da: horatiopost.com
Il suolo è la base della vita, è quella cosa che regge tutto l’ecosistema e anche, in definitiva, l’intera comunità umana. Dal suolo traiamo il cibo, le fibre, il legno; ma è anche il grande filtro naturale che depura l’acqua buona che beviamo. Insomma, i suoli lavorano per noi, in tanti modi diversi. I suoli della piana Campania, in particolare, per la loro natura vulcanica e il clima favorevole, sono tra i più fertili dell’universo conosciuto. Per fabbricare tutta questa fertilità, la natura ci impiega del tempo, e i differenti strati del suolo sono come le pagine di un libro, nel quale possiamo leggere quindicimila anni di storia naturale: un racconto spettacolare di eruzioni, inondazioni, cambiamenti climatici, colonizzazioni agricole.
Insomma, il suolo è la risorsa dal quale dipende il nostro futuro, è fragile, non si rinnova facilmente, ed è maledettamente importante proteggerlo. Per tutti questi motivi, appare davvero sconcertante e paradossale il recente provvedimento con il quale il comune di Caivano ha ordinato a una ventina di agricoltori, nientemeno che di smaltire in discarica lo strato superficiale dei suoli, proprio quello più fertile. Con un simile provvedimento, quello che è il nostro tesoro durevole di fertilità, viene trasformato in un rifiuto come un altro.
Quali siano gli inghippi burocratici che hanno condotto a una simile, assurda decisione, è presto detto. L’analisi di quei suoli ha evidenziato un contenuto in alcuni microelementi, in particolare il berillio e lo stagno, superiori ai limiti della legge nazionale, la 152. Peccato che nei suoli di Caivano quei contenuti particolari di microelementi siano legati ai “valori di fondo”, cioè ai valori che contraddistinguono naturalmente quel determinato tipo di suolo. Insomma, quei microelementi non provengono da contaminazione, ma ce li ha messi il Padreterno. Per dirla tutta, la peculiare composizione dei nostri suoli è un aspetto peculiare della loro fertilità, è il vero segreto di Campania felix.
Nel caso dell’ordinanza di Caivano, l’ignoranza di tutte queste cose, insieme a un goffo e incomprensibile eccesso di zelo, ha generato un mostro burocratico, trasformando la nostra risorsa più importante in un pericoloso rifiuto. E imponendo, in prospettiva, una rimozione totale dei suoli, tenuto conto che quei microelementi sono presenti anche negli strati profondi. Insomma, dopo aver rimosso lo strato superficiale, dovremmo procedere sbaraccando per intero le nostre pianure, o cessare del tutto le attività agricole, che rimangono pur sempre uno dei pilastri economici e sociali di questa nostra scombinata regione.
È evidente che questo clamoroso errore deve essere rapidamente sanato, evitando a quelle venti aziende, agli imprenditori agricoli e alle loro famiglie, un danno ingiusto, una mortificazione imperdonabile, e all’intera agricoltura regionale una condizione di funesta precarietà. Un passaggio cruciale è l’ufficializzazione, da parte dell’amministrazione regionale, dei valori di fondo che contraddistinguono i nostri suoli, seguendo la strada di altre regioni, che hanno dovuto affrontare problemi simili, prevenendo alla base la possibilità che simili provvedimenti possano verificarsi ancora. Bisogna agire subito, ci stiamo coprendo di ridicolo.
Per una storia di suoli fertili maltrattati, per fortuna ce n’è una buona di suoli recuperati. In questi giorni il Commissario per le discariche di Giugliano, Mario De Biase, e i ricercatori della Federico II, coordinati dal docente di agronomia Massimo Fagnano, hanno completato l’allestimento del campo pilota di San Giuseppiello: si tratta di un rigoglioso frutteto di sei ettari – proprio vicino alla discarica ex Resit, tristemente famosa, all’interno della cosiddetta Area vasta di Giugliano – di proprietà della famiglia Vassallo, nel quale Gaetano, pentito di giustizia, ha confessato lo sversamento di fanghi industriali ricchi di cromo. Su quei suoli, ora sequestrati, è stato impiantato un bosco di ventimila pioppi, che lavoreranno, insieme a compost e batteri, per ripulire l’ecosistema. Si tratta di una metodologia efficace e a basso costo (ottocentomila euro, al posto dei venti milioni che sarebbero serviti con le tecniche tradizionali) per recuperare i suoli, con il vantaggio di mantenerli alla destinazione agricola.
L’impianto del bosco è stato preceduto da un monitoraggio capillare, centimetro per centimetro, con tecniche innovative, delle effettive condizioni di contaminazione dei suoli. Sono state prodotte mappe dettagliatissime, che raccontano lo stato di salute dei suoli sia in superficie che in profondità, per intervenire punto per punto, in funzione delle effettive condizioni di contaminazione. Queste indagini hanno consentito di accertare una cosa importantissima: le particolari proprietà filtranti dei suoli vulcanici di San Giuseppiello impediscono la migrazione verso il basso dei contaminanti, evitando che arrivino alle falde. A ogni modo, il grande bosco verde verrà costantemente monitorato dai ricercatori della Federico II, per seguire l’evoluzione di tutti i parametri chimici e biologici.
Si tratta di un approccio estremamente interessante, perché potrà essere esteso agli altri siti della piana campana che hanno gli stessi problemi, con costi compatibili, mettendo in sicurezza e riqualificando il paesaggio. È questo un punto molto importante: a San Giuseppiello non si sta solo recuperando la fertilità dei suoli. Si sta anche ricostruendo il paesaggio. Al posto di un sito degradato, c’è ora un bosco verde che testimonia l’azione concreta dei poteri pubblici per rimediare ai crimini e agli errori del passato. (antonio di gennaro)