Sungu na uagliona e quanno passo per mez’ i’ gente aggià tenè a capa vasciata e cuntù i petre pe terra. […] Non do retta a nisciuno e non ‘iauzo mai l’occhia a’nterra ca se ‘nsia mai si scontrano con quiddi i’ nu masculo, tutto o paisi mi chiamano: puttana.
Il teatro è quella cosa che fa stare circa centocinquanta persone sedute al buio in un’ex scuola media, per un’ora e un quarto, con i rumori e le luci delle auto che passano fuori e un religioso silenzio dentro. Sul palco una sedia, un attore e un musicista. E poi la lingua, le parole scolpite nell’aria, la voce, il ritmo e ancora la lingua. Non serve altro. Del resto – allestimenti, costumi, coreografie, poltrone, trucchi, intervalli, bouvette, presentazioni, felicitazioni, sollecitazioni, appannaggi, intromissioni – possiamo fare a meno: il teatro potrebbe, sarebbe bello se potesse, farne a meno. Così Saverio La Ruina, attore drammaturgo, co-fondatore assieme a Dario De Luca e Settimio Severo di Scena Verticale, compagnia calabrese che da diciassette anni organizza il festival Primavera dei Teatri, porta in scena il suo monologo Dissonorata, a dieci anni dal debutto e dopo due premi Ubu per migliore attore e migliore drammaturgia.
Dopo tanto tempo questo lavoro ancora è vivo e scotta più di tanti spettacoli visti e ritriti che hanno tanto del “resto” e così poco di teatro. Un mantesino e un paio di pantofole su vestiti da uomo, La Ruina sta seduto, costipato, quasi schiacciato su una sedia di legno al centro del palco. Le mani nervose ma controllate, strette tra loro o ai margini della gonna, tengono i lembi di stoffa, come chi si aggiusta la veste in un gesto d’imbarazzante dignità. La Ruina è Pasqualina, abitante di un Sud atavico nella zona del Pollino, dove le donne sono bestie da fatica prima, carne da macello poi. Dove tocca camminare con la testa abbassata a contare le pietre, fare come dice il padre padrone che sennò ti ammazza e ti lascia morta in terra. Pascere le pecore, andare all’orto, mangiare, parlare, dormire quando te lo dicono gli altri, a San Severino, Castrovillari (luogo di provenienza di La Ruina) un paesino pieno di “zitellone” che non si sono insurate perché quasi tutti i maschi sono andati a fare la guerra.
Pasqualina è anima pura, purissima, cui La Ruina dà incredibilmente voce, portando in scena la bellezza commovente e senza strutture di un’identità in fieri, che scova gioia nella rovina degli uomini. Una voce ferma e dominata che come una cantilena cunta un cunto, «ca po’ è quasi sempre u’stessu cunto»: la storia della vita sua e di chissà quante altre donne sottomesse, “disonorate” e poi punite dalla loro stessa famiglia, assassinate o sfregiate col fuoco, come nel caso di Pasqualina. La Ruina racconta – più che raccontare mastica – le parole in un dialetto tondo e piano a metà tra il calabrese e il lucano che porta il ritmo della terra, dei campi di grano, delle stalle e del fieno, degli immensi cieli stellati. L’andamento flebile di chi non ha mai potuto alzare la voce, pure quando ti stanno stuprando, pure quando ti stanno ammazzando. Non raggiunge mai un picco, né dà enfasi alla semplicità disarmante di Pasqualina e di un mondo agreste immobile, bloccato, doppiamente assoggettato perché sei femmina. Il colore lo danno i giusti inserti di fiati e percussioni del polistrumentista Gianfranco De Franco, che segue e accompagna questo cunto dall’inizio alla fine: una sospensione onirica come dentro a un banco di nebbia, dove a un tratto ti prendono a pugni sui denti.
Dissonorata ha chiuso Efestoval, festival di teatro itinerante nei Campi Flegrei diretto da Mimmo Borrelli, quest’anno alla sua seconda edizione. La rassegna – che oltre a La Ruina ha ospitato Marco Baliani, Patrizia Arnoldi, lo stesso Borrelli, Maura Perrone e Roberta Serretiello e un altro prezioso monologo di Roberto Latini – è un esempio virtuoso di festival nato dal basso col coinvolgimento di giovani, realmente radicato sul territorio, volto al recupero e alla narrazione di luoghi non teatrali ma di notevole interesse paesaggistico, come il parco monumentale di Baia o il Parco Cerillo, riaperti e restituiti alla comunità. Il risultato è l’affluenza (in crescita) di pubblico misto e trasversale che si forma attraverso spettacoli di teatro contemporaneo, alcuni dei quali, spesso, non sono mai venuti in città. Altro che Napoli Teatro Festival, verrebbe da dire. (francesca saturnino)
Dissonorata. Un delitto d’onore in Calabria
di e con: Saverio La Ruina
musiche dal vivo: Gianfranco De Franco
disegno: luci Dario De Luca
produzione: Scena Verticale
Ex scuola media di Baia/ Cantiere Navale Postiglione
Efestoval, 30 settembre 2016