Da Napoli Monitor n. 45 / Gennaio 2012
“I cosiddetti ‘confini spontanei’ – scrive il filosofo Zygmunt Bauman – sono quelli costituiti dal rifiuto di una commistione, anziché da cemento e filo spinato. Essi svolgono una doppia funzione: oltre ad avere lo scopo di separare, hanno anche il ruolo/destino di essere delle interfacce, di promuovere quindi incontri, interazioni e scambi, e in definitiva una fusione di orizzonti cognitivi e pratiche quotidiane”. In una città come Napoli, tutto in qualche modo è confine spontaneo. Linee metropolitane che favoriscono il contatto tra due parti della città regolarmente felici di ignorarsi; piazze in cui a partire dalle undici di sera si fondono orizzonti inconciliabili; mercati del vietato dove l’entrata in affari tra le diversità è una delle regole alla base delle congiunture favorevoli. Ma ancora di più strade, che attraversano colline, tagliano in perpendicolare un lungomare, favoriscono nuovi insediamenti in territori arroccati o sprofondati da sempre su se stessi. E inevitabili contatti, confronti, scontri. Raramente mescolanze.
Il corso Vittorio Emanuele è una strada strana. Collega il Vomero e Mergellina, ma non disdegna di affacciarsi sui Quartieri spagnoli e su Montesanto. Offre palazzi vista mare e negozi dai prezzi tutto sommato abbordabili, macchine costose e università per ricchi, e trova il suo inizio in un contesto dall’aspetto popolare come quello di piazza Mazzini. Proprio da quel lato, a pochi metri dalla piazza e all’inizio del corso, sulla destra, c’è la tabaccheria della signora Nunzia. Il locale è sempre affollato, ma non solo da clienti che vanno e che vengono, quanto da chi, schedina alla mano, ha l’aria di passare parecchio tempo qui, ogni giorno. Nella tabaccheria in questione, lo scorso anno, sono stati giocati ben due biglietti vincenti del Superenalotto, due “sei” fruttati ai fortunati giocatori la bellezza di trentacinque milioni di euro l’uno. La coincidenza era avvenuta grazie ai blocchetti con i modelli di giocata prestampati: per un errore di distrazione, il blocchetto che conteneva la giocata vincente non era stato eliminato dalla signora Nunzia o da uno dei suoi figli, ma rimesso sul mercato, e di conseguenza la combinazione fortunata, rigiocata da un secondo cliente. Tutto questo accadeva durante le vacanze di Natale, esattamente un anno fa, tanto che ricordavo con piacere le decorazioni con cui la signora Nunzia aveva abbellito il suo negozio. Tornandoci, e scoprendone mio malgrado l’assenza, ho pensato che forse erano dovute alle celebrazioni organizzate in occasione della vincita, più che alle festività natalizie. Era stato un dicembre fortunato, quello del 2010, e anche a via Duomo, un giocatore aveva portato a casa altri cinque milioni di euro, attraverso la giocata di una combinazione per il concorso “Dieci e lotto”. Il sistema è semplice: una estrazione ogni dieci minuti, in tempo reale e per via telematica. Si giocano da tre a dieci numeri, se ne estraggono venti. Se li azzecchi tutti e dieci hai fatto il botto.
Le possibilità di tentare la fortuna tramite i numeri, in realtà, oggi sono moltissime. Negli ultimi vent’anni l’aumento di giochi e concorsi è stato vertiginoso, nel tentativo di accontentare i gusti di tutti, e ancor di più di invogliare la puntata tramite una serie di “nuovi” sistemi, che in realtà non fanno altro che riprendere lo schema classico “giocata-estrazione”, aggiungendo di volta in volta delle varianti: nella quantità di numeri che vengono fuori dall’urna (né è caso lampante il Superenalotto, il concorso più giocato in Italia, con i suoi numeri “Jolly” e “Bonus”), o la frequenza delle estrazioni. La maggior parte di questi concorsi fa parte del circuito Lottomatica, che gestisce per conto dello stato le lotterie del paese. Poi c’è la Sisal, il secondo grande colosso del campo. Ci sono il Totocalcio e il Totogol, che dopo un periodo di grande fortuna intorno alla fine degli anni ’90, sembra già aver perso il suo appeal; la Tris (sull’ippica) e il Big race (su Formula uno e motomondiale); poi una quantità indicibile di gratta e vinci, giocatissimi, sempre gestiti da Lottomatica, che variano per tematica (dal classico, con stelline e campanelle, fino al mercante in fiera, passando per il “Dado matto” e il “Milionario”); e naturalmente le scommesse sul calcio (Lottomatica ha anche quelle, tramite il circuito Better, ma nel campo i leader indiscussi sono Snai e Strike) così come il poker on-line. Proprio il gioco su internet, da qualche anno, è la nuova frontiera che permette alle grandi aziende di incassare introiti notevoli: per il giocatore dipendente, infatti, si tratta della situazione ideale: può giocare ogni volta che vuole, a quello che vuole, nelle modalità che preferisce. Sul sito di Lottomatica, per dirne una, è possibile giocare (a tutto) ventiquattro ore su ventiquattro, vincendo fino a mille euro per il torneo virtuale di scopa del 6 gennaio.
