L’ultimo concerto dell’anno per l’associazione Scarlatti deve essere stato particolarmente significativo: di scena presso il teatro Mercadante uno spettacolo di Nicola Piovani, La musica è pericolosa, per chiudere un 2019 d’eccezione, a cento anni dalla fondazione della più antica associazione musicale del Mezzogiorno. Il mal tempo s’era messo di traverso: giovedì 19 dicembre la città mal sopportava quelle ripetute scariche d’acqua passate alla cronaca come “allerta meteo” ma lo spiraglio apertosi trenta minuti prima dell’inizio sembrava portare il sereno tra il pubblico; addirittura si è tardato di una buona quindicina di minuti l’inizio, per permettere ai non rinunciatari di essere ugualmente puntuali, un piccolo regalo considerata la certosina puntualità con cui l’associazione ripaga i suoi affezionati. Il teatro risponde bene, il sold out della biglietteria incontra qualche defezione, in platea molti parlano augurandosi sempre il meglio, agli sguardi sono assicurate altre intenzioni.
La presenza di Piovani inspessisce le relazioni con la proposta musicale sempre piuttosto variegata dell’associazione, nonostante lo zoccolo duro dovuto al barocco da un lato, alle formazioni da camera dall’altro. Una scelta fortemente didattica, laddove il Maestro parla con semplicità di cose complesse, dell’elaborazione di un tema per le immagini, del lavoro che cambia a seconda del regista, di una crescente sordità dovuta all’incremento della musica passiva, delle diverse relazioni con la forma canzone. Insomma, Nicola Piovani è senza dubbio un compositore la cui attività si intreccia con la produzione culturale italiana nei suoi contatti con Fellini e Monicelli, De Andrè e Benigni e questo spettacolo ne documenta le tracce, in una singolare commistione tra musica eseguita sul palco e musica registrata a essa sommata. E così Piovani arriva a teatro con uno spettacolo di circa cento minuti senza interruzioni di sorta; sarebbe bello un giorno ascoltarlo anche in quanto compositore di musiche per il teatro a Napoli. Sul palco insieme a lui ci sono musicisti (Marina Cesari – sax/clarinetto; Pasquale Filastò – violoncello/chitarra; Ivan Gambini – batteria/percussioni; Marco Loddo – contrabbasso; Rossano Baldini – tastiere) dalla educata presenza scenica, professionisti che suonano senza eccessi, che intervengono guidati dalla direzione del Maestro e difficilmente lasciano calcare la mano dal momento.
Il pubblico in sala è piuttosto coinvolto, le maschere in assetto militaresco per punire gli smartofili hanno vita più facile e si lasciano cullare dai suoni di Partenope, singolo di un dittico edito dal maestro; l’andamento dello spettacolo è piacevole, anche grazie alla collaudata formula che lo mette in scena un po’ dappertutto, in Italia e nel mondo, e a contenuti disponibili anche nell’omonimo libro, giusto per ricordare come spettacoli di tal sorta nascano per essere riprodotti e commercializzati. Ebbene, i piccoli aneddoti che legano tra loro le esecuzioni hanno il potere di ricucire uno strappo tra memoria e ascolto, tra logiche di produzione e strategie di comunicazione, facendoci scoprire tra l’altro come il tema del Bombarolo sia dovuto al canto delle campane, a significare quella pericolosità – da una battuta di Fellini – che la musica provoca ogni volta che si libera nell’ascolto.
Non c’è tempo per troppe cerimonie, così dopo gli applausi di rito evitiamo il bis e ci abbandoniamo all’uscita dalla sala, per ritrovare il sapore di una passeggiata senza ombrello. Tirando un po’ le somme, nel cumulo delle offerte musicali che la città sembra stancamente proporre, quella della Scarlatti sembra dotata di una doppia spinta, uno sguardo retrospettivo (come derivabile anche dalla mostra presso Villa Pignatelli, fino al 3 maggio 2020, Cento anni di musica ininterrotta) ma teso al futuro, non certo roseo, delle cose musicali in città. (antonio mastrogiacomo)