Immaginate, vi prego, in questo periodo di clausura forzata che determina, per tutti, un aggravio di sofferenza psichica, chi, già paziente psichiatrico in cura ai servizi territoriali, non può più accedere a centri diurni e attività ambulatoriali, ed è costretto a restare chiuso in casa per intere giornate con i suoi fantasmi, le sue paure, i suoi deliri, i suoi attacchi di panico, la sua depressione, tutti acuiti dall’isolamento, dalla riduzione di relazioni, dall’assenza di cure che non sia la mera somministrazione di psicofarmaci.
Immaginate, vi prego, di vivere una condizione di paura senza soluzione di continuità, rinchiusi in una casa che diventa un manicomio domestico, con le pareti che si piegano a diventare mostri, un pensiero ossessivo che si fissa alla mente fino all’affanno, fino a far crollare il soffitto. E immaginate, vi prego, anche una famiglia che ha con sé una o più persone con disabilità, fisica o psichica, a cui è negato il supporto dei servizi sanitari e sociosanitari territoriali.
Nel freddo linguaggio burocratico di un’ordinanza, come la n. 16 del 13 marzo della regione Campania, si ordina “con decorrenza immediata e fino al 3 aprile” la sospensione su tutto il territorio regionale delle “attività sanitarie e assistenziali di tutti i servizi sanitari e socio-sanitari territoriali semi-residenziali pubblici e privati (Riabilitazione estensiva, Centro Diurni per anziani e per disabili non autosufficienti, pazienti psichiatrici minori e adulti) nonché tutti i servizi sociali a regime diurno attivati dagli ambiti sociali”.
Una misura che si definisce necessaria per il contenimento del contagio virale, e quindi per la salvaguardia della salute delle persone fragili, degli operatori sanitari, nonché dell’intero insieme sociale. Si potrebbe discutere a lungo se non fosse possibile, come altrove pure è stato invece garantito, mantenere il funzionamento dei servizi, certo contingentato e con le dovute cautele, anziché chiuderli del tutto. E se la decisione di chiuderli non sia piuttosto figlia di una pregressa assenza di sostegno e sviluppo, anzi, un vero e proprio smantellamento della rete distrettuale psichiatrica, che ha già dimezzato questi servizi e privato gli operatori finanche dei più elementari dispositivi di sicurezza individuali. Ma si evidenziano con forza anche altri aspetti.
Innanzitutto, si ordina un intervento senza definire in alcun modo possibili misure volte ad attenuare il suo impatto: così nell’ordinanza si indica un generico rafforzamento dell’organizzazione dei servizi domiciliari ma solo “al fine di garantire assistenza e prestazioni sanitarie e socio-sanitarie indifferibili a domicilio”. Invece, il governo, nel decreto legge n. 14 del 9 marzo 2020, ha prescritto la facoltà per le Regioni di “istituire, entro dieci giorni […], unità speciali atte a garantire l’erogazione di prestazioni sanitarie e socio-sanitarie a domicilio in favore di persone con disabilità che presentino condizione di fragilità o di comorbilità tali da renderle soggette a rischio nella frequentazione dei centri diurni per persone con disabilità”.
Non solo in Campania non c’è traccia di queste unità speciali, ma, secondo le indicazioni regionali, gli interventi domiciliari sarebbero solo per i casi indifferibili. Come si determinano questi casi? Come si sopperisce all’interruzione di quella continuità terapeutica che, particolarmente nelle cure psichiatriche e per la disabilità, è parte imprescindibile del percorso di cura? D’altro canto, la Regione interviene direttamente sulla salvaguardia dei Livelli essenziali di assistenza (i Lea) che, nella loro definizione generale, sono individuati e definiti dallo stato. Lo fa con un atto che, come altri, sembra soverchiare le dirette competenze della potestà regionale in materia sanitaria, creando, inoltre, disparità con altri territori.
In una lettera inviata al primo ministro e al ministro alla sanità, Gisella Trincas, presidente dell’Unasam, l’Unione nazionale delle associazioni per la salute mentale, ha giustamente sottolineato come: “In tante realtà territoriali i centri di salute mentale (su disposizione dei direttori sanitari, o dei dipartimenti di salute mentale, o delle stesse regioni), hanno sospeso la loro ‘attività ordinaria’. Non accolgono i pazienti nei servizi con la motivazione che non hanno i dispositivi di sicurezza (solo urgenze e emergenze), hanno sospeso tutte le attività riabilitative, alcuni servizi sono letteralmente blindati col personale dentro e la porta chiusa a chiave. Mentre in altre realtà (da noi verificate), gli operatori, adottando tutte le misure di sicurezza, continuano a garantire assistenza e cure sia nei servizi che al domicilio dei pazienti. Siamo quindi fortemente preoccupati da una situazione che potrebbe essere fuori controllo. I servizi di salute mentale già soffrivano di una condizione di grande fragilità e disomogeneità sia nella organizzazione dei servizi che nelle pratiche operative. E nella situazione attuale in cui le persone fragili devono essere semmai maggiormente sostenute, questo comportamento oltre che inaccettabile è ad alto rischio per la salute dei cittadini”.
La lettera si conclude con la medesima richiesta, già avanzata dal Coordinamento nazionale conferenza salute mentale, di avere “disposizioni chiare valide su tutto il territorio nazionale per contenere l’allarme e prevenire l’abbandono, chiarendo che i servizi territoriali devono garantire le attività terapeutiche e riabilitative ovunque in Italia, e indicando esplicitamente le tipologie di attività da garantire”. Disposizioni che, a oggi, non sono arrivate, aprendo lo spazio ad azioni gravi come quelle disposte in Campania e altre regioni circa l’interruzione indiscriminata di tutti i servizi.
Immaginate, vi prego, di associare alle preoccupazioni che ciascuno sente così pesantemente sul proprio corpo in questo periodo, il dolore, profondo, acuto, di una sofferenza che è già nella mente e si presenta feroce a ogni respiro. Come è necessaria la responsabilità di tutti per combattere il Covid19, così, è necessario e improcrastinabile l’impegno di tutti, istituzioni e singoli cittadini, perché, oggi più di ieri, chi è più fragile non venga lasciato solo, isolato, abbandonato. (antonio esposito)