È un bene, immagino, che le signore che affollano la tabaccheria di Nunzia non siano a conoscenza di tutto questo. Forse in realtà, hanno anche loro un portatile che le aspetta a casa, e anche tra le mura domestiche non riescono a resistere al fascino di una giocata (potenzialmente) vincente. Quel che è certo è che rimangono ad affollare il locale del corso Vittorio Emanuele per diverse ore, rendendo la “socialità” un fattore importante per lo stesso gioco, forse quello che le etichetta come giocatrici di seconda o terza età. «Annare’ daccelo tu al giovanotto l’ambo», si prendono in giro tra loro, e una tra le più intraprendenti mi confida persino un pettegolezzo irriferibile riguardo una delle giocatrici appena uscite. Le loro giocate non sono frenetiche, tutt’altro. Anzi sono intramezzate da chiacchierate che esulano dal commento sulla scommessa (cosa che non accade per esempio nelle ricevitorie sportive, dove l’unico argomento di discussione è l’andamento favorevole o, molto più spesso, sfavorevole, delle “bollette”).
Se inquadrato da questo punto di vista, lo stesso gioco, inteso come scommessa, può essere analizzato come un “confine spontaneo”. Tanto più in un paese, e in misura maggiore una città, dove la tradizione del “fare” i numeri ha sempre mantenuto una trasversalità sociale. Dove anzi, capitava che i nobili si facessero informare dalla servitù su quello che accadeva nel vicolo, e alla stessa servitù chiedessero di andare a giocare i numeri, per evitare il contatto con la plebe. Contatto che però avveniva loro malgrado, nel momento stesso in cui a questa venivano chieste notizie sui fatti strani che avrebbero potuto fruttare una buona vincita, e dal momento che alla stessa plebe, quasi sempre, appartenevano quei personaggi misteriosi, talvolta un po’ loschi, ma senz’altro colmi di autorità, capaci di tirar fuori tramite la smorfia, una combinazione vincente per qualsiasi sogno o avvenimento.
Ancora oggi, il gioco è una pratica che quotidianamente coinvolge,include ed esclude tutte le fasce cittadine. Assai più di un livellatore sociale come possono essere considerati la passione per la squadra cittadina, la pizza da Michele o al Trianon, i film ieri di Troisi, e oggi (ahinoi) di Siani. Parti di popolazione differenti, infatti, entrano in contatto, in una città in cui i limiti, i confini tra le classi sociali sono così orgogliosamente (da entrambe le parti) netti, e allo stesso tempo flessibili. Gli avvenimenti che capitano agli uni, i sogni e le tragedie, le curiosità, i fattarielli da cui fare i numeri, sono infatti indissolubilmente legati alle fortune e alle sfortune anche degli altri, in un “confine spontaneo”, dal quale però, con il passare degli anni, sparisce progressivamente l’aspetto del contatto reale, fisico. Fatta eccezione, infatti, per i luoghi delle agenzie di scommesse calcistiche, della sala puntate di un ippodromo, o di una tabaccheria come quella di Nunzia, dove anziane signore si ostinano a portare avanti con fierezza la propria concezione di slow play (attardandosi a chiacchierare senza tempo, tra una puntata e l’altra al “Dieci e lotto”), la quasi totale sparizione del Banco-lotto ha ridimensionato, per la prima volta nella storia, la giocata dei numeri a un affare quasi “burocratesco”. Una pratica da compiere in pochi secondi tra l’acquisto di un pacchetto di sigarette e di una ricarica telefonica. È questa forse l’evoluzione più rilevante che il gioco ha conosciuto a Napoli negli ultimi anni, oltre alla riduzione della dimensione pubblica a favore di quella privata, conseguente alla diffusione del gioco su internet: una velocizzazione che ha allo stesso tempo reso più netti, anche in quest’ambito, i confini reali tra i giocatori, e di conseguenza tra le diverse fasce di popolazione.
L’ultimo cliente che osservo al bancone di Nunzia è un signore distinto, che compra un francobollo e un gratta e vinci. Sono sempre stato un appassionato del gioco: le bollette la domenica, e quando mi succede qualcosa, i numeri del lotto. Le scommesse – di qualche spicciolo, si intende – su quanti gol farà tizio o caio alla fine del campionato, le date di nascita dei giocatori e così via. Il gratta e vinci però non mi ha mai preso, l’ho sempre associato a qualcosa di truffaldino. E per di più non ci ho mai creduto. Fino a che la scorsa settimana, a Fuorigrotta, ho visto un signore ritirare alla tabaccheria cinquecento euro, frutto di una grattata vincente. Stringo calorosamente le mani a tutti, e gioco un ambo da cinque euro su Napoli. Settantanove, il filosofo, e dieci, il confine. Mercoledì scopriremo se Bauman aveva ragione o meno. (riccardo rosa)
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