolare urgenza di conoscere i primi punti di raccolta: al fine di una efficiente evacuazione, tale informazione “rionale” deve essere indicata nel PEC di Napoli dopo previa concertazione con i PEC dei comuni vicini, attraverso i quali passano le vie di fuga, e sulla base delle indicazioni del PEv (che, per quanto riguarda i Campi Flegrei, al momento non è stato ancora elaborato). (continua a leggere)
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