La velocità, per esempio, de’ cavalli o veduta, o sperimentata, cioè quando essi vi trasportano [..] è piacevolissima per sé sola, cioè per la vivacità, l’energia, la forza, la vita di tal sensazione. Essa desta realmente una quasi idea dell’infinito, sublima l’anima, la fortifica. [I. Calvino, Lezioni americane]
Si entra con la macchina in un vasto piazzale alberato, concentrandosi sul percorso perché l’asfalto è ovunque spaccato dalle radici. Nei giorni di pioggia le pozzanghere diventano enormi, il fango e la ghiaia sembrano assorbire i rifiuti: gli scontrini delle scommesse, i tanti pacchetti di sigarette vuoti, il programma delle corse. La nostra è la sola macchina e noi siamo le uniche persone nel raggio di cento metri. La desolazione e la pioggia incessante contrastano con l’ultima memoria che avevo dell’ippodromo di Agnano. Un ricordo che durante il viaggio in tangenziale si arricchiva sempre di particolari. Il caldo, l’odore di zolfo e di cavalli, la folla ai botteghini e al totalizzatore, il rumore degli zoccoli, grandi cacate equine nel piazzale. Da quanto tempo l’insegna cade a pezzi?
Le storie dei dipendenti si somigliano tutte, almeno per un aspetto. Chi lavora nell’ippodromo non percepisce stipendio da nove mesi. “C’è la crisi del settore”, dice il Ministero delle Politiche Agricole. Che intanto incassa i soldi delle scommesse e non paga. Neanche i premi ai vincitori. L’ingresso agli uffici è sovrastato da una frase: “Nel nostro futuro c’è una grande storia”. «La storia c’è, è il futuro che manca», dice Rino, sessant’anni, quaranta di esperienza nell’ippodromo, guance incavate e sigaretta costantemente tra le dita. «Sono entrato qua nel ’72 perché lavorava mio padre, quando se ne andò in pensione c’era l’usanza di assumere i figli dei dipendenti». Questa crisi dell’ippica è un abito mentale. Certo, non c’è più il pubblico di una volta. Ad Agnano fino a dieci anni fa c’era il pienone per ogni corsa. Restano comunque le scommesse, e per volume di gioco il mondo dell’ippica è ai primi posti, preceduto solo da superenalotto e bollette calcistiche.
«I cavalli corrono comunque, perché ci sono ancora gli appassionati. E poi, fatta in una certa maniera, l’ippica è redditizia. Si dovrebbe prendere il modello della Francia, dove è uno degli sport principali. Le giocate lì sono in aumento. Abbiamo l’Europa unita, no? Però alla fine non è unita. Ci dovrebbe essere proprio una legge europea per l’ippica, così potrebbero entrare in Italia anche imprenditori stranieri». Rino è giù di morale. Attorno a lui silenzio, la pista – due chilometri e settecento metri – è deserta. Spiega cos’è il tondino insellaggio, dove ai cavalli viene messa la sella prima di entrare in pista. All’ippodromo di Agnano sono di casa circa cinquecento cavalli. La maggior parte corre altrove, spesso ad Aversa, altri rischiano di restar fermi per troppo tempo. Alcuni vengono portati sul lungomare di Licola dagli allevatori, per tenerli in allenamento. Rino è stato addetto per trent’anni alla manutenzione delle piste, fin quando, a seguito di una caduta dalla pala meccanica, è stato trasferito ai cancelli. «Quando finiva una gara importante e qualcuno perdeva molti soldi, succedeva anche che il fantino veniva inseguito perché non aveva corso bene». Torniamo in macchina, Rino ci accompagna alle scuderie. L’autoradio trasmette una canzone di Califano ancora vivo. «È ora di cena per i cavalli, sicuramente troviamo qualcuno».
Alle scuderie troviamo i fratelli Rocco, intenti a dare il fieno ai cavalli chiusi nelle minuscole stalle. Dopo l’iniziale reticenza il più anziano racconta. Mi trovo spesso a chiedere ripetizioni, colpa di un accento improbabile che però rende il racconto fluido, a un ritmo galoppante che ricorda le telecronache sudamericane. «’E cavall’ vonn’ mangia’, ‘e padron’ vonn’ essere pavat’. Uno può agevolare su una ferratura, ‘o cavall’ invece di ferrarlo ogni quindici giorni, lo ferri ogni venti, trenta giorni, se po’ arrangia’. Ma a mangiare, vuoi darlo a mangiare? Chi tiene il coraggio di lasciarlo digiuno, jamm’? Proprietari non ce ne stanno più. Il cavallo è lusso, tu lo devi dichiarare sul 7e40, e quando uno dichiara il cavallo il governo vuole i soldi e poi non ti pensa proprio. Per esempio, il cavallo vince trentamila euro, nel 2012. Il padrone li ha dovuti dichiarare e ha pagato le tasse. Però i soldi ancora li dobbiamo vedere. Logicamente quello che deve fare? Non è meglio che lo regala a qualcuno? E ha fatto un guaio, perché a chill’ l’ha ‘nguajato. Non è che gli stai regalando un giubbino, no? Non è una macchina, tu l’assicurazione non la fai, metti il fermo commerciale sopra e quella non mangia e non beve e sta sempre là. ‘O cavallo deve mangiare, deve bere, deve uscire, ha da fa’. Per tenerlo bene proprio, a bere, a mangiare, paglia, fieno, ci vogliono quattrocentocinquanta euro al mese. E deve stare bene, eh? Non deve mai cadere malato, altrimenti mica è comm’ ‘e cristiani? ‘O cristian’ si piglia la camomilla, l’aulin, ‘o scirupp’ e va annanz’. Qua ci vogliono i soldi».
I cavalli, per salvarli dal macello, adesso conviene donarli ai centri di ippoterapia per bambini disabili. Alcuni cavalli dei fratelli Rocco – di quelli che in pista hanno già dato tutto – finiscono a Cesena a giocare con i bambini. «Lavoro qua da quando avevo otto anni, sono cinquant’anni che faccio questo mestiere. Siamo quattro fratelli, facciamo tutti questo lavoro, poi ci stanno tre figli, uno mio, uno mio fratello e uno di un altro mio fratello, fanno pure loro questo mestiere. Ma ora non si fa niente più, è finito proprio. I figli… ‘o cchiù piccerillo tiene 35 anni. Dove deve andare? È un bel mestiere questo, stai all’aperto, sei libero. Questo è un mestiere bellissimo, troppo bello». Sullo sconforto che caratterizza tutto il racconto prevale, per pochi secondi, la fierezza d’aver fatto un mestiere che gli ha permesso di viaggiare il mondo e conoscere tante persone. «Qua hai a che fare col pezzente e col re, hai a che fare col signore, col verdummaro, col salumiere, cu tutt’ quant’».
Se il governo non sblocca i fondi, però, è dura. Si consentisse almeno la riapertura dell’impianto, si potrebbe continuare a lavorare. Durante l’estate l’ippodromo è molto frequentato. L’assessore allo sport del Comune di Napoli Pina Tommasielli due settimane fa dichiarava: «L’amministrazione è impegnata a consentire in tempi rapidi la riapertura dell’impianto di Agnano tenendo conto di due priorità: salvaguardare i livelli occupazionali e rilanciare l’area». Si era fatta avanti una cordata di imprenditori – «una squadra da Champions League dell’ippica», la definiva il capofila Pierluigi D’Angelo – costituita da addetti ai lavori (ex fantini, proprietari di cavalli) e pronta a rilevare l’ippodromo di Agnano. Un bando europeo (la stessa modalità con la quale è stata gestita – in modo discutibile – la situazione Edenlandia) dovrebbe essere pronto entro aprile, parallelamente sarà emesso un bando per la gestione provvisoria. Qualche giorno fa il sindaco de Magistris ha dichiarato che per l’ippodromo di Agnano avrebbe in testa una destinazione diversa: «Potrebbe diventare la Woodstock napoletana», ha rivelato durante l’inaugurazione di un centro raccolta rifiuti a via Labriola.
In via Ruggiero – nome del vecchio proprietario dei terreni dove sorge l’ippodromo – i dipendenti sono preoccupati. Dalla manifestazione di febbraio a Roma è cambiato poco. Il governo ha sbloccato (o meglio, si è impegnato a sbloccare entro tre mesi) trenta milioni, che non soddisfano nessuno. Con trenta milioni si pagano a stento i premi da giugno ad agosto 2012 e le relative spese per la gestione degli ippodromi. I fratelli Rocco mandano i loro cavalli a correre altrove: «Corrono ad Aversa, a Foggia, anche Roma ha chiuso. Domani sono a Foggia; alla fine devi far correre due o tre cavalli alla volta perché le spese sono troppo alte. Devi pagare i vanisti, e li devi pure ringraziare perché qua stiamo ancora bene. Al Nord vengono pagati a chilometro, qua facciamo a forfait. Cento euro per andare a Foggia, andare e tornare. Ad Aversa trenta euro. Al Nord si paga un euro e cinquanta a chilometro, per Foggia sono 270 chilometri, fai il conto. Domani a Foggia porto un cavallo, ha buone possibilità di vincere, ma pure se vince… Sono mille euro, quando te li danno? Mettici duecento euro per il viaggio, cinquanta euro di nafta, quaranta di autostrada, ‘nu pacchett’ ‘e sigarette. Parti alle sette di mattina e torni alle undici di sera a casa: si corre gratis!».
Aversa, ippodromo Cirigliano: a Napoli ne parlano tutti bene, forse con un po’ d’invidia. L’ippodromo di Aversa è considerato un piccolo gioiello. «Aversa ha l’ippodromo più ricco d’Italia», dicono molti lavoratori. Come è possibile che ci sia una tale differenza tra due ippodromi a trenta chilometri l’uno dall’altro? Ad Aversa non c’è “crisi di settore”? Arriviamo con la metropolitana per assistere alle ultime due corse. Attraversiamo via Cirigliano, desolata strada di provincia uguale a tante altre, tappezzata di propaganda elettorale, solo sfiorata dal traffico dell’ora di punta, nuovi bar fluorescenti di prossima apertura. Piazza Varenne, ingresso alberato. L’ippodromo Cirigliano è un impianto notevolmente più piccolo di quello napoletano, ma proprio per questo meno dispersivo, “all’inglese”, per fare un comodo paragone con il calcio.
Assistiamo alle corse (gran premio di trotto) da bordo pista. Una Cadillac rosa fa da auto-starter, le lunghe pale ai lati permettono ai cavalli l’allineamento prima della partenza. Con un accento dai tratti saraceni lo speaker ripete “Attenzion’ prego” dagli spalti, richiamando l’interesse degli spettatori e degli scommettitori in vista della gara imminente. «Aiutiamo il cavallo in difficoltà, giriamo un poco qua vicino, hai capito Borrino?», chiede un giudice dalla Cadillac. Il cavallo guidato da Borrino è imbizzarrito, e difatti arriverà ultimo, stentando anche nell’allineamento. Tra i driver alcuni vengono avvicinati dai tifosi (interessati a sapere prima di scommettere), si trattengono a bordo pista per parlare restando seduti sul sulky. Noi puntiamo un euro su Imprevisto, che difatti arriva quinto. Restiamo affascinati dalla sua cadenza d’inganno. (davide schiavon